Mayanese

Ma era poi così spietato, questo popolo Maya? Davvero questi signori smembravano corpi e strappavano cuori con le mani? Veramente mozzavano teste che poi facevano rotolare verso le genti che bramavano sangue? Siamo sicuri che giunsero a sacrificare anche ottantamila prigionieri in soli quattro giorni? Possiamo realmente credere che fossero cannibali? Ma non è la stessa civiltà che a scuola ci descrivevano come avanzata nelle scienze e che aveva elaborato mappe celesti e concetti algebrici complessi? Non era insomma una società evoluta? Vogliamo davvero ritenere probabile che fossero sanguinari e spietati come li ha descritti Mel Gibson?

Sì.

La discussione su Apocalypto impazza in tutto il mondo, ma almeno su questo c’è una buona convergenza: la storiografia sui Maya negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante, e sono lontani i tempi in cui Jane Fonda sparava che “i Maja avevano una migliore religione di quella imposta con la violenza dai cristiani”, e pure lontana, tutto sommato, appare anche la retorica relativista di Eduardo Galeano che in “Memoria del fuoco”, ancora nel 1989, sosteneva che “I sacrifici umani li facessero anche in Europa”.

La ricerca storica più aggiornata, tra distinguo vari, ammette che i massacri descritti da Gibson sono sostanzialmente fedeli, e ritiene verosimile che abbiano potuto inorridire persino un avventuriero non di primo pelo come lo spagnolo Hernàn Cortès. Ammessa definitivamente tra le fonti di prova, dunque, anche la concitazione descrittiva di Bernal Diaz del Castillo, uno dei conquistadores spagnoli che dovette assistere al sacrificio di alcuni compagni:

“Vennero suonati un cupo tamburo e molte altre buccine e corni e strumenti come trombe, e il frastuono era terrificante, guardammo in direzione della grande Piramide da dove giungeva il suono, e vedemmo che i nostri compagni venivano portati a forza su per i gradini per essere sacrificati. Quando li ebbero portati sulla piccola piazza, davanti al santuario dove sono custoditi i loro maledetti idoli, vedemmo che gli mettevano delle piume sulla testa dei ventagli in mano; li costrinsero a danzare, e dopo li stesero riversi su pietre piuttosto strette preparate per il sacrificio, e con coltelli di pietra squarciarono loro il petto ed estrassero i cuori palpitanti e li offrirono agli idoli. Quindi, a calci, gettarono i corpi giù per la gradinata, e i macellai che li attendevano sotto tagliarono le braccia e i piedi e scuoiarono la pelle dei volti, e quindi la prepararono come fosse pelle da guanti, con le barbe, e la conservarono per le loro feste. Allo stesso modo sacrificarono tutti gli altri, e mangiarono le gambe e le braccia, offrirono agli idoli i cuori e il sangue”.

Andrebbe specificato che la carne umana veniva accompagnata con del mais, e che il Gran Sacerdote usava un pugnale di pietra con un manico a mosaico. Gibson mostra un pugnale del genere, ma in mano a un guerriero, e cannibalismi invece niente. Questo pugnale veniva piantato sotto il capezzolo sinistro per poi farsi largo nella cassa toracica, dopodichè il cuore, ancora pulsante, veniva strappato a mani nude.
I Maya credevano che sacrifici come questi, grazie all’energia liberata durante l’esecuzione, potessero sanare gli squilibri fra le forze cosmiche.

Lo storico dell’università di Harvard David Stuart, coautore di quattro fondamentali libri sui Maya, ha smentito che questo popolo si cibasse di carne umana per un’improbabile deficit di proteine: il cannibalismo era una parte integrante della loro cultura. I Maya credevano di vivere in una sorta di Quinta età che sarebbe stata distrutta come le quattro precedenti, e i sacrifici servivano soprattutto a scongiurare il tramonto del Quinto Sole: ma le ricorrenze buone per offrire altre vite agli dei erano almeno altre diciotto, tre per la pioggia, una per l’acqua, due per il mais, sei per diverse divinità femminili e una per ciascuno degli dei supremi.

La procedura di ammazzamento cambiava ogni volta: le vittime immolate agli dèi della pioggia per esempio venivano affogate, quelle immolate agli dèi del fuoco erano arse vive, gli altri finivano perlopiù decapitati o trafitti. C’è il caso particolare del giovane scelto per il sacrificio del quinto mese, trattato con riguardo per un intero anno e corredato di quattro spose nei venti giorni precedenti l’esecuzione: poi gli veniva strappato il cuore. Gli spagnoli furono colpiti anche dal cosiddetto Sacrificio gladiatorio: il prescelto, un guerriero nemico che avesse dimostrato indubbio valore, veniva armato con un arma avvolta nel cotone e costretto ad affrontare quattro avversari; nel caso fosse sopravvissuto, doveva affrontarne un quinto ma stringendo il pugnale con la mano opposta rispetto a quella abituale. Alla fine veniva scorticato, e un sacerdote indossava la sua pelle. Il fatto che i sacerdoti Maya fossero astronomi eccezionali non contrasta con la scena dell’eclissi proposta da Gibson, fenomeno che i sacerdoti Maya paiono riconoscere, per quanto lo colgano come un presagio.

