Come Tonino continua a far ballare il Pd.

Antonio_Di_Pietro_balla_con_Aida_Yespica_4Tutto già visto. Di Pietro, ieri l’altro: «Il 5 dicembre scendiamo in piazza per manifestare contro le politiche di questo governo. Chi non sarà con noi sarà alla stregua del governo Berlusconi: il Pd si tolga il cappello da primo della classe e venga in piazza come tutti noi». La risposta di Bersani: «Lezioni di antiberlusconismo non le prendiamo da nessuno, il più antiberlusconiano è quello che riesce a mandarlo a casa, non quello che grida di più… il Pd non sta in mezzo, fa la sua strada e ha la sua idea che annunceremo la settimana prossima». Intanto il blog dei Giovani democratici era preso d’assalto: alla manifestazione del 5 dicembre – era il commento medio – bisogna andarci.   Tutto già visto. E’ da quasi due anni che Antonio Di Pietro fotte consensi al Partito democratico con questa storia dell’opposizione unica che attrae l’area più movimentista del partito, tipicamente i più giovani, i blogger, quelli a metà tra Beppe Grillo e la sanità mentale. E’ da almeno due anni, pure, che il Pd non riesce a scrollarsi dai polpacci questo botolo mordacchiante, questo cane da guardia che non ha mai smesso di abbaiare per tutto il tempo – un’invenzione di Walter Veltroni – e ancor più spesso ha fregato la bistecca politica dal piatto di ogni rinnovato leader del Pd: Walter, Enrico o Pierluigi davanti e Antonio di dietro, una facciata di understatement e un retroscena manettaro. E’ l’opposizione degli ultimi due anni.


Ed è il peccato originale veltroniano.

Ricapitoliamo. Antonio Di Pietro e Walter Veltroni si incontrarono il 10 febbraio 2008. Tempo tre giorni e avevano raggiunto un accordo per le elezioni di aprile. Disse Tonino:

«Con Veltroni abbiamo fatto un accordo non solo elettorale, ma programmatico, politico e progettuale…. un percorso che porterà alla possibilità di una nostra confluenza in un unico partito… e nel confluire in un unico gruppo parlamentare all’indomani delle elezioni. Questo per rimarcare l’impegno preso e per rimanere uniti ora e dopo»

Sembrava una cosa seria. Doveva esserlo, se Veltroni aveva detto «correremo da soli» e poi aveva accettato di imparentarsi solo con Di Pietro, lasciando fuori i radicali e i socialisti.

Altre fonti sono ancora più chiare, è sempre Di Pietro a parlare:

«Da questo percorso comune si avvierà anche un percorso verso un’unità di intenti e di partiti… Al momento non è previsto alcuno scioglimento del partito, ma dopo le elezioni l’Italia dei Valori creerà un unico gruppo con il Partito Democratico con l’obiettivo finale di confluire nel Pd»

Unico gruppo. Confluire. Le parole erano quelle, tanto per chiarire che cosa non gli passerà neppure per l’anticamera del cervello.

L’accordo comunque prevedeva che l’Italia dei Valori si sarebbe presentata al voto con il proprio simbolo e con la propria lista,  in pratica si trattava di una mini coalizione che sottoscriveva uno stesso programma e appoggiava la candidatura di Veltroni a premier. Dopo le elezioni sarebbe stato fatto un solo gruppo parlamentare. Lo si ripete per la terza volta perché fu ripetuto anche allora:

«Con noi Veltroni può vincere e governare bene, senza pugnalate alle spalle… Saremo alleati fedeli che si batteranno per dare un forte segnale di cambiamento alla politica italiana… Abbiamo sottoscritto un programma con il Pd e per noi quel programma è il Vangelo, e io il Vangelo sono abituato a rispettarlo»

Passavano solo cinque giorni e il Di Pietro due cominciava a smarcarsi:

«Non scioglierò l’Italia dei Valori e non ho mai detto una cosa del genere. Questo non significa che non formerò un unico gruppo elettorale del Pd, con il quale ho fatto un’alleanza oltre che elettorale anche politica»

