Fumo negli occhi /6

Filippo FacciÈ perché fa bene, perché vi vogliamo bene, che continuiamo a somministrarvi a piccole dosi il libro “Fumo negli occhi. Le crociate contro il tabacco e altri piaceri della vita“, Biblioteca di via Senato Edizioni, ben 14 euro (ma se cliccate qui lo pagate solo € 11,20 e ne risparmiate 2,80). Con cresta da parte del libraio o meno, va comprato. Un lettore scroccone di Macchianera che ha ignorato questo avviso si è svegliato una mattina e il suo volto aveva acquisito i tratti di Gabriele Paolini.
Chi avesse perso le puntate precedenti può portarsi alla pari e reperire tutti i capitoli nella tabella gialla qui sotto. (g.n.)


Cap. 1Vietato Puzzare
Cap. 3Vietato Fumare (parte I)
Cap. 4Vietato
Append.Ottoemezzo sul fumo (puntata trascritta)
Cap. 2Vietato Mangiare
Cap. 3Vietato Fumare (parte II)
Cap. 5Requisitoria

VIETATO

Ci si potrà chiedere se non stiamo paventando una sorta di complotto planetario solo perché non sappiamo smettere di fumare: potrebbe anche essere. Da parte nostra possiamo solo riproporre la convinzione che la campagna contro questo vezzo in sé poco significante – per i non-fumatori – sia solamente la pomposa ouverture di un’opera che prevede ben altri movimenti, insomma sia l’inizio di un qualcosa che certo non riguarda solo i tabagisti. Tanto i fumatori si estingueranno comunque: pipa e sigaro e sigarette appartengono a un altro tempo, a un’altra umanità, il tabacco andrà a secolarizzarsi o emigrerà nel Terzo Mondo come tutte le retroguardie novecentesche. E infatti il discorso non è questo: se a una parte stiamo pur sempre parlando della più colossale campagna salutista che il mondo abbia mai conosciuto, dall’altra, tuttavia, è pressochè certo che altre campagne già bussano: chiedete a vostri amici americani o inglesi o canadesi quale forma sinistra stiano già prendendo le crociate contro l’obesità, contro gli alcolici e, come visto, persino contro gli odori. Finito l’elenco? Ecco: temiamo di no.
Ci ha molto colpito, da questo punto di vista, quanto ha scritto un manuale americano di recente pubblicazione: “La sanità pubblica ingloba le dimensioni sociali e comportamentali della vita per le quali lo stress, le malattie da dipendenza e l’instabilità affettiva rappresentano una minaccia”.
Lo stress. Le dipendenze. Persino l’affettività. Nel secondo capitolo abbiamo già citato una ricerca in cui si sostiene che i fumatori non sposati morirebbero prima, e va da sé che noi l’abbiamo riportata così per ridere: ma i ricercatori erano dello stesso avviso?
Se davvero il pensiero unico e igienizzato dovesse inglobare le dimensioni comportamentali della società, in primo luogo, dovrebbe forse maggiormente soffermarsi – ma qui andiamo fuori tema – sulla spaventosa diffusione della depressione in Occidente: ne soffrono un europeo su tre e un americano su due, e la tendenza sanitaria mondiale è curarla a suon di pillole sin dalla tenera infanzia: negli Usa, in particolare, s’intravede come patologica ogni malinconia, e indubbiamente s’avanza una tendenza a interpretare la natura umana in chiave solo biologica, dunque a prendere per malattia ciò che un tempo fu solo l’umano mal di vivere o talvolta il capriccio del genio. Avemmo già a scrivere, altre volte, che oggi il pessimismo di Leopardi sarebbe liquidato come un mero problema di neurotrasmettitori; un problema sanitario, dunque. Nuove ricerche del resto hanno evidenziato come persino il sodalizio madre-neonato si instaura sotto l’effetto di droghe naturali (le endorfine) mentre i meccanismi chimici che sottostanno all’innamoramento sono a loro volta noti da tempo. Oggi la somma di tutte le voci dei dizionari psichiatrici forma praticamente la natura umana, e da una parte tutto questo è perfettamente normale: da un altra no. In mezzo alla contraddizione, quella che vede coincidere devianza e mancanza di salute, in ogni caso ci siamo noi. Ma non dovevamo andare fuori tema, e l’abbiamo appena fatto.


E allora daccapo: che sta succedendo? Non abbiamo una verità in tasca: ne abbiamo due o tre.
C’è la lettura politica e libertaria di Antonio Martino ministro ed economista:

“L’impiego di argomentazioni pseudo scientifiche volte a distogliere la percezione del rischio, terrorizzare l’opinione pubblica e indurre le autorità politiche all’adozione di misure restrittive delle libertà individuali… l’uso spregiudicato di argomentazioni pseudo scientifiche (junk science) rappresenta nient’altro, nella quasi totalità dei casi, che uno strumento nella lotta che gli statalisti di ultima generazione conducono ai danni delle nostre libertà… Ma la battaglia è molto dura: per poter smantellare l’enorme mole di fasità propalate dagli eco terroristi bisogna riuscire a interessare l’opinione pubblica a argomentazioni non sempre intuitive, che presuppongono talora anche conoscenze specifiche non sempre largamente diffuse”.

Poi c’è la lettura di un certo Sigmund Freud, breve e folgorante:

“L’uomo moderno ha rinunciato alla possibilità di essere felice in cambio di un po’ di sicurezza”.