Gli storici, di cui non forniamo tedioso elenco, concordano nondimeno anche sull’improbabilità di alcune testimonianze diffuse per giustificare le indubbie crudeltà dei conquistatori europei.
Andrès de Tapia, soldato di Cortès, per dire, raccontò di un altare con 136mila crani sospesi con dei pali che li trapassavano per le tempie: ma messi uno accanto all’altro coprirebbero un perimetro di 130 chilometri.
Per l’inaugurazione del tempio di Tenochtitlan, poi, nel 1487, le fonti parlano di 80mila vittime uccise in soli quattro giorni e in quattro punti di diversi: ma anche ipotizzando un sacrificio al minuto, decapitando e scuoiando giorno e notte, i Maya avrebbero dovuto impiegare non meno di cinquanta giorni.
E’ ritenuto plausibile, per contro, che ad aver riempito d’orrore gli spagnoli di Cortès possano esser stati i centoquattordici gradini insanguinati del Tempio Mayor di Mexico, ma ecco, è qui che comincia il casino.

Le discussioni e le polemiche sul film di Gibson, infatti, perlomeno ad alto livello, riguardano solo in minima parte la questione dello splatter, o tantomeno, come in Italia, le eventuali metafore sullo scontro di civiltà o sull’adorazione di dèi falsi o sul saccheggio della natura. Il punto di discussione è se i Maya descritti da Gibson fossero effettivamente Maya, e non, come resta probabile, Aztechi.
A complicare le cose è il fatto innegabile che il sacrificio umano fu praticato in tutto il mesoamerica da diverse popoli, anche se la palma delle efferatezze pare appartenga appunto gli Aztechi, popolo che persino molti studiosi scelgono di confondere deliberatamente con i Maya così da chiudere ogni diatriba.

Non servono grandi ricognizioni storiche per accorgersi che in effetti qualcosa non quadra. Sul sito del Corriere della Sera, nei giorni scorsi, bastava cliccare sulla pubblicità che prefigurava “Il Messico dei Maya sulle orme di Apocalypto, il film di Gibson” per accorgersi che le orme portavano a rovine non Maya ma azteche.
Sono i tempi a non quadrare, più che i luoghi. La cronologia dei Maya è quella che è, sicchè lo sviluppo delle grandi città risale almeno al 300 dopo Cristo, quando cioè si affermarono tipi architettonici costanti (tra questi il tipico tempio-piramide a gradoni) e insomma quando l’apogeo di questo popolo, attorno all’anno Mille, coincise con la sua rapida e misteriosa fine. E’ appurato che le grandi città vennero progressivamente abbandonate, e non è chiaro se ci sia un legame diretto con l’eccezionale siccità che portò carestie e desertificazione, sta di fatto che i Maya vennero progressivamente sopraffatti dai Toltechi e che lo spagnolo Cortès, quando il 10 febbraio 1519 sbarcò nello Yucatan, trovò sì uragani e pestilenze come descritto dal film di Gibson, ma le popolazioni strettamente Maya erano ormai da tempo disperse e balcanizzate.
E’ vero che nel film non si capisce benissimo la zona, ma il periodo è quello, e non v’è dubbio che attorno al 1500 di templi Maya ancora attivi non ne esistevano più da secoli. L’area Maya era certo gigantesca, e culti e cerimonie non saranno decadute tutte nello stesso tempo: ma il gigantesco centro cerimoniale che si vede nei trailer, e poi nel film, secondo gli studiosi non può che essere quello di Tikal, il più grande ritrovato sinora e che però si trova nella zona del Peten, in Guatemala, in piena civiltà azteca.
Vero è che dal Belize, passando per il Guatemala sino al nord del Messico, ci sono state svariatissime sovrapposizioni di popoli, partendo dagli olmechi e passando quindi ai Maya che raggiunsero il proprio zenith nei primi secoli dopo Cristo, prima di essere rimpiazzati dai Toltechi e poi dagli Aztechi.
Resta che gli Spagnoli, storicamente, in America latina si ritrovarono a combattere seriamente con due sole popolazioni semi-civilizzate: gli Aztechi nel Messico settentrionale e gli Incas in Perù.

Gibson in sostanza ha posticipato di un mezzo millennio la grandezza militare e religiosa dei Maya, e ha traslato di almeno un paio di secoli i segni incontrovertibili della loro decadenza, ciò che più gli interessava. I Maya del 1500 erano di fatto degli indigeni senza arte nè parte, non troppo dissimili dal gruppo linguistico che è sopravvissuto sino ai giorni nostri.
La sola spiegazione che taglia la testa al toro, oltrechè alle centinaia di vittime del film, è che Gibson si sia limitato a far proprio il senso comune di tutte le persone normali che non abbiano passato la vita a studiare il Sudamerica: ha considerato Maya e Aztechi, ossia, come la stessa cosa, peraltro dediti ai medesimi sacrifici indubbiamente notevoli.