Si potrebbe anche chiuderla qui, com’è finita è noto. Di Pietro – si disse – era lo spauracchio che doveva tenere sottotraccia i grillisti e i forcaiolisti del Paese, l’antipolitica, queste cose. Neanche mesi dopo, a Pd già vampirizzato, Veltroni darà segni di ravvedimento: «L’alleanza con Di Pietro avrebbe accresciuto la nostra competitività elettorale… Aver costretto Italia dei Valori a una convergenza su un programma avrebbe fatto sparire dalla campagna elettorale il vecchio antiberlusconismo, che non ci avrebbe giovato… Se Di Pietro fosse rimasto fuori dell’alleanza, avrebbe usato in campagna elettorale i toni che lo hanno caratterizzato nei mesi successivi…. Per questo non sono pentito della scelta che ho fatto»

Persiste l’impressione di aver visto dei film diversi. Nella sala in cui Veltroni non c’era, in marzo e aprile, proiettarono un cortometraggio in cui Di Pietro si tenne ben stretto l’antiberlusconismo e lo usò anche contro il Partito democratico. I toni preelettorali  e postelettorali non parvero divisi dall’Himalaya.

In compenso Di Pietro era un boccone che non tutti gli elettori del centrosinistra erano disposti a ingoiare. Qualche mugugno, straripante sul web, lo rappresentò bene Luca Sofri sul suo blog Wittgenstein, peraltro tirando una stoccata anche all’amico Giuliano Ferrara che aveva appena presentato la lista «Aborto? no grazie»: «Con le mail che arrivano contro l’apparentamento del Pd con Di Pietro», scrisse, «potrei convincermi a partecipare alle elezioni con una lista mia: Nando Pagnoncelli mi dà l’otto per cento».

La descrizione di come Di Pietro si comportò successivamente, a questo punto, diviene ridondanza. Un solo esempio. Veltroni, come appariva logico, chiese a Di Pietro di non ricandidare nelle sue liste chi era rimasto fuori da quelle del Pd. Di Pietro invece chiese a Veltroni di non ricandidare nel Pd chi avesse già fatto tre legislature, come chiedevano i grillini e come l’amico Walter aveva in parte già fatto. L’accordo fu siglato. La parola era quella di Di Pietro. Veltroni non ricandidò per esempio Giovanni Paladini, Renato Cambursano e Giuseppe Giulietti. Dopodiché Di Pietro andò da ciascuno di loro e gli offrì di candidarsi con l’Italia dei Valori. Diverranno suoi parlamentari e lui ridiscenderà nelle piazze a raccogliere firme contro i parlamentari con più di due legislature.

L’idea di Veltroni di non ossessionarsi sull’avversario – addirittura spingendosi a non nominarlo – convinse Tonino che era maturo il momento di ergersi a «unica opposizione». Sulla grande stampa, a pochi giorni dal voto, già dettava l’agenda di governo: «In caso di vittoria del centrosinistra, come primo punto, l’Italia dei Valori porrà il nodo incestuoso di Rete4». Solo agli sgoccioli della campagna elettorale Veltroni provò a dirglielo: «Si parla con una voce sola». Di Pietro quasi non l’aveva sentito: «Su Cavaliere faccio quel che mi pare».
L’Italia dei valori, alle elezioni,  beccò il 4,4 per cento alla Camera e il 4,3 al Senato, non raddoppiando l’esito del 2006 ma quasi. In Molise Di Pietro superava anche il Partito democratico. Dopo il voto, lasciò subito intendere che a confluire del Partito democratico non ci pensava neanche. Figurarsi il fare un gruppo unico: aveva subitop lasciato intendere che un gruppo comune, al minimo, avrebbe dovuto avere le diciture «Italia dei Valori» e «Partito democratico» sullo stesso piano dignitario. Di Pietro ci costruirà su tutto un ragionamento: «È vero,  l’accordo prevedeva la confluenza in un unico gruppo… La sua mancata realizzazione fu una scelta tacitamente condivisa». Condivisa. Veltroni la farà più semplice: «Visto che aveva i deputati per fare un gruppo da solo, Di Pietro non ha esitato a stracciare un impegno preso con gli elettori». Fine.
Avere dei gruppi propri alla Camera e al Senato significava rimborsi e benefici come segreterie, portaborse, consulenti e uffici. Facevano un altro milione di euro all’anno più i soldi per assumere una ventina di persone, uno ogni tre eletti.

