SKAM Italia è un capolavoro e non dovreste perderlo per nessuna ragione al mondo

SKAM Italia

C’erano parecchie cose che in Italia non sapevamo fare, fino a qualche tempo fa.

Non sapevamo fare serie tv, ad esempio. Sfornavamo mallopponi su santi, professori buoni e preti investigatori a più non posso, condannando all’ignoranza e al cattivo gusto un’intera generazione (se non due). Quando buttava bene – crepi l’avarizia! – si trattava di preti buoni che facevano i professori e poi diventavano santi.

Poi sono arrivati Romanzo Criminale e Gomorra, e abbiamo capito che potevamo anche noi. Volendo.

Non sapevamo nemmeno realizzare serie televisive che sapessero raccontare i teenager. Al cinema sì, qualche eccezione c’è stata. Francesca Archibugi, per dire, è sempre riuscita a scrivere e rappresentare adolescenti sempre in bilico tra la cruda verità e la poesia. Ma le serie sui regazzini non sono mai state cosa nostra, malgrado avessimo ottimi esempi da cui copiare, prendere spunto, ispirarci, mettetela come volete.

Fino a poco tempo fa era chiaro a tutti che una cosa come l’inglese Skins noi non saremmo mai stati in grado di realizzarla. E anche quando è arrivata la corazzata di Netflix, il massimo che siamo riusciti a produrre è stato Baby: una cosa che era partita da “raccontiamo il giro romano di baby prostitute d’alto bordo” e invece ha dato come risultato una serie in cui gli adolescenti non trombano, mai; e se trombano lo fanno vestiti; non dicono “cazzo”; usano sinonimi improbabili per dire “pompino”; se sono zoccole o puttanieri non lo fanno perché gli piace o per smanie di ricchezza, ma perché – porelli – ne hanno bisogno per pagarsi gli studi, o per riscattare i debiti al gioco di papà: c’è sempre un motivo “altro” e più degno, che giustifica il commettere una qualsiasi cazzata; e poi vogliono bene a mammà che, poraccia, è una abbracciaalberi sbadata, come fai a nun voleje bene?

“Baby” e la nuova “Summertime” – il delirio psicotico di un color correctionist, inspiegabilmente “tratta da Tre metri sopra il cielo”, quando in realtà non lo è per nulla – non raccontano persone, ma personaggi. Personaggi così come vivono nella testa di sceneggiatori incapaci di approfondire le ragioni che portano un ragazzo a comportarsi in un modo che a un adulto può sembrare inspiegabile. Non ci sono calci assestati nelle palle di genitori colpevolmente inconsapevoli e distratti, come in “Skins”; non ci sono storie; non c’è anima; non c’è niente di niente, se non un maldestro tentativo di scimmiottare usi, linguaggi e costumi perpetrato da adulti che si credono ferrati sul tema e, in qualche caso, da sceneggiatori giovani che, trovandosi a raccontare un mondo che non è il loro, non sono stati graziati dal dono dell’immaginazione. Per dire che non basta essere coetanei o contemporanei: la fantasia è democratica.

Poi è arrivato SKAM Italia.

E quasi nessuno di noi se n’è accorto. Un po’ perché le speranze che si riuscisse a realizzare qualcosa di decente e di italiano sull’argomento erano ormai esaurite, e un po’ perché chi ha avuto la lungimiranza di cercare, produrre e trasmettere la serie era un operatore cui mezza Italia era abbonata, senza che questa mezza Italia sapesse di esserlo (la casa di produzione che gliel’ha proposto, invece, è Cross Productions, che dio li abbia in gloria).

Inutile specificare che no, ai ragazzi non è sfuggito: hanno preso a parlarne; a shippare le coppie di personaggi; a farne meme su Tumblr; creando e alimentando una piccola comunità virtuale che man mano ha fatto sempre più proseliti.

Per quanto le fan-base siano influenti, però, il potere che esercitano sui produttori è relativo: se il vero successo, la massa, gli ascolti, le views non arrivano subito si può pensare che alla storia serva il suo tempo per attecchire, e mettere in cantiere una seconda stagione. Ma quando alla fine della terza stagione il tuo prodotto rimane lo sfizio di pochi anche se buoni, lì si tirano i remi in barca. Non è colpa di nessuno: il passaparola è importante, ma da solo spesso non basta.

In questa particolare storia, però, arriva il miracolo: Netflix acquista le prime tre stagioni (sono già disponibili: il consiglio è quello di recuperarle appena potete) e decide di produrne una quarta. Che arriverà sugli schermi il prossimo 15 maggio.

Ora, la difficoltà che provo sta tutta nel dover descrivere in modo convincente le ragioni per cui è un peccato che perdiate questa serie.

E allora vi dico che SKAM Italia è un piccolo capolavoro. Sotto tutti gli aspetti. È la dimostrazione che quella cosa – che in Italia pensavamo di non saper fare – qualcuno invece sa farla. A livelli altissimi. Ai livelli di “Skins”.

Lo showrunner Ludovico Bessegato (che ha anche curato la regia della prima, della seconda e della quarta serie) è stato capace di ispirarsi a un format esistente e arrivare a ottenere un risultato che supera l’originale e surclassa di varie lunghezze tutto ciò che di simile è stato proposto in precedenza.