Che cosa intendeva? Forse che una delle minacce più serie alla libertà, oggi, proviene da una declinazione della libertà stessa: ossia un diminuito margine di autonomia individuale a fronte della proliferazione, paradossalmente, proprio dei diritti individuali: la società occidentale è ormai divenuta un insieme di minoranze che a turno sono oppresse da sempre nuove maggioranze; una moltiplicazione di carte dei diritti del cittadino, del consumatore, del bambino, dell’alunno, dell’anziano, del malato, del pedone, dell’automobilista, del turista, dello sportivo, del disabile, del militare, del teleutente, dell’ascoltatore, del lettore: senonchè a un certo punto tutti i diritti finiscono per elidersi a vicenda in un dedalo di tribunali e garanti e corti e authorities. Sul tavolo, frustrati e legittimi, rimangono dunque i diritti per esempio degli ambientalisti e dei cacciatori, dei giovani e degli anziani, di chi per sicurezza vuole essere armato e di chi per sicurezza esige che la gente sia disarmata, di chi vuole fumare e di chi non vuole il fumo altrui.
Michele Ainis, docente universitario e notista, sull’argomento ha scritto un saggio davvero interessante e che segnaliamo al pari di un suo timore: che tutti questi diritti, alla fine, offrano pretesto a ogni egoismo e rivendicazione individuale.
Non è un buon segno che alcuni monitoraggi abbiano rilevato una crescita notevolissima dei contenziosi per cosiddetta lesione della personalità, da intendersi come denunce sporte da cittadini contro altri cittadini: primeggiano alcune categorie contro altre (in primis magistrati contro giornalisti) mentre anche il cosiddetto dibattito culturale tende a cedere il passo alla carta bollata: senza che, peraltro, la cosa faccia granchè notizia.
Niente di strano che anche in Italia abbiano esordito cause penali e civili contro fumatori accusati d’aver causato delle malattie mortali. In quest’ottica, benchè siano quattordici milioni, i fumatori restano semplicemente una minoranza. Ne consegue che ogni singola questione – fumare, appunto – può sembrare trascurabile o magari importante solo per i fumatori stessi, così come può sembrare non troppo oppressivo uno Stato che in fondo ti chieda solo di rispettare delle regole: e, come detto, fumare non è certo proibito. Eppure, dal fumo in poi, lentamente, nel loro insieme, queste regolamentazioni finiscono per imbrigliarci come le cordicelle che bloccavano Gulliver:

“Un po’ alla volta stanno trasformando l’intero emisfero occidentale nell’immagine ingrandita di Singapore, città-Stato supertecnologica e opulenta governata per decenni dal re-filosofo Le Kuan Yew, dove tutto è prescritto, controllato, sanzionato. Dove manca ogni spazio di discussione pubblica e non v’è cittadinanza per le ideologie politiche. Dove fioccano i divieti, a cominciare dalla proibizione assoluta di sputare in pubblico”.