«Unica opposizione», di lì in poi, si tradurrà nella sistematica denuncia di un Berlusconi generico corruttore – more solito – e poi nel giochino ricattatorio delle manifestazioni. L’Idea la scippò a Micromega: si annunciava la «Giornata per la giustizia contro le leggi vergogna» (No Cav day)  e Di Pietro se ne impossessò subito, cominciò a emanare comunicati, stampare manifesti, produrre bandiere. Veltroni declinò con decisione, ma per non sembrare uno stoccafisso sarà costretto a inventarsi una manifestazione autunnale. L’appuntamento di Piazza Navona, l’8 luglio successivo, finì con gli attacchi di Sabina Guzzanti al Papa e di  Beppe Grillo al Capo dello Stato. Intanto un sondaggio dell’Espresso diceva che Di Pietro era «il più attivo nell’opposizione a Berlusconi» secondo il 44 per cento degli intervistati. A Di Pietro il giochino piacque. Dirà Veltroni: «Se avessi portato il Pd in quella piazza, oggi saremmo un cumulo di macerie… Di Pietro scelga con chi stare: se con noi o con Grillo e Travaglio, con la piazza che insulta. Lo dica». E Tonino lo disse: «Non mi dissocio dalla piazza, l’errore è del Pd, che ha aperto a Berlusconi».

Quello che a lui interessava era celato in una ricerca commissionata all’Ipso di Renato Mannheimer: diceva che il 48,8 per cento degli elettori del Partito democratico aveva approvato la manifestazione di Piazza Navona e che oltre il 30 per cento degli italiani la pensava allo stesso modo, quale che fosse il partito di riferimento. A quel punto la convergenza col Pd divenne definitivamente una comica: Veltroni diceva che in Italia non c’era un regime, Di Pietro parlava di «moderna dittatura». In Abruzzo, Veltroni auspicava un’alleanza paritaria, Di Pietro voleva imporre un suo candidato. Circa la manifestazione organizzata da Veltroni  a Roma per il 25 ottobre, Di Pietro rispose: «Noi non andiamo al seguito di nessuno».
Il 20 ottobre definiva Veltroni «patetico e ridicolo» e però confermava che sarebbe andato alla manifestazione del 25. Non fosse chiaro, non l’avevano neppure invitato.
Tutto il resto è roba recente. Altre manifestazioni, altri inviti, altri ricatti, Di Pietro che alle Europee arruola una serie di intellettuali vegliardi e abbandonati dal Pd, poi lo spoglio delle schede – 4 giugno 2009 – ed esiti che tutti sospettavano sapevano da tempo: l’Italia dei Valori raddoppiò i voti (7,98 per cento, il doppio o quasi rispetto alle politiche del 2008) e circa il 50 per cento dei voti risultarono smembrati dal Partito democratico. Pur in difficoltà, Di Pietro sta solo proseguendo il lavoro.

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18 Commenti

  1. Di Pietro non acconsentì al gruppo unico perchè gli negarono sia il ministro-ombra che un portavoce in una delle due camere. Viste le prese di posizione di Veltroni sulla giustizia e l’informazione non era proprio il caso di fondersi nel gruppo unico: per quale motivo avrebbero dovuto? E sulla gestione dei soldi: mi fido molto di più di IdV rispetto agli altri partiti, quindi è un bene se li han presi loro (mica venivano risparmiati, ‘sti soldi).
    Grillo inoltre non ha attaccato il presidente Napolitano, lo ha invece criticato (“Morfeo”), il che è diverso.
    In Abruzzo la giunta è caduta per lo scandalo sanità: quant’era credibile il PD in quel momento?
    Quanto alle candidature: se il PD si disfa di brava gente, perchè DP non dovrebbe ricandidarli? Alle politiche poi ha candidato Touadi per conto di Veltroni (giochini che non amo neanche un po’).

