Il Grande Elenco Telefonico della Terra e pianeti limitrofi (Giove escluso) /28

Il Grande Elenco Telefonico della Terra e pianeti limitrofi (Giove escluso)(…continua /27)

– Ε’ τυττο μολτο ιντερεσσαντε, μα ιο αωρει δα φαρε…

Sì, ho finito, possiamo iniziare.

– Uh, che ha detto? Cosa possiamo iniziare, la cerimonia?

No, non ancora. Lei è piuttosto impaziente, sa?

– Ha ragione. Scemo io che mi faccio condizionare da questa cosa degli assassini in giro per casa.

Su Sedna non si può procedere al matrimonio senza avere prima sottoscritto il modulo IBM.

– Non ho bisogno di un computer nuovo.

Ma di che cosa sta parlando? IBM, è un modulo. Sta per “In Bruttezza e Malattia”. E’ una sorta di contratto prematrimoniale che tutela la sposa.

– Non capisco.

Che cosa, esattamente, non capisce?

– L’elenco sarebbe lungo. Direi di partire con questo: perché ad essere tutelata dovrebbe essere la sposa e non, ad esempio, io?

A parte il fatto che di questa particolare sposa io sono il padre, dice?

– Eh, sì, a parte questo.

E a parte anche l’altro fatto che mia figlia è in procinto di sposare uno sconosciuto che solo qualche minuto fa stavo abbandonando a un destino di morte certa, dice?

– Sì, ecco, più o meno…

Il perché è molto semplice, e ora glielo spiego: avrà ormai capito che uno dei caratteri distintivi che contraddistingue la nostra specie è la bruttezza…

– Sì, ne ho avuto il sentore.

Ebbene, non si tratta di semplice bruttezza. E’ una bruttezza che trascende il concetto stesso di “brutto”. Alla normale bruttezza si fa il callo. Le faccio un esempio: anche a lei sarà capitato di avere un amico o un parente particolarmente brutto. Ebbene, si sarà accorto che con il passare del tempo, degli anni, il suo cervello si assuefaceva alla mostruosità di quell’immagine e pian piano il senso di repulsione veniva meno. E’ la forza dell’abitudine. Bene, la nostra è un tipo di bruttezza a cui non ci si abitua: resta impressa sulla retina, per sempre. Secondo una ricerca dei nostri scienziati, i neuroni più in prossimità dei bulbi oculari di chi ci guarda decidono di farla finita in blocco ogni singola volta che lo sguardo si posa sulla nostra immagine.

– Mi sembra esagerato.

Le basti pensare che, dopo venticinque anni di matrimonio, ancora oggi, prima di tornare a casa dal lavoro, devo assicurarmi di avere con me almeno due sacchetti precauzionali.

– Precauzionali per cosa?

Il primo per l’eventuale conato di vomito alla vista di mia moglie sulla porta che mi dà il bentornato; il secondo per quello abbastanza scontato al momento del bacio sulla fronte a mia figlia.

– E’ terribile.

Sì, proprio difficile da guardare.

– No, dico, la situazione: è terribile.

A dire la verità no. Nei secoli, la nostra specie ha imparato a considerarlo un carattere distintivo che, peraltro, porta non pochi vantaggi.

– Ad esempio?

Per dirne uno: fine della mediocrità. Chiunque di noi è immensamente, incommensurabilmente, irrimediabilmente brutto. Non esistono “tipi anonimi”, o persone che non danno nell’occhio: ciascuno, a modo suo, fa oggettivamente così tanto schifo – e lo fa in una maniera talmente personale – da potersi considerare davvero unico. Frasi tipo: “Vedi quella? Chissà cosa non ha dovuto fare per raggiungere il successo”da noi non hanno alcun senso. Tanto per farle capire: i produttori cinematografici implorano le nostre attrici di mantenere il rapporto esclusivamente sul professionale e, siccome non sempre ci riescono, nei loro uffici hanno eliminato del tutto i divani. Oppure, ancora: tutti i film in programmazione nei cinema di Sedna interpretati da attori indigeni sono classificati come “horror”. Anche le commedie sentimentali. Specialmente quelle. E gli adolescenti si scambiano sottobanco film che non prevedano scene di nudo. Potrei continuare per ore, e lo farei, se servisse a farle capire che non ci si scorda di una faccia, su Sedna.