E non vorremmo uscir di tema un’altra volta: ma in questo quadro ci si può immaginare quanto l’emergenza dell’11 settembre abbia reso tutto più complicato. Siamo tutti un po’ meno liberi di prima, e sarà anche vero che in cambio di un po’ di sicurezza – tornando a Freud – l’uomo ha davvero rinunciato alla possibilità di essere felice: in compenso, in qualche caso, è rimasto vivo. Resta da capire se lo sia rimasto nella consapevolezza che il bisogno di sicurezza genera sempre – sempre – anche delle forme di un autoritarismo, la tendenza a regolamentare ogni cosa.
Anche le sigarette? Non direttamente. Il marasma dei diritti individuali brulica dal basso, ma le decisioni circa le priorità cui dare la precedenza – per la nostra salute, per nostra sicurezza – sono pur sempre prese dall’alto. E l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in accordo coi governi occidentali, come stra-detto, ha deciso che la prima causa di morte rimovibile – per la nostra salute, per la nostra sicurezza – sono proprio le sigarette. Non un’altra cosa: le sigarette. Poi, nell’ordine, verranno il cibo e gli alcolici. Poi altre cose, si vedrà.
Anche i libri? Piano. Diciamo che la proliferazione dei diritti individuali e la crescente richiesta di sicurezza hanno creato qualche problema anche alla libertà più ufficialmente tutelata in Occidente: quella di opinione,
E’ da decenni che che una Commissione per l’educazione dello Stato di New York edulcora ogni testo letterario per non offendere la sensibilità dei giovani. Tutto: dai romanzi di Hemingway alle biografie su Miles Davis, dalle memorie di Elie Wiesel ai discorsi di Kofi Annan. E poi naturalmente nei vari testi vecchio diventa anziano, grasso diventa sovrappeso, gay diventa omosessuale e solite cose. In nota qualche esempio di queste censure letterarie.
Più di recente, dopo l’11 settembre 2001, gli scrittori Michel Houellebecq e Oriana Fallaci sono stati denunciati da quattro associazioni musulmane con l’accusa di aver istigato all’odio razziale e offeso la religione islamica. Di altri due libri imputati invece di pedofilia – Rose bonbon di Nicolas Jones-Gorlin e Il entrerait dans la légende di Louis Skorecki – si stava occupando invece il ministero dell’Interno francese per valutare l’opportunità di censurarli: e questo per restare alla Francia, dove naturalmente il dibattito è sempre molto complicato e dove la Lega per i diritti dell’uomo, per dire, da una parte appoggiava le accuse contro Houellebecq e la Fallaci, per gli altri due casi invece invocava la libertà d’espressione. Nel marasma vi è da da sperare che sfugga all’attenzione generale la Divina Commedia, laddove Dante mette Maometto nientemeno che all’Inferno.
Resta che la voglia di sicurezza e la lotta al razzismo e la correttezza politica possono incrociarsi con esiti quantomeno ambigui. Romano Prodi, da presidente della Commissione europea, aveva sollecitato il governo italiano perchè superasse la propria opposizione alla direttiva comunitaria che voleva equiparare razzismo e xenofobia a dei reati penali: terreno alquanto scivoloso che avrebbe lasciato campo a conflittualità pressochè infinite; oltrechè l’Italia, anche la Gran Bretagna si era già detta scettica circa la possibilità di sanzionare, come teorizzava la proposta di legge, anche delle semplici affermazioni. Occorre tener conto, nell’impazzimento complessivo, che a Praga, nell’agosto 2003, un ragazzo moldavo era stato accusato di apologia del comunismo perché su un giornaletto aveva scritto che l’unico rimedio all’ingiustizia sociale è la dittatura del proletariato . Questo il clima.
Non meno disgraziata, tempo prima, tornando asll’Italia, era apparsa una proposta di legge parlamentare che sollecitava l’insaprimento del reato di bestemmia, peraltro già depenalizzato nel 1999 assieme ad altre norme ritenute anticostituzionali. La proposta era di multare sino a 5000 euro chiunque bestemmiasse contro dio, con la lieve complicazione che l’Italia è uno stato laico e una religione di Stato non esiste più: sicchè il dio, per dirla malissimo, non è più uno solo. Ne sarebbe conseguito un probabile ginepraio reso più inquietante dall’immagine di un giudice che difende la parola di dio in tribunale, come appunto avviene nelle teocrazie.
Poi – fuorviante o meno che appaia – vi è appunto la questione del semplice parlare. Non c’è da lagnarsi dei pruriti di chi dice estremità al posto di piede, o sacerdote al posto di prete: e neppure da fare le pulci al giornalese che si reca nei posti anzichè andarci, o ancora si spegne al posto di morire. Dire benestante anzichè ricco, o di modeste condizioni sociali anzichè povero, è questione più di pruriginosa educazione borghese che non di correttezza politica, così come – nonostante il burocratese impazzi – nessuna persona normale dirà mai non vedenti per ciechi e non deambulanti per paralitici, o addirittura verticalmente svantaggiati per nani.
Ma per altri aspetti non si sa più come parlare, e si sfiora il cretinismo. Ci sono dignitosissimi termini di lingua italiana – povero, zoppo, spastico – che sono stati requisiti, e non è ben chiaro perché. Non si tratta di fare gli ottusi: è chiaro che dire immigrati afroasiatici, per quanto sia espressione lunga e brutta, sia meglio che dire vu cumprà oppure i marocchini. Ma extracomunitari? Esiste ancora? Si può dire? E va da sé che froci suona brutto e volgare: ma che cosa bisogna dire? Gay va bene oppure no? Bisogna dire omosessuali? E lesbiche va bene? Gli è che bisogna tenersi continuamente aggiornati.
Gli esempi sarebbero tanti, ma l’attorcigliarsi del politicamente corretto ha pur sempre un’origine da cui vorremmo ripartire per render l’idea: la parola negro. Questa bellissima espressione – nostro parere – prima divenne nero (black) che a sua volta poi divenne scorretta, e allora divenne afroamericano (sette sillabe) che a sua volta adesso sta diventando scorretta: e allora forse diverrà – pare – people of color. Bene. E poi?
Si sa che in America non sono tutti normali. C’è tutto un movimento femminista ribattezzato gender feminism che tra mille aberrazioni protomarxiste – come il rigetto del rapporto sessuale, ignobile sopraffazione maschile – vorrebbe abolire il suffisso man da ogni parola americana: persino woman (donna) diverrebbe womyn. Da immaginarsi i problemi con mankind (umanità) e chairman (presidente, direttore) e addirittura history (la Storia, perché his è aggettivo possessivo maschile).
Sull’argomento, oltre al solito Robert Hughes, va segnalato anche un saggio di Giorgio Bianco che il riassume le velleità del suddetto apparato come un obiettivo in fondo non particolarmente originale: in fondo – dice – è il vecchio incubo della ri-creazione dell’esistente, la pretesa intellettuale di plasmare la realtà nella convizione di avere un punto di vista privilegiato sulla vita e sul mondo. In quest’ottica anche il termine guerra ne ha fatto le spese: è stato quasi soppresso. Di volta in volta è missione di pace, intervento umanitario, operazione di polizia internazionale: l’unica guerra rimasta in piedi è quella delle parole, tanto che in Italia è sufficiente che una giornalista vanesia dica “resistenza irachena” o “cosiddetta resistenza irachena – anziché terrorismo, come altri vorrebbero – e si scatena una discussione infinita.
Infinita come la nostra divagazione, invero. Mangiare, bere, profumarsi, leggere, parlare. ora la guerra: e siamo partiti dalle sigarette. Tutto perché non vogliamo smettere di fumare? Vero e non vero.
Potevamo far di peggio, in fondo. Se realmente la sanità pubblica ingloba e vede come una minaccia le dimensioni comportamentali e sociali della vita – dunque lo stress, le malattie da dipendenza, l’instabilità affettiva – avremmo avuto gioco facile nel ricordare che il benessere di un popolo stabilito dall’alto, e il potere delle corporazioni professionali, e il primato del collettivo sull’individuo, e la glorificazione dell’intervento statale, beh, sono tutte cose che hanno dei precedenti considerati poco illustri. Una sanità che ti tratta come un bamboccio da terrorizzare, e che senza una base scientifica seria ti accusa di ammazzare il prossimo e dei bambini non ancora nati, una società del genere, va da sé, meriterebbe una risposta di pari livello culturale: meriterebbe che fosse ricordato che i primi a combattere la nicotina e l’alcol in virtù del dovere di mantenersi saniGesundheitsplifcht – furono i burocrati del Terzo Reich. Il primo Istituto per la Lotta al tabacco della storia – si chiamava proprio così – fu istituito in Germania nel 1942, e Adolf Hitler vi fece una donazione personale di centomila marchi.
Nel 1939 il medico nazista Fritz Lickint pubblicò Tabak und Organismus, un volume di oltre mille pagine edito in collaborazione col Comitato per la lotta alle droghe e la Lega Tedesca Antitabacco: si concludeva, dopo aver esaminato ottomila pubblicazioni scientifiche provenienti da tutto il mondo, che il fumo era responsabile di una quantità impressionante di malanni. Il termine fumo passivo – passiverauchen – fu coniato allora .
Che cosa vogliamo dire, con questo? Che cosa vogliamo insinuare? Niente. Sono sciocchezze. Non è un’argomentare serio, lo riconosciamo. Ma certi anti-fumo dovrebbero avere il pudore di riconoscere altrettanto per quanto riguarda certe loro crociate.
Se le sigarette sono divenute solo un pretesto per litigare, almeno, facciamolo bene. Da questo scritto potete trarre una prima morale: la nostra ce la siamo appena accesa.

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44 Commenti

  1. gb, non sono le ricerche ad essere cialtronesche. le ricerche sottolineano un rischio quando c’è, è il come interpreti ed applichi la risposta a questi rischi che può lasciare a desiderare sfiorando il ridicolo.
    la questione è politica non scientifica.

  2. Secondo me invece la politica è pericolosa, in questo caso. Perché può sì portare agli estremi che Facci paventa, ma può anche, portata alle opposte conseguenze, consentire qualunque autodistruzione.
    Io intendevo dire che qui, forse, siamo un pochino in vantaggio nell’esercizio dell’italico buon senso, che peraltro potrebbe rivelarsi l’antidoto più utile ad alcuni fanatismi.