    Di fronte ad un Presidente del Consiglio che non si vuole far processare e tra i primi provvedimenti sceglie il lodo Alfano cosa bisogna fare? Star fermi e zitti? Giocare al piddì?
    Non si capisce nemmeno cosa vuol dimostrare con quest’articolo: che DP è un poco di buono? Un cannibale di voti? Che punta a mangiarsi vivo il PD?
    Mah.

    Saluti

  2. De Toffol, non inventare.
    Di Pietro non ha acconsentito al gruppo unico improvvisando questa spiegazione che riporto nel mio libro:

    ««È vero, l’accordo prevedeva la confluenza in un unico gruppo… La sua mancata realizzazione fu una scelta tacitamente condivisa da entrambi, alla luce dei risultati elettorali… Non è vero che, dopo le elezioni, il Pd si sarebbe limitato a fare un gruppo unico con noi: voleva inglobarci… Anche sul piano logico sarebbe stata improponibile un’annessione militare del nostro partito in quello di Veltroni, perché in una regione come il Molise abbiamo preso più voti e in un’altra come l’Abruzzo siamo arrivati al 9 per cento. No, dia retta a me: è stato meglio fare due gruppi, e la decisione è stata comune»

    Dopodiché Veltroni ha negato ogni decisione comune e ha chiarito: «La verità è che Di Pietro, visto che aveva i deputati per fare un gruppo da solo, non ha esitato a stracciare un impegno preso con gli elettori»

    Per quanto riguarda l’Abruzzo, anche lì Di Pietro ha saputo palesare una faccia tosta ai limiti dell’umano. Ottaviano del Turco, presidente della Regione Abruzzo, fu arrestato il 14 luglio assieme a qualche assessore della sua giunta. Per Tonino era una scarica di adrenalina e annunciò subito che «è tornata Tangentopoli», come faceva da quindic’anni, e davanti ai giornalisti lasciò scivolare qualche meravigliosa sciocchezza preceduta dalla solita e robotizzata «Noi dell’Italia dei valori» che pronunciava anche se gli chiedevano l’ora:

    «Noi dell’Italia dei valori siamo sempre stati fuori dalla politica di governo nelle regioni, e abbiamo sempre evitato di partecipare alla spartizione della torta. Ecco perché occorre un ricambio generazionale e io invito a guardare alle persone e non ai partiti»

    Questo il Di Pietro uno. Il Di Pietro due ometteva tre o quattrocento cose. Una era che l’Italia dei valori aveva pochi consiglieri regionali perché alle elezioni del 2005 aveva preso un niente di voti. Un’altra era che il suo partito non era rimasto «fuori dalla politica di governo» manco per niente: aveva fatto in tempo a beccarsi un assessorato in Calabria nel 2005 – l’assessore dipietrista Beniamino Donnici prese la delega al turismo e poi mollò Di Pietro per fondare un movimento di transito verso il Pd – e poi si era beccato un altro assessorato proprio lì, nella giunta abruzzese decapitata. Di Pietro, in Abruzzo, era al governo dal 6 aprile: solo l’innesto del suo partito, a essere precisi, aveva salvato Ottaviano Del Turco da una crisi altrimenti inevitabile. Ora Di Pietro ritirava il suo assessore dalla giunta – non c’era più – e con la legislatura regionale agli sgoccioli invocava quelle elezioni anticipate che non aveva chiesto quando scelse invece di partecipare «alla spartizione della torta». Quanto al «ricambio generazionale», il suo assessore si chiamava Augusto Di Stanislao e ultimi vent’anni si era fatto i Ds, Sinistra democratica, l’Udeur di Mastella, aveva cercato vanamente di entrare in Forza Italia e poi solo allora aveva bussato alla porta di Di Pietro: aperta. Lo scandalo che aveva decapitato la giunta riguardava la sanità, ma nessuno ricordava denunce del partitello di Tonino a proposito.
    Di Pietro era così. C’erano degli arresti e convocava i giornalisti per parlare di «ricambio generazionale» dopo aver affittato il movimento come porta girevole: a parte casi citati, c’era il caso del repubblicano Giuseppe Ossorio – massone del Grande Oriente Italiano – che era passato dall’Italia dei Valori prima di andare nel Partito democratico. C’era poi stata tutta una truppa di ex Udeur – proprio quello – alla maniera di Tancredi Cimmino, Pino Pisicchio, Egidio Enrico Pedrini, Cristina Matranga, quelli che ci stavano. Di Pietro era così: diceva «Siamo sempre stati fuori dalla politica di governo nelle regioni» ed era falso; diceva «Abbiamo sempre evitato di partecipare alla spartizione della torta» ed era falso; diceva «Occorre un ricambio generazionale» ed era vero, ma doveva guardarsi in casa.