Gibson non ha dunque dimostrato la preparazione storica per esempio di un Maurizio Porro, che sul Corriere della Sera ha ribadito a più riprese che il film è “zeppo di errori”.
Tantomeno Gibson ha osato l’accuratezza ricognitiva di Natalia Aspesi, che su Repubblica del 4 gennaio si è detta certa che il popolo in questione trattavasi non dei Maya, e neppure degli aztechi: erano i Toltechi.
Da non confondere con gli Huaxtechi e coi Zapotechi.

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16 Commenti

  1. C’è di peggio di fare il correttore.
    Comunque sì, ho anche fatto il correttore.
    Ma non è mica un problema l’apostrofo: se lo sbagliassi tu non me ne fregherebbe niente. Ma se lo sbaglia Facci, che perde tempo a criticare quelli degli altri…

  2. Il film l’ho visto e mi è piaciuto. Successivamente ho letto il post di Facci e ne ho ricevuto elementi aggiuntivi che, però, sostanzialmente non modificano il gradimento del film.
    I commenti pressocchè inutili, tranne qualcuno.
    Mi sento di consigliarne la visione e trovo eccessiva la discussione che ne ha preceduto l’uscita, solo bieca ed occulta pubblicità.
    Cosa mi è piaciuto? La tensione costante dall’inizio alla fine, l’imprevedibilità con cui si sviluppa la trama, niente dato per scontato, il contesto ambientale in cui si svolge l’azione. Ottimo. Che poi i riferimenti storici non siano precisissimi, vabbè non cambia l’emozione suscitata.

  3. Leo, io esco molto di rado, ma, dovendolo proprio fare, cerco giusto di evitarlo, il sabato sera.

  4. Ho visto il film ieri sera.Mi è piaciuto, però mi aspettavo chissà cosa: ho trovato molto più efferato e credele Seven o Hamburger Hill o Frankesnstein, insomma molti altri li trovo peggiori.. Però, secondo me, certe scene sono troppo lunghe, alcune mi hanno fatto sorridere in un momento in cui forse avrei dovuto sentire del pathos. In generale, si mi è piaciuto, ma non lo ritengo il capovaloro di Gibson (che comunque mi sembra ossessionato dall’eviscerazione!)

  5. Facci, esci molto di rado.
    Siccome vivi a Milano, un po’ ti capisco. E ti compiango.

    Ugualmente ti assicuro che la prestigiosa firma del Giornale che alle 11 di sabato sera rilascia commentini stizziti su Macchianera fa un po’ troppo sfigato. Almeno usa un nick diverso, no? Ne hai tanti.

    Io poi ho effettivamente una vita difficile e problemi su cui non ti annoio, ma a quell’ora ero a cena da amici e poi sono andato anche a ballare, vah. La vita è questa, mica una gara a chi sbaglia meno apostrofi. Quella la vinci tu, tranquillo.

  6. Leo, è questo che mi piace di te: che mi vivi con assoluta serenità d’animo.
    Il tuo interesse per le mie azioni rasenta l’ossessione, e, nonostante decenti strumenti scrittòri coi quali sapresti dissimulare l’acrimonia, alla fine l’acrimonia si nota la stesso.
    Sono contento che tu abbia capito che cos’è la vita, o se ciò pensi: e se per comprenderlo ancor meglio posso assurgere per te a modello negativo, anzi a deciso sfigato, il noto sfigato Filippo Facci, sono disposto a fornire alle tue convinzioni ogni conferma.

  7. Dai Facci, se non sai cosa fare il sabato sera, fammi un colpo di telefono!
    Potremmo passare la serata insieme a commentare su Macchianera.

  8. (Grazie Dania, a nome anche mio).
    Facci, la mia ossessione per te si riduce a un flame ogni due mesi.
    Il mio interesse per te è tale che è da due mesi che non avevo niente da commentare. Persino quando ti spacciavi per una ragazzina: credici o no, ma il più delle volte non mi fai venire in mente niente.

    Forse mi confondi con un altro. Oppure tendi a sviluppare paranoie sulle persone che non conosci. Succede a stare troppo in casa.
    Succede a basare i rapporti coi lettori sugli insulti e le minacce.

    E cos’è questo tanf… ah, già, ho lasciato aperta la valvola dell’acrimonia.
    Che naso buono, eh.

    Ci rimettiamo a parlare di Gibson? Lui sì che mi preoccupa.

  9. Caro Leo, sono contento delle cose che dici, e non darò più ascolto ai commenti di chi – io, non loro – ha sostenuto di questa tua evidentemente falsa ossessione.

  10. MA LEGGETIVI QUALCHE LIBRO DI STORIA…… IGNORANTI,FASCIO-CATTOLICI DELLA MIA F!!!!A!!!!V!!!!A!!!!!!
    LA STORIA è STATA GIA REINTERPRETATA ABBASTANZA!!!!!
    E NON AGGIUNGO ALTRO!!!!!!!!

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