  3. sono con te ab, è ciò che intendevo. volevo solo sottolineare che chi se la prende con la scienza per le aberrazioni derivate dalla tecnologia di solito non prende in considerazione che è uno strumento usato dalla politica, a volte bene spesso male.

  4. Silvestro, dovrei assecondare le crisi d’astinenza di un fumatore, a scapito della mia stessa salute? Tollerante sono tollerante, ma masochista proprio no.
    Ora ti faccio un esempio alternativo : l’inquinamento acustico. Mettiamo che a me piaccia suonare la trombetta allo stadio e mi trovi seduto dietro di te. Con questa pratica ti irrito terribilmente il timpano. Io sono un tifoso che proprio non riesce a tifare senza la sua trombetta. Cosa ne pensi se ti dico di spostarti e tifare altrove, perché non lasciandomi usare la trombetta dimostri la tua intolleranza? Non sarebbe corretto che io ti chiedessi “disturbo?” e in caso affermativo mi astenessi dall’uso della trombetta ? Ripeto, non sta né in cielo né in terra che io ti dò dell’intollerante perché non mi lasci fracassare i tuoi timpani. Va bene, così? Sei tifoso? Hai le orecchie delicate? Facciamo questo esperimento di tolleranza?
    Sai, sono anche io di Roma e quindi sarebbe facilmente realizzabile.
    Se fanno settori con-trombetta e senza-trombetta il problema non si pone, se invece siamo entrambi vicini, credo sia giusto tutelare la salute fisica (e mentale in questo caso) del senza-trombetta. Dissenti? Se sì, argomenta.
    Con altrettanta simpatia

  5. lo vedi che non ci sei federì?
    leggi meglio prima di rispondere, non precipitarti.
    stare all’aperto con un fumatore vicino non turba i tuoi polmoncini rosa e se ti fai un giro su med-line trovi facilmente conferma.
    il tuo esempio poi calza a pennello, ti voglio vedere dire allo stadio a qualcuno di non suonare la trombetta. oltre al fatto che dove la suoni la trombetta se non allo stadio?
    non siamo soli al mondo e dobbiamo convivere, tu sai che ad un concerto all’aperto si fuma e allo stadio si strombazza ed io so che nei locali chiusi e nei ristoranti il mio fumo da fastidio.
    se io vado fuori a fumare è educazione, se tu non rompi ad un concerto è educazione lo stesso.
    federì, tu non sei affatto tollerante, ma proprio per nulla. come non lo è, almeno a parole, facci con i salutisti.
    su federì, non rompere.
    mò basta co ‘sta storia che mi è venuta a noia

  6. Egregio Silvestro, io ce l’ho coi salutisti ignoranti e stupidi che rompono i coglioni. E tu ce l’hai con Federico. Vedi? Abbiamo una cosa in comune.

  7. Bene… Ti auguro di non trovarti mai vicino a qualcuno che ama strombazzare pesantemente senza preoccuparsi di te.
    Ai concerti al chiuso purtroppo il divieto non viene applicato né le persone si fanno il benché minimo problema (persino gli artisti, pensa te!).
    Piccola precisazione : non è male solo ciò che distrugge i polmoni, ma anche ciò che dà il sintomo. E’ una differenza importante : molto spesso il problema del fumo (per un non-fumatore e quindi “passivo”) non è primariamente quello del rischio di tumore bensì il senso di nausea, la secchezza della gola, l’irritazione agli occhi ed altro. Per questo ti dico che sarebbe buona educazione preoccuparsi di non creare problemi di questo tipo agli altri. Chiamala questione di sensibilità, o come ti pare.
    Sull’altra questione : il modello americano è profondamente sbagliato, perché il concetto di bene corrisponde a quello di convenienza.
    Però dal punto di vista teorico mi sembra giusto che uno Stato cerchi di attuare politiche volte a migliorare la Salute della popolazione, combattendo mali sociali importanti.
    Le politiche economiche per risolvere i mali sociali, le politiche ambientali per salvaguardare la natura, ecc.
    Perché non cercare di contrastare il processo di danno autoprovocato? E’ come dire che un meccanico deve mettersi a riparare macchine che i proprietari si divertono a sfasciare. Sono liberi di farlo. E’ vero. Ma così si deviano soldi che potrebbero aiutare altri settori della Sanità.
    Alcune politiche sanitarie hanno ridotto drasticamente l’incidenza di alcune patologie (ad es. la tubercolosi, che purtroppo sta ripresentandosi) e dunque sono sacrosante.
    Preciso : non sono politiche giuste perché le più convenienti, ma sono giuste perché salvaguardano la Salute.

  8. Io lo ammazzo. Non ce la faccio più, Federico è troppo scemo. E così scemo che non riesco a ignorarlo. E’ chiaro. il vero scemo sono io: che sono un uomo fatto e finito il quale potrebbe occuparsi di ben altro che uno studentello a carico che scrive i pensierini sul suo blog: andateci. leggete, indi cercate la sua foto e poi chiedetevi se la fisiognomica non sia una scienza esatta. Non ce faccio, è un mio limite, ma è proprio l’archetipo del cretino, quello storico, quello delle leggi fondamentali sulla stupidità umana di Carlo Maria Cipolla, è l’imbecille che senza volere fa danni agli altri e pure a se stesso, quello che non ha ancora cominciato a lavorare – si vede – e già impersonifica il medico-taumaturgo, missionario, portavoce del bene e del male, titolato a impersonificare quella sanità pubblica che – dicevo nel libro – ingloba le dimensioni sociali e comportamentali della vita, e rompe il cazzo, rompe il cazzo e rompe il cazzo ed è così stupido che non capisce neppure quando sta facendo brutta figura, quando sta esagerando, quando dovrebbe informarsi prima di parlare, perlomeno leggere ciò di cui – in teoria – si dibatte, è l’archetipo del peggio della rete, il vero limite della rete stessa, da questo punto di vista il peggiore che abbia mai incontrato su questo sito che pure non scherza. L’assurdo è che probabilmente dietro a tutto questo si cela una cazzo di ipersensibilità tipica dell’iperdifensivo, tipica dell’asceta&gaudente che non trova mediazione come non la trova quell’Harry Haller (Herman Hesse) che nel Lupo della Steppa è per Federico un parametro di riferimento: sicchè a me sotto sotto spiace, sto sparando contro un ragazzetto con Cruise. Ma lui insiste e ogni uomo (ragazzetto) da un certo punto in poi è arteficie del proprio destino, e io sono a un passo dall’andarlo a prendere a casa fisicamente, giuro, sono a un passo dall’appendere al muro questo straparlamte di “mali sociali” e “modello americano” che si va a leggere il bigino sanitario prima di scrivere il post, questo scemo cubitale che scrive cose che ho confutato scientificamente una per una – chi vuole avere le fonti degli studi mi scriva – e però continua, continua e continua e continua come un mulo pirla. Sin dal primo post il sottopancia era il seguente: ‘perchè lui sì e io no? Perchè quel giornalista scrive di cose senza essere un medico, posto che neanch’io lo sono perchè sono uno studentello che pure vi ammorba con le sue lezioncine?’. Lo che dovrei ignorarlo e basta, ma è un periodo così. Tra poco sparirò cone una tantum faccio regolarmente. Manca pochissimo. Ma giuro che io questo lo vado a prendere a casa. Lo elimino.