    Circa le candidature, infime, forse non hai letto bene: di Pietro ha chiesto a Veltroni di non candidare gente con tre legislature, Veltroni l’ha fatto e Di Pietro se l’è presi lui pur di raccattare qualche voto.

    Il resto è incommentabile.

  3. credo che il tipo di opposizione che di pietro ha scelto di fare sia più che legittima, e che qualificare lui come manettaro e “botolo ringhioso” e i suoi elettori come “a metà strada tra grillo e la sanità mentale” non sia poi un grande esercizio di moderazione.
    detto questo, sto pd, alla fine, sembra aver scelto da solo come manifestare il proprio dissenso; ossia non partecipando ufficialmente alla manifestazione del cinque dicembre.
    mi sembra già una presa di posizione piuttosto netta.
    non mi pare quindi che ci sia tutto questo “ballare” e affannarsi alla rincorsa delle posizioni di di pietro.
    ritengo inoltre che se il pd volesse in un qualche modo riconquistare la fetta di elettorato “delusa” e salita sul battello dell’ Idv, o semplicemente pescare nel profondissimo pozzo dell’astensionismo, potrebbe benissimo farlo esercitando un comportamento politico coerente.
    fino a che il pd sarà uguale al risultato dell’operazione [(pdl-berlusconi) X prese di posizione vaghe su temi etici piuttosto essenziali], risulta chiaro che il bacino di voti dell’ idv andrà crescendo sempre più.
    capperi, alla fine ci arrivo pure io che non sono mica una cima!
    non credo che nessun elettore idv voglia ammirare le teste degli avversari politici impalate su lance piantate di fronte al senato come durante la dittatura di silla.
    immagino che tutto quello che si cerca sia un minimo di alternativa alla deriva etica che alcuni sembrano avvertire nel panorama politico italiano.
    insomma, fino a che il pd non si darà una bella scrollata e non diventerà un partito moderno e riformista con vere ambizioni di governo e non solo d’opposizione, allora mi sento solo di augurare tanta buona fortuna a di pietro e all’ italia dei valori.

  4. Il PD ha purtroppo questo “vizietto”, sia in ambito locale che nazionale.

    Non accetta idee altrui, ma anche quando le condivide deve farle proprie e replicarle, come se le avesse proposto lui.

    Allora, non partecipa a giuste manifestazioni ma propone le sue come fotocopia, nei comuni non vota le mozioni di nessuno ma le ricopia e se le presenta da solo.

    Ruba il compito al compagno, lo ricopia uguale, e poi si vanta con la maestra di averlo fatto meglio di colui al quale l’ha rubato..

    Al PD manca umiltà, ancora prima che autentico spirito di opposizione.

    La base del PD alla manifestazione del 5 novembre credo andrà comunque in massa, così come in massa continueranno a migrare via i loro voti.

  5. Grazie FF.
    Ho vinto un cinquantone scommesso col mio collega di scrivania.
    Dopo il pezzo su Travaglio di ieri avevo previsto un pezzo su DiPietro…
    Menomale che non mi hai tradito scrivendo prima di Grillo….