– A dire la verità a me sembra di avere capito. Quel che invece mi è ancora abbastanza oscuro è in quale modo questo discorso sulla bruttezza si leghi alla cosa dell’accordo prematrimoniale.

Guardi che invece è piuttosto semplice. Mi dica, com’era il nome di quell’attrice aliena che ha citato non più di qualche ora fa?

– Chi, Jessica Alba?

Ecco, lei. Se lei fosse un’orribile ragazza sednese nel fiore degli anni e in procinto di sposarsi con un forestiero che non sarà mai in grado di offrirle una cena senza rimetterne almeno metà, spesso senza nemmeno riuscire a raggiungere la toilette del ristorante; e sapesse che per questo forestiero l’immagine della donna perfetta, quella al di sopra di tutte le altre, quella sulla quale spendere ore e ore di sogni erotici ha la fisionomia di Jessica Alba… Voglio dire: ha presente com’è fatta Jessica Alba?

– Ho presente.

Allora faccia questo esercizio mnemonico: scelga la migliore immagine di Jessica Alba che ricorda.

– In che senso? E poi, come? Così su…

La scelga e la metta in un posto immaginario sulla sinistra del suo campo visivo.

– Va bene, l’ho scelta.

E’ sicuro?

– Sì, è una di quelle apparse su GQ nel 2005, credo nel numero di aprile.

Bravo, ottima scelta. Non male quel numero.

– Ma come…?

Per favore, non mi interrompa, che sono solo a metà spiegazione. Dicevo, lei prenda questa immagine di Jessica Alba fotografata da Mark Seliger…

– No, aspetti… pure il nome del fotografo?

…e la metta a sinis… cosa c’è?

– Come fa lei a sapere queste cose?

Quali cose?

– Cose tipo il nome di Jessica Alba o quello del fotografo del servizio.

Lei crede che a me le donne terrestri (o, nel caso della Jessica, che lavorano sul pianeta Terra) non piacciano?

– Eh, no, in linea teorica non credo dovrebbero. Ma, anche se fosse, non dovrebbe conoscerle, sapere come si chiamano o su quali giornali sono apparse.

E perché no? Pensa che persone come me non abbiano il diritto di abbonarsi a innocui periodici maschili terrestri? O di farseli spedire regolarmente attraverso l’InterTubo?

– Innanzitutto io nemmeno lo so che cos’è questo InterTubo. E comunque, a lei dovrebbero piacere quelle della… della sua…

Lo dica: “della sua razza”. E’ questo che intendeva dire, giusto?

– Sì.

Allora le chiedo io: lei le ha viste quelle della mia razza? Gliele ho descritte, giusto? E quindi perché io dovrei prendermi quelle?

– Beh, perché sono le vostre.

Anche la sua attrice non è terrestre, eppure non mi pare di avere notato alcuno scrupolo, da parte sua.

– No, è solo che pensavo che, tra brutti, la bruttezza in qualche modo, si annullasse. O che si facesse caso a diversi particolari, che per noi sono forse orripilanti ma, magari, ai vostri occhi risultano seducenti.

Allora non ha proprio capito quello che le ho spiegato poco fa! Alla bruttezza sednese non ci si abitua! Una delle più grandi menzogne che si possono dire a una donna sednese è “Cara, io ti vedo bella perché ti guardo con gli occhi dell’amore”. Non è vero. Perfino gli occhi dell’amore vorrebbero rotolare via. Le racconto una cosa: qualche anno fa un amico di penna di mia figlia arrivò su Sedna da Venere in gita con la scuola. Una delle prime cose che volle fare fu incontrare mia figlia. Cercammo di dissuaderlo in tutti i modi, ma evidentemente non abbastanza da fargli abbandonare quell’insano proposito. Così la vide.