  9. Ahahah! Finalmente sei riuscito a farmi ridere! Bravo!
    Wow! Merito il commento più lungo! Quale onore! Addirittura ti sei sentito in dovere di documentarti sul sottoscritto, per trovare qualche cosetta a cui appigliarti. Non scendo al tuo livello, anche perché, ripeto, i tuoi riferimenti mi farebbero sparare sulla Croce Rossa (e io difendo anche quella).
    Purtroppo Facci quando ti agiti mi ispiri quasi tenerezza. Il Mughini dei poveri.
    Mi dispiace deluderti ma non ho mai avuto la benché minima intenzione di scrivere un libro sull’argomento fumo (né tantomeno nella tua forma inesatta da GENTE MESE). Non ho mai difeso la sanità pubblica, anzi (ma d’altronde questo non ti riguarda perché è la mia vita e io non ho interesse ad apparire a Cronache Marziane).
    Mi dispiace per il periodo un po’ così. Non riesci a sparire e questo un po’ mi dispiace anche. Che tenerezza, il reporter spaccone. Infanzia difficile?

  10. comunque, Federico, anche la salvaguardia della salute mentale è importante.
    Tu stai pesantemente minando quella dei partecipanti a questa discussione e sarebbe cosa buona e giusta che tu, per sensibilità, smettessi di buttarci addosso il fumo delle tue parole.

  11. Sulla junk-science ci sarebbe un mare di cose da dire. In attesa di leggere il libro di Milloy segnalato da Facci, vi dico che per esperienza personale purtroppo la scienza, che per l’uomo della strada o semplicemente per il non ricercatore scientifico ha in tutto e per tutto sostituito le religioni positive fondate sulla rivelazione sul trono della VERITA’ (mentre non a caso tra i ricercatori vi sono tassi di religiosità più elevati, proprio perché l’esercizio diretto della scienza mette in contatto non tanto con la verità, ma con il mistero e la confusione dell’universo), la scienza dicevo quando la eserciti in prima persona si rivela un’anguilla. Attenzione, non sto dicendo che tutto quello che si pubblica sulle riviste referate in lingua inglese è spazzatura (ormai anche le riviste scientifiche tedesche o italiane o spagnole sono redatte in inglese). Sto solo dicendo che i risultati scientifici, quando li produci in prima persona e ne hai una buona padronanza (spero), cominciano a sfilacciarsi e a farfalleggiare nell’aria quasi con la stessa inconsistenza delle chiacchiere da bar. Che voglio dire?
    1) Voglio dire che spesso accade che i risultati scientifici opposti non riescono a escludersi a vicenda. Purtroppo quasi mai si riesce davvero a produrre il cosiddetto esperimento decisivo che esclude una delle due ipotesi. Risultato? Molte volte è scientificamente dimostrata sia una ipotesi che il suo opposto.
    2) La statistica produce stime, non verità univoche. La scienza più procede più diventa probabilistica. A cominciare dalla fisica, figuriamoci il resto. Ti dice: potrebbe accadere allo X% questo, all’Y% quest’altro, allo Z% quest’altro e cosi via. Chiaramente queste sono previsioni per modo di dire. Certo, la scienza consente anche di escludere una serie di opzioni, ma ne lascia moltissime altre aperte. Nel caso specifico, possiamo veramente escludere solo che fumare sia innocuo. Ma quanto è davvero dannoso?
    2) Si apre quindi tutto un contenzioso infinito, che Facci, glie ne va dato atto, espone in maniera (credo) esauriente nel suo libro, e avvertendo in maniera onesta che egli assume una posizione critica e oppositiva. Il problema è che, per esempio, quantificare il rischio del funo passivo diventa davvero una impresa e costruire il cosiddetto esperimento decisivo non è facile. Probabilmente, l’esperimento decisivo non c’è. Come tutte le cose, il risultato (probabilistico) deve poi essere discusso, come accade già nella scienza stessa. Infatti la sezione finale di ogni articolo scientifico si chiama “Discussion”. Se i risultati parlassero da sé, tutto finirebbe due paginette prima, con la sezione “Results”. Ma non è così. La “Discussion” espone criticamente e cerca di riassumere che cosa davvero significano tutti i numeretti pubblicati nella sezione precedente.
    3) Ma la “Discussion” mica finisce li. L’articolo viene pubblicato, letto dalla comunità scientifica, ridiscusso in altri articoli, congressi ecc. Gli articoli che hanno anche ricadute pratiche immediate (fumo, ad esempio) subiscono poi ulteriori discussioni politiche, ideologiche, di costume, ecc. Ora, il rischio fumo c’è, per alcuni insopportabile, per altri accettabile. In teoria il fumo sembrerebbe un fenomeno facilmente eliminabile, in realtà non è così per nulla (vedi dati sulle ricadute). Poi c’è il fenomeno di costume. Per un numero di ragioni storiche si è ottenuta una “depuzzificazione” dell’occidente. Sinceramente questo argomento è talmente esteso e connesso con mille fili con un tale numero di altri problemi di tipo storico e sociologico che, per ora, mi fermo qui. Ma solo per dire una cosa. L’eliminazione del fumo, prima ancora che un problema medico-sanitario, è in realtà un problema di cultura e di tendenza. Chi fuma difficilmente smetterà di farlo. Ma chi ancora non fuma dovrebbe iniziare a farlo sempre meno facilmente, semplicemnte perché il fenomeno diventerà sempre meno visibile e socialmente accettato. E’ giusto o sbagliato? Non so. Per arrivarci, però si è deciso di ghettizzare i fumatori spesso anche con forza, e loro legittimamente reagiscono. Cosa altro poteva accadere?