  6. Ma invece di criticare a prescidenre un post come questo, non sarebbe meglio leggerlo prima?

    Non è il giornalista il protagonista, ma quello che scrive!!!

  7. Eh già, ma i molesti come balthazar non hanno bisogno di leggere, il loro scopo non è ragionare ma scrivere bischerate contro qualcuno.

  8. mi sa che tonino sta diventando bart simpson: “ciucciatevi il calzino”
    ed il bello è che funziona!
    eppure quanto sono vicini fini e tonino!!!

  9. ma…vuoi vedere che il Cav vince le elezioni grazie a Di Pietro? Il villico molisano, mediante il suo gracchiante megafono travagliesco, non solo spinge a mille sull’antiberlusconismo (notoriamente foriero di sintomatiche sconfitte elettorali), ma spacca anche il PD, fottendogli voti attraverso la minaccia di interventi manettari a destra e a manca; insomma: distrugge l’opposizione, autoproclamandosene unico depositario. Se non fosse sufficientemente chiaro, al Cav un Di Pietro serve. Che dici, FF, è legittimo trarre questa conclusione dal tuo pezzo o non c’azzecca nulla?

  10. Salve a tutti, io non conosco personalmente Filippo Facci, però comunque mi sento di scrivere che ciò che scrive è immensamente costruttivo con un fine ben preciso, migliorare questa società, ormai corrotta da loschi figuri. Lui invece non è assolutamente corrotto dall’ambito, nè da persone fisiche. Io ammiro sia la persona che il professionista, il giornalista, l’osservatore super partes cerca di migliorare il nosto contesto. Per fortuna che Filippo c’è!

  11. ti giuro che l’articolo che hai scritto io non l’ho letto
    mi sono fermato e stufato automaticamente al termine della lettura della firma sotto il titolo

  12. Quanto al gruppo unico parlamentare, non invento nulla:
    http://www.antoniodipietro.com/2008/04/lautonomia_dellitalia_dei_valo.html

    “Vogliamo sapere ora, proprio perché abbiamo visto delle esitazioni durante la campagna elettorale, quale sia il programma sulla giustizia che questo gruppo unitario dovrà portare avanti, perché se è vero che Veltroni vuol fare un governo ombra, e se è vero che noi lo abbiamo appreso dai giornali, è necessario che, in una coalizione, cose così importanti non si apprendano più sui giornali, ma si apprendano e si condividano insieme.”
    “Vorrei capire, cioè, se le problematiche inerenti l’informazione che riguarda questo gruppo unico siano portate avanti, come portavoce, per esempio da Follini o da Giulietti,[…]”
    “Abbiamo indicato i temi su cui noi vogliamo avere delle risposte, senza le quali noi intanto facciamo il nostro gruppo dell’Italia dei Valori e iniziamo un percorso d’incamminamento per giungere ad un chiarimento, per risolvere quanto prima quei problemi che possono rimanere insoluti.”

    Ricordo benissimo quel che diceva Veltroni in campagna elettorale, tanto quanto il disastroso periodo di Mastella ministro della giustizia, quindi non fidarsi era lecito. Insistere su quei temi alla luce del risultato elettorale pure. Sleale? Dipende: c’è chi l’ha votato proprio per le chiare prese di posizione.

    Quanto a Del Turco, non mi pare che ci fossero assessori IdV coinvolti nell’inchiesta, e per “spartizione della torta” ovviamente Di Pietro si riferiva a cose non molto lecite. Un santo? Probabilmente no, ma prima vorrei le prove (tipo: “Di Pietro ruba, per questo, questo e quest’altro motivo”).

    Sui salti di partito in partito c’è poco da dire, sono un fatto.

  13. …che palle volevo commentare l’altro post sul cosa scriverebbe travaglio di travaglio, ma non è più possibile…cavolo chiudete a fare i commenti…non apriteli proprio….
    e comunque meglio frequentare Ingroia che Craxi

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