SKAM Italia dimostra che, volendo, le cose belle si possono fare. Ma che non basta solo volerlo: serve anche affidarsi a professionisti che abbiano voglia di osare, abbiano chiara in testa la storia che vogliono raccontare, e sappiano voler bene ai personaggi che mettono sullo schermo.

Tra le altre cose, è davvero impressionante la prova di recitazione, soprattutto, di Ludovica Martino, Benedetta Gargari, Beatrice Bruschi, Ludovico Tersigni e Giancarlo Commare), che si contraddistinguono per l’immensa bravura e – soprattutto – la spontaneità.

La regia, la fotografia, il montaggio,e la sceneggiatura di SKAM Italia sono tra le cose migliori che si siano viste in televisione in questo paese. Questo per dire che non contano solo le belle storie: serve anche raccontarle con i mezzi giusti, i talenti giusti e la necessaria pignoleria nel curare ogni singolo aspetto del prodotto.

C’è ancora un elenco lungo così, di cose che non sappiamo ancora fare, in Italia. Ma una voce possiamo spuntarla.

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3 Commenti

  1. Buongiorno. Ci sono alcune cose che non mi tornano. In primis diffido sempre da chi dà giudizi su una serie o su un film senza essere parte di quel mondo (non dico sceneggiatore ma almeno un critico appassionato sulla scorta di una conoscenza delle regole del cinema che sono molto diverse da quelle della tv). Lei è un ottimo autore tv di sit com e di documentari e non ha la conoscenza minima sufficiente per potersi esprimere su un prodotto cinematografico (non se la prenda, è semplicemente la realtà: se così non fosse la gente non avrebbe mollato la tv per guardarsi la fiction sugli ott proprio perche quella generalista quando andava bene era Montalbano che di cinematografico come ben capisce non ha nulla). Detto ciò quindi sottolineo due cose: la prima è che gli sceneggiatori di skam sono quasi interamente gli stessi di Summertime i cui autori e lei giustamente disprezza. La seconda è che skam ha sí il merito di innovare come dice lei sui personaggi ma rimane ancora un prodotto totalmente insufficiente e, come dicono tanti con arguzia, più simile a un “beautiful di roma nord”. La serie si dimentica totalmente della periferia e racconta un mondo che se esiste rappresenta il 2% del paese ma il 90% di quello che il pensiero liberista bianco progressista (di cui lei fa parte, spero la cosa non la offenda) che occupa i media italiani pensa sia il paese reale. E mentre là fuori i ragazzi imitano lo slang di $ki e wok o di tutti i fenomeni de nuovo sottoproletariato periferico, mentre la trap si conferma numero uno, skam racconta il liceo dei figli di papà in cui una ragazza musulmana affronta qualche turbamento legittimo. Quella non è l Italia. Quello non è il linguaggio dei ragazzi. Quello è semplicemente il linguaggio che lei crede o spera che i ragazzi usino. Ed è per questo che la fiction italiana fa schifo perché anche quando fa un prodotto come skam che arriva al 5 – – invece di dire: ok bravini ma c’è molto da lavorare, gridiamo al capolavoro. E questa sí è una metafora azzeccata di quello che è il paese: entusiasmarsi per i pessimi zingaretti and co. solo perché viviamo in un mondo di squallidi salvini, meloni ecc

  2. Caro Aldo Senzacognome, prenda un qualsiasi sito di recensioni di serie televisive (davvero, non abbia paura: funziona con tutti, anche e soprattutto con quelli per gli addetti ai lavori), e provi a confrontare il voto medio che ha ottenuto Skam rispetto a quello di Summertime, e poi ritorni qui, così tento di spiegarle che il suo problema non sono io: il suo problema è il mondo. Il quale sta cercando di dimostrarle – in maniera anche abbastanza evidente – che quella che lei difende – prendendosela anche un po’ – è robetta da poco. Nessuno pensa che Skam sia rappresentativo di tutti i ragazzi italiani: è solo una serie che ha raccontato QUEI ragazzi molto bene, facendoli interpretare da attori che hanno saputo recitare in modo molto naturale. Detto questo, se lei pensa che invece TUTTI i ragazzi italiani (invece che limitarsi ad ascoltarli e apprezzarli) scimmiottino abitualmente lo slang dei loro idoli della trap, lei in quanto a appigli alla realtà sta di gran lunga messo molto peggio di me.
    Peraltro, le faccio notare che gli scrittori in comune tra Skam e Summertime (che, va detto, in passato hanno fatto tutti cose più che egregie) si possono contare sul dito di una mano: una, Anita Rivaroli. In comune, oltre a lei, c’è soltanto uno degli attori.
    Finisco con una recriminazione: entusiasta per Zingaretti sarà lei, e entusiastini per Zingaretti i suoi bambini, che non giocheranno mai con i miei. Anche perché ai miei la trap che piace ai suoi fa cagare.

  3. noia mortale e molto caratterizzata geograficamente. successo probabolmente limatato a lazio e dintorni

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