  12. Bel post, contropolemico.
    Lo sottoscrivo. In effetti era quello che affermavo fin dall’inizio, ovvero che gli studi scientifici non sono attendibili solamente per il fatto che essi siano stati pubblicati.
    Se il medico già tentenna, nonostante la sua (si spera) competenza ed esperienza, immaginiamo chi questa competenza tecnica (e sottolineo tecnica) non la possiede.
    In Medicina, inoltre, non si può ragionare solo con le statistiche, perché come tu dici non esiste l’esperimento finale ed ogni caso è un universo a sé.

  13. contro,
    su alcune cose non posso che essere d’accordo, su altre meno.
    sulla religiosità degli scienziati secondo la mia piccola esperienza prendi una cantonata: la scienza non si è mai considerata come un’alternativa alla religione, sarebbe anche sbagliato farlo.
    questo per il semplice motivo che la religione si basa su dogmi non dimostrabili, ovvero sulla fede, la scienza prende ad esame le teorie più probabili e le confuta con la statistica.
    un esperimento riesce quando la “casualità” è sotto il 5%, ovvero quando c’è un margine d’errore minimo, ciò non vuol dire che l’errore non ci possa essere. ma questo è l’unico modo e la scienza, al contrario della religione, prevede l’errore.
    perciò puoi trovare risultati che possono essere discordanti.
    diciamo che non è la verità ma è ciò che più si avvicina ad essa.
    ma non posso che darti ragione su questo.
    diverso è però il discorso su alcuni risultati macroscopici come il danno da fumo.
    qui non si tratta di sperimentazione e quindi di formulazione di teorie ma di semplice epidemiologia.
    aloora non si può che la scienza sia la verità assoluta ma, soprattutto, non si può assolutamente dire che sono tutte fregnacce. anche perchè c’è uno studio dinamico, che non si ferma e che continua a confutare o a trovare percorsi alternativi possibili.
    perciò si pubblica, oltre che i risultati, anche la discussione e le referenze, ti da la possibilità di capire per confutare o migliorare.
    sorry per il pippone

  14. Silvestro ha scritto: “sulla religiosità degli scienziati secondo la mia piccola esperienza prendi una cantonata: la scienza non si è mai considerata come un’alternativa alla religione, sarebbe anche sbagliato farlo.”

    Hai ragione, dovevo scrivere: lo scientismo e non la scienza ha preso, per molti non ricercatori (ma anche per molti ricercatori) il posto della religione. Lo scientismo, cioè la trasformazione di una serie di ipotesi più o meno dimostrate in una visione cosmologica dell’universo, che è quella meccanicistica e materialistica, con la variante computazionale per quanto riguarda i problemi del rapporto mente-corpo e dell’anima. Per molti questa visione, che assume come verità assolute più i risultati della fisica classica che quelli della fisica quantistica (troppo probabilistica e astratta per diventare scientismo e religione), è anche una religione nel senso peggiore del termine, cioè una rassicurante spiegazione teleologica dell’universo. Per altri, e spesso costoro sono ricercatori, la coscienza dell’inconoscibilità dei misteri più profondi dell’universo può invece assumere la veste di un vero e proprio TERRORE SUBLIME, e alcuni buchi neri insondabili nella struttura dell’universo o della natura del tempo o del rapporto mente-corpo emettono scricchiolii così sinistri e disumani da farli ritenere quasi voce di qualcosa di estraneo, di lontanissimo e inconoscibile e la tempo stesso in qualche modo mostruosamente razionale, e chiamarlo Dio.

  15. Contropolemico, non sono d’accordo, non è affatto banale. Per la gioia dei pro-fumo, a un certo punto ci ha supplicato di lasciarlo andare a fumare :-)

  16. Galimberti non dice nulla di originale, risciaqua i piatti della critica della tecnica e dell’occidente tecnologico, copia in quantità industriali da Heidegger, Nietzsche, Severino, Gottfried Benn e tutta la gente della Konservative Revolution, Donoso Cortez, Bonald, Lamennais, De Maistre, Gustave Le Bon, Adorno e francoforteria bella. E’ giusto un po’ più in alto di Massimo Fini, sembra al di sopra del divulgativo e invece ci rientra in pieno. Meglio Crepet e Morelli, almeno li il bluff si vede. Sembra i Beatles ed è gli Oasis.

  17. Io non possiedo tutte le tue conoscenze, ma mi sono accorta che nulla di originale è venuto fuori. E’ molto bravo a mettere a fuoco però e solo per questo il bluff non c’è. Ed è umano, mica poco. Nuovi vizi dell’età della tecnica: conformismo, omologazione, nichilismo (beni), diniego, tenendo sempre a mente i limiti dell’uomo. Lui crede ai limiti, io non me lo posso permettere e vado a cercare il sacro nei boschi.