– Perché si ferma?

Beh, perché non è una bella cosa da descrivere: i suoi occhi, dopo un attimo di esitazione, cominciarono a roteare in direzioni opposte prima in sincrono, poi del tutto casualmente e infine, come ultimo disperato tentativo di un organo vivente che va in tilt come fosse una macchina, si bloccarono di colpo, uno di fronte all’altro, generando il più inverosimile e raccapricciante tipo di strabismo che sia mai stato analizzato dalle equipe mediche da qui fino alle costellazioni di Andromeda e del Triangolo.

– Poveraccio. Che gli era successo?

La stessa cosa che potrebbe succedere anche a lei: loro fissavano l’immagine di mia figlia…

– Loro chi?

Loro, gli occhi. Come probabilmente saprà, le immagini che il nostro cervello elabora provengono da fonti distinte (e sto sul generico perché non sono poi molte le specie, a parte la mia e la sua, ad essere dotate di un solo paio d’occhi). Ebbene, queste diverse immagini vengono sovrapposte per generarne una di senso compiuto e, se i bulbi oculari sono correttamente posizionati, a 3 o 4 dimensioni. Ciò che quello sfortunato paio di occhi stava trasmettendo ai neuroni erano due immagini i cui rispettivi particolari stridevano al punto da non poter rendere possibile una visuale d’insieme. Il cervello riceveva la prima immagine dall’occhio destro, poi la seconda dall’occhio sinistro, tentava di confrontarle e sovrapporle e non riusciva a trovare un solo punto di contatto tra l’una e l’altra. Poi, esattamente come farebbero una macchina o un robot, ritenne che…

– Chi?

Cosa “chi”?

– Chi… ritenne?

Il cervello, questa volta. Però, coso, Chance, o come si chiama? Non è che può seguire i discorsi utilizzando solo quella parte di cervello che i Gorcleoni selvatici del pianeta Pandortone attivano quando devono spulciarsi a vicenda sotto il sole. Eh!

– Ha ragione. Stupido io che mentre la ascolto mi impunto a lanciare qualche svogliata occhiata ai puliziotti che stanno sigillando con il silicone tutti gli infissi di casa.

Ah, sono già a quel punto?

– Quale punto?

Prima mi faccia finire il discorso.

– Basta che poi si ricordi di dirmelo.

– Beh?

Non mi ricordo più in che punto mi ha fermato. Lei di solito insiste e lì si apre l’ennesima parentesi. Questa volta ha ceduto subito. Mi ha spiazzato.

– Stava parlando del cervello che si era comportato come un robot.

Esatto: ha ritenuto che l’incongruenza delle immagini fosse causata da un malfunzionamento degli occhi, e così ha fatto quel che doveva fare.

– Ovvero?

Li ha messi in posizione di stand-by: uno di fronte all’altro. “Visione laterale ampliata ribaltata”, si chiama. Significa che vedi tutto quello che succede alla tua sinistra con l’occhio destro e tutto quello che sta a destra con il sinistro. Davanti e dietro niente. Servono anni di riabilitazione anche solo per tornare a prendere in mano una matita con la mano giusta. Povero ragazzo: l’ho visto ultimamente e camminava in stile Fosbury. Era parecchio contento di vedermi, e lo sarei stato anche io, se non avesse impiegato 45 minuti per prendere la mira giusta per riuscire a darmi la mano. Poi è andato via tentando di fare un cenno con la testa, ma gli sono usciti una capriola e un pas de bourrée eseguito alla perfezione. Non deve essere affatto facile sembrare strabici perfino su Venere.

– Bene: il fatto che lei abbia concluso una storia mi lascia pensare che potremmo iniziare a chiudere le altre parentesi lasciate aperte.

Mi dica.

– Mi ha lasciato qui con la mia Jessica immaginaria piazzata in un punto immaginario, ma a sinistra, del mio spazio visivo.