  18. Contropolemico, spero che non mi toglierai il saluto. Perchè ho da dire che la tua analisi di Galimberti è in parte ineccepibile, ma tutto sommato io preferisco lo stesso che Galimberti esista. Non è al di sopra del divulgativo, certo, ma forse un po’ di divulgazione è proprio quello che manca. Galimberti lo trovo insopportabile quando lo chiamano a opinare a margine praticamente di qualsiasi cosa, dunque a prostituire la Psiche&Techne e la critica della modernità ai pruriti del beota lettore di Repubblica. Però ogni tanto – tanto – circa la divulgazione riesce a fare una cosa incredibile: farla. Non è come Alberoni e la sociologia: non è che parla sempre d’altro o di sè. Quando ci fu da scrivere sulla 21enne Lynndie England, la soldatessa-aguzzina di Abu Ghraib, secondo me fu l’unico a fare un’analisi decente e addirittura coraggiosa che probabilmente gli avrà attirato l’odio di tutte le lettrici orrende del Venerdì di Repubblica. Come per Massimo Fini – che penso sia il miglior divulgatore che ci sia in circolazione, tanto che vorrei riuscire a fare con Wagner quello che lui ha fatto con Nietzsche – il vero problema è il pubblico che ha. Schifare la divulgazione è schifare il pubblico a pèriori, e intendiamoci: è la posizione che da snob di merda io ho fatto mia la maggior parte delle volte scrivendo per esempio di musica classica, materia nei confronti della quale tuttavia mi considero a modo mio un divulgatore. Le bocciature a priori sono materie tipico dei miei colleghi del Foglio, che bocciano chiunque non sia ideologicamente utile. Non accetto il paragone con Crepet e Morelli. Crepet lo lascerei da parte: lo considero del tutto innocuo, una sorta di arredo catodico. Morelli io invece lo voglio in galera, come chiunque operi lucide circonvenzioni d’incapace nei confronti dei disperati e dei disposti a tutto: e neppure rifacendosi a Lacan, ma a Maurizio Costanzo.

  19. Arrivo tardi, ma sottoscrivo in pieno il post di Contropolemico. Uno scienziato che crede di avere in mano verità è solo un cattivo scienziato. O è in cattiva fede, o è un idiota. Comunque uno che fa male il proprio lavoro. Te lo insegnano alla lezione 1 di epistemologia della scienza. Si parte dai risultati – che sono dati sempre per buoni, nel senso che si assume che si ha a che fare con persone oneste – e poi li si discute, quindi quello che lo scienziato propone è un’interpretazione, niente più. Senza contare che il giorno dopo può arrivare uno con dati completamente differenti dai tuoi, ottenuti in maniera altrettanto onesta, e smantellare la tua interpretazione pezzettino per pezzettino.
    Quando alla divulgazione se è ben fatta ben venga, è piacevole e produce ottimi libri. Cito due sempi che conosco bene in campo neuroscientifico: Oliver Sacks è ormai divulgatore a tempo pieno e in più produce anche buona letteratura. Steven Pinker è considerato (a torto o ragione) insieme a Chomsky il più grande linguista vivente e publica ottimi libri divulgativi. Banale dirlo, ma il problema non è nella divulgazione, ma nell’onestà intellettuale e nella preparazione di chi la fa. Allo stesso modo un cialtrone rimane un cialtrone, anche con il Prof. davanti al cognome.

  20. L’umano disincanto di Galimberti. Umano, ecco. Il divulgatore è umano. Divulgatore (mai più questi termini, nel tempo libero). E’ molto utile allo snob di merda: ne farà oggetto di ripulito disprezzo, fingendo di invidiarlo perché arriva all’essenza del preteso mediocre, mentre lui, davvero, benché si ostini a scendere (nel)la scala sociale, forse non ce la farà mai.

  21. Premesso che il fumo bene non fa, e su questo non ci piove, avrei qualche domanda da porre
    1. Provoca più morti il fumo o l’alcool?
    2. Sui pacchetti di sigarette c’è scritto: “il fumo uccide”. È vero o non è vero?
    3. Se è vero che il fumo uccide e lo Stato me lo certifica scrivendolo addirittura sui pacchetti di sigarette ciò significherebbe che lo Stato si è reso complice di “concorso in omicidio” visto che le sigarette le vende e ci lucra pure sopra ?
    4. Se non è vero che “il fumo uccide” ma fa solo e semplicemente male, perché scrivere una balla?
    5. Fanno più male 10 di sigarette al giorno un 3 hg di lardo di colonnata al giorno?
    6. Fa peggio fumare 10 sigarette al giorno o bere 10 caffè al giorno con due cucchiaini di zucchero a tazzina (totale 20 cucchiaini)?
    7. Se è vero che chi fuma vive qualche anno in meno rispetto a chi non fuma (sempre che chi non fuma non beva caffè) non dovremmo cercare di incoraggiare il consumo del tabacco per risparmiare su pensioni, ricoveri ospedalieri, medici, medicine, trasporti gratuiti e quant’altro?
    8. Se l’alcool provoca più morti del tabacco perché non scrivere sulle bottiglie di Barolo dell’94 “l’alccool uccide” così al ristorante ti va tutto per traverso, ti passa la fame, fai la dieta e stai meglio?
    9. Fa peggio alla salute fumare 10 sigarette al giorno o essere costretti tutti (bambini compresi) a respirare il monossido di carbonio? Che si fa…vietiamo le auto?
    10. Per quale assurdo motivo chi fuma non deve più usufruire di una carrozza riservata ai fumatori sul treno?

  22. Egregio, le risposte alle tue domande – per quanto mi riguarda – sono tutte ampiamente contenute nei vari post che ho dedicato all’argomento. Sottolineo: ampiamente. Se davvero ti interessano le risposte, vai in testa a questo post e clicca tra i vari capitoli.

  23. Dimenticavo la cosa più importante: tra Beatles e Oasis ci sono stati, cronologicamente, i Tears for Fears, superiori ai primi e ai secondi. Grazie a Richard Kelly per averli rispolverati, se ce ne fosse stato bisogno (no), in Donnie Darko.

  24. Confeso di aver letto solo un libro del Galimberti (non ricordo il titolo), forse nel momento sbagliato, cioè dopo aver appena finito uno dei tedeschi konservative citati. Dire che quei due pezzenti di Crepet e Morelli sono meglio era solo una provocazione. Quello che non mi piace in Galimberti e M. Fini (o nei francesi S. Latouche e P. Virilio) è che, per essere divulgativi, portano la critica della tecnica solo fino a un certo punto e poi si fermano di fronte all’abisso dove ebbero il coraggio di lanciarsi quelli della Konservative Revolution. Voglio dire che quando M. Fini, alla fine delle sue (sensate) requisitorie contro il denaro, la tecnica e l’occidente, invece di invocare il ritorno a un comunitarismo realistico, cioè antiliberale, spartano, oplitico, maschile e maschilista, guerriero, dedito a sacrifici magari umani (forse esagero) e soprattutto compiutamente anticristiano (qui non esagero), si mette a descrivere delle “robinsonaden” mielose come quella della vita del popolo dei Nuer, un idillio di campagna, una società ideale che coniugherebbe la pienezza di vita assicurata dalla persistenza del senso del sacro in ogni piccolo atto della vita quotidiana assicurata dalla società per ordini, e contemporaneamente il benessere per tutti, l’autonomia individuale e i diritti per donne, minoranze e omosessuali assicurate dalla società liberale, allora dico: ma che presa in giro è? La vita è fatta di scelte, o uno o l’altro, mica sognare di avere tutto. Comunque salvo “Elogio della guerra” di M. Fini, duro e antidivulgativo fin dal titolo.
    Quanto al fumo, mia moglie è medico come me e fumava e fuma. Dopo il parto di 16 mesi fa fuma un paio di sigarette a sera di nascosto dalla bambina e non mi sogno di dirle nulla. In generale non sono un grande crociato antifumo.