Ha ragione. Tenga lì Jessica, sposti lo sguardo verso destra. Cosa vede?

– Senza droghe, dice? Niente.

Bene. In quel punto esatto apparirà l’immagine di mia figlia per come gliela descriverò. E’ pronto?

– Lei quando mi fa queste domande non desidera una vera risposta, giusto?

No, infatti. Iniziamo. Deve immaginare un immondo e informe sacco medico di plastica dal colore raccapricciante, ripieno di residui di liposuzioni. Bucato, in qualche punto. In alto, a simulare i capelli, una fantasia malata di spaghetti scotti al nero di seppia con una grattata di forfora stagionata. Gli occhi. Oh, gli occhi. Se la spassano dondolando fuori dalle orbite, retti solo dai vasi sanguigni che proteggono il nervo ottico. Per guardare un punto preciso deve prenderli entrambi con le mani e orientarli con le dita. Per pulire le ditate, poi, generalmente basta un bello sputo e sfregarli sul colletto. Come naso deve immaginare un’intercapedine da cui fuoriesce a getto continuo muco di varia consistenza e colore, che si rapprende sul seno e va necessariamente scalpellato via con mano ferma prima di coricarsi. Le orecchie fortunatamente non si vedono, perché sono ricoperte da due stalattiti di cerume che, nei periodi di inerzia superiori ai due minuti terrestri producono anche bizzarre ma complesse stalagmiti a livello del suolo. Veniamo alla bocca: il momento migliore per guardarla è l’autunno, perché i muschi selvatici che si annidano tra i denti sono ancora in via di foliazione e si può quasi avere una panoramica completa della dentatura, composta da dodici canini e, per il resto, da molari di diverse fattezze, dimensioni e inclinazioni. La composizione dell’alito è stata un mistero per noi fino a quando una troupe di ardimentosi scienziati ha deciso di analizzarne la composizione. Il risultato è stato, parole testuali: “E’ quel che si otterrebbe se nascondessimo un tartufo putrefatto all’interno di un calzino usato marinato nel rosso d’uovo marcio e lasciato a essiccare un’intera stagione sotto del letame caldo”. C’è di bello che non soffriamo di carie: le condizioni ambientali della cavità orale si sono rivelate letali per quel tipo di microbi. Veniamo al corpo…

– Deve proprio?

Mi sembra giusto che sappia con precisione che cosa la aspetta.

– Mi creda: sono uno a cui piacciono le sorprese.

In quanto padre della sposa, mi permetta di insistere. Il corpo, dicevamo… Saltiamo il collo, per il semplice fatto che ne siamo sprovvisti: il tronco parte direttamente da sotto il mento, assumendo forme che non sto qui a descrivere perché non potrei, dal momento che alcune nemmeno hanno un nome. Una fitta peluria ricopre poi tutte le zone del corpo, escluse le ascelle. Tutto l’anno. Tranne, ovviamente, nel periodo della muta, quando le piattole che vi si trovano contro la propria volontà possono finalmente fuggire e farsi una nuova vita. Poi, vediamo… Le ho già accennato che la spropositata sudorazione di cui la nostra razza soffre anche d’inverno fa sì che il pelo mantenga quel caratteristico odore da animale selvatico bagnato che…

– Basta.

Come sarebbe a dire “basta”? Mancano ancora il ventre, l’apparato riproduttivo, le gambe, i piedi…

– No, dico davvero, basta così.

Si è finalmente convinto a non farlo?

– No, lo faccio lo stesso.

Aspetti, parliamone.

– Non aspetto. Qui, per qualche motivo, i puliziotti stanno continuando a sigillare tutto con il silicone e io, comunque, sono uno che, quando prende un impegno, porta le cose a termine.

Lei è sicuro di avere messo a sinistra del suo campo visivo Jessica Alba e sulla destra la cosa che le ho appena descritto?

– Sì. E per quanto – glielo assicuro – la sua descrizione abbia reso in qualche modo l’idea della morte una simpatica e tutto sommato plausibile alternativa, credo ancora che sia la cosa giusta da fare: io mi libero dalla convivenza forzata con un manipolo di fanatici editor assassini, e il vostro pianeta sarà finalmente libero di entrare a far parte di quel Lions club della Via Lattea.

Si chiama Sistema Solare Comunitario.

– Quel che è. Mi dica piuttosto di quel modulo IBM.

Che cosa vuole sapere?

– Tutto. Visto che dovrei firmarlo, voglio sapere che obblighi comporta.

Obblighi, nessuno. Ci occupiamo di tutto noi.

– Che vuol dire che vi occupate di tutto voi?

Lei deve solo pensare a rilassarsi. E’ questione di un attimo.

– No, io prima voglio che mi spieghi per filo e per segno che cosa dovrei fare. O, da quel che capisco, che cosa vorreste farmi.

Lei ha ancora le immagini della Jessica e di mia figlia nel suo campo visivo?

– Sì.

Allora la spiegazione è molto semplice: guardi mia figlia, quella a destra. Lo sta facendo?

– Mi ci sto impegnando, sì.

Ecco, sei lei fosse nei panni di quell’informe ammasso di ossa, carne e liquidi corporei, non si sentirebbe almeno un pochino minacciato dal fatto che nella mente del promesso sposo sia anche solo presente come ideale la donna che, invece, incombe a sinistra?

– Beh, diciamo…

Diciamo cosa?

– Diciamo di sì.

Lo vede? Si è risposto da solo.

– Questo cosa vuol dire, che dovrei scordare un’attrice? Tutto qui?

Se fosse così semplice non avremmo bisogno dell’aiuto di un parrucchetto addestrato.

– No, non se ne parla. Io non ho alcuna intenzione di farmi anche solo avvicinare da uno di quei cosi.

Credo che non abbia scelta.

– Facciamo così: io le giuro solennemente che mi impegnerò a non fare mai più pensieri impuri su Jessica Alba o qualsiasi altra umana o aliena dalle simili caratteristiche.

Come le stavo dicendo prima che lei promettesse una cosa che sa di non poter mantenere, non è così facile. Il parrucchetto che la sta raggiungendo è stato da noi modificato in modo che le inserisca nel cervello ricordi fittizi di relazioni infelici con tutte le donne che ha amato nella sua vita.

– Che vuol dire? Che dopo essere stato punto dal parrucchetto sarò convinto di essere veramente stato assieme a Jessica Alba?

Esatto, proprio così. E si ricorderà che non era poi questo granché. Sì, carina, ma niente di speciale. La mattina appena alzati, poi, un disastro. E un caratteraccio che non le dico.

– Ricorderò questo?

Sì, e quelle doppie punte…

– Certo, come ignorare le doppie punte?

L’alluce valgo.

– Non sia mai.

Anche il sesso, alla fine, niente di che.

– Posso farcela.

Lei è un uomo coraggioso.

– Permette una sola domanda?

Mi dica.

– Che significa “ricordi fittizi di tutte le donne che ha amato nel corso della sua vita”?

Qual è la parte che la lascia perplesso?

– La parola “tutte”.

Vuol dire che il trattamento ha effetto su tutti i suoi ricordi che abbiano come ingredienti un qualsiasi essere di sesso femminile associato a un sentimento benevolo come affetto, amicizia, amore… Compresa, ad esempio, l’adorata camerierina del suo pub preferito, a cui non è mai riuscito a rivolgere la parola.

– No, un momento… Anche lei?

Mi sembra ovvio.

– Stop, fermi tutto, faccia atterrare il parrucchetto! Non se ne fa più niente.

In che senso?

– Nel senso che preferisco morire.

(continua… /29)

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5 Commenti

  1. Forse la notizia è stata data, ma mi è sfuggita…esiste per caso un modo per scaricare tutte le puntate in pdf o altro modo per averle tutte insieme?
    Grazie

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