  25. F.F., il libro di M. Fini su Nietzsche mi è stato utile. Ho spiegato sopra che cosa, nel lavoro divulgativo di Fini, rifiuto. Faccio un esempio, un dialogo con un mio amico.

    amico: “Hai letto i libri di Fini? A me sono piaciuti molto.”
    Io: “scommetto che ti è piaciuto Il vizio dell’occidente e Denaro sterco del diavolo”
    amico: “si, proprio quelli, soprattutto Il vizio”
    Io: “e che mi dici di Elogio della guerra?”
    amico: “Ha scritto un libro con questo titolo!?”
    Io: “Te lo regalo a natale. E che mi dici di Manifesto contro la democrazia? Ti è piaciuto? E perché?”
    amico: “Si molto, perché dimostra come in occidente la democrazia non venga applicata…”
    Io: “Non hai capito un cazzo come al solito. O fau finta di non capire. Manifesto contro la democrazia non è una protesta contro l’occidente in quanto poco democratico, ma spiega appunto come la democrazia e lo stato di diritto siano consustanziali con quella economia di mercato, con quell’accumulo capitalistico e con quei costumi sociali consumistici che tu in teoria rifiuti!”
    amico: “ma lui dice che tra i Nuer…”
    Io: “Ma che Nuer mi tiri fuori, cazzo, sei appena stato in vacanza in Portogallo, altro che i Nuer che magari si svegliano alle 6 del mattino per andare a prendere l’acqua al pozzo!”

    Comunque credo che un lavoro simile a quello di Fini su Nietzsche per Wagner non sia impossibile. Buttati.

  26. Avrei troppo da dire e quindi in sostanza taccio. Che il problema di alcuni ‘divulgatori’ siano i loro lettori l’avevo detto, mi pare: anche se dovrei tacere, visto cheio sto postando su Macchianera. Massimo Fini ha scritto solo due libri in vita sua: il resto è variazione. Ha scritto ‘La ragione aveva torto?’ ed ‘Elogio della guerra?’ – più Nietzsche, che per lui è un po’ il libro della vita. La parabolistica antropologica è un po’ un suo debolei: la cosa dei nuer in effetti l’avevo notata e se la poteva risparmiare. Sul Foglio comunque l’ho difeso pubblicamente dopo che Christian Rocca aveva aveva fatto una stroncatura a dir poco infantile.

  27. “La ragione aveva torto mi manca”, lo leggerò, e leggerò ancora Galimberti, rischiando l’untuosità amichevole (non sono come quelli del Foglio). Scrivere sui blog sarà divulgativo, ma è anche vero che l’indirizzo web della “società stretta” intellettuale italiana è poco leggibile, probabilmente è troppo delocalizzata nelle varie città e ha pochissima dimestichezza con internet. Sono iscritto ad alcune mailing-list scientifiche e filosofiche per lo più in lingua inglese (ma una anche italiana) dove si discute del problema mente-corpo, della psicologia cognitiva, della filosofia pragmatica di Charles Pierce. Un blog italiano di alto livello culturale al tempo stesso non specialistico ma anche non divulgativo, selettivo ma non chiuso, in cui si parli, che so, di Wagner, di Bruckner e di Mahler (e magari del perché a Isotta non piaccia quest’ultimo), oppure del problema scientismo/scienza, o di revisionismo storico o di epistemologio, crisi della civiltà della tecnica o del perché la psicologia cognitiva sta sostituendo la psicoanalisi, esisterà? Per ora van bene i blog, che sono un buon terreno di coltura. Altrimenti finisce che uno partecipa molto alla vita culturale in lingua inglese e diserta quella del proprio paese.

  28. “La ragione aveva torto mi manca”, lo leggerò, e leggerò ancora Galimberti, rischiando l’untuosità amichevole (non sono come quelli del Foglio). Scrivere sui blog sarà divulgativo, ma è anche vero che l’indirizzo web della “società stretta” intellettuale italiana è poco leggibile, probabilmente è troppo delocalizzata nelle varie città e ha pochissima dimestichezza con internet. Sono iscritto ad alcune mailing-list scientifiche e filosofiche per lo più in lingua inglese (ma una anche italiana) dove si discute del problema mente-corpo, della psicologia cognitiva, della filosofia pragmatica di Charles Pierce. Un blog italiano di alto livello culturale al tempo stesso non specialistico ma anche non divulgativo, selettivo ma non chiuso, in cui si parli, che so, di Wagner, di Bruckner e di Mahler (e magari del perché a Isotta non piaccia quest’ultimo), oppure del problema scientismo/scienza, o di revisionismo storico o di epistemologia o di crisi della civiltà della tecnica o del perché la psicologia cognitiva sta sostituendo la psicoanalisi, esisterà? Altrimenti van bene i blog, che possono essere anche un buon terreno di coltura. Altrimenti finisce che uno partecipa molto alla vita culturale in lingua inglese e diserta quella del proprio paese.

  29. Sarà un caso. Nietzsche, Wagner e revisionismo storico a pochissimi centimetri di distanza. Meglio cambiare aria.

  30. Se ne arguisce solamente che già cambiasti aria quando la scuola dell’obbligo era ancora in corso.

  31. Barynia, per favore controlla i tuoi riflessi condizionati. Si può parlare anche delle teorie economiche di Amartya Sen, o di quel che vuoi. Ma anche Amartya Sen, col suo ottimismo riformista, potrebbe sembrare un pericoloso reazionario se ci si mette di impegno.

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