Non so chi ero

Questo è il primo di una serie di racconti che verranno pubblicati su The Yorker. Presentazione dell’opera e due parole di spiegazione si trovano qui.

Non so chi ero, cos’ero diventato in quella gabbia, forse un sasso, forse un topo, forse un Dio. Ero re di un regno assurdo, incomprensibile, incompleto, sì, incompleto perché illogico, falso, dove solo apparentemente ogni tassello trova un suo ordine.


Ero in un abisso freddo precipitato nel nulla dell’ingranaggio perfetto chiamato Governo, Giustizia, America. Ero il simbolo di un male rabbioso che attanaglia quella santa parte del mondo, quei fratelli buoni e generosi chiamati americani. L’erbaccia va estirpata, è ovvio, è talmente ovvio da diventare luogo comune. I giapponesi non si arrendono e noi buttiamo la bomba atomica, un uccellino ci infastidisce e noi lo finiamo con una cannonata, una donna dice di no e noi la stupriamo…questo è quello che ho fatto. E poi l’ho uccisa, l’ho strangolata finché la sua lingua non è uscita fuori dalla bocca. Penzolante. Aveva una famiglia, un lavoro, un uomo? Non lo so, non me lo chiedevo e non me lo chiedo, non puoi pensare quando hai tra le mani un collo bianco che si rimpicciolisce tra le dita. Lei non voleva che io la fottessi, ha sputato sul mio essere uomo? E’ morta, basta, la mia virilità si è imposta comunque. La bomba di Hiroshima…è così che gli americani impongono la loro virilità, annientando con una mazza da baseball una formica, e io ho solo imparato la loro lezione. Il comunismo? Noi licenziamo e annientiamo la vita di chiunque possa minare la nostra sicurezza; i ribelli al capitalismo? Noi ricopriamo il ruolo dei salvatori buttando i nostri figli in Corea, Vietnam, Kosovo. Noi liberatori non vogliamo nemici, ma è poi vero? Come potremmo recitare il ruolo perenne dei missionari se non c’è nessuno che, stupidamente, chiede il nostro aiuto? Salvatori del mondo, boia dei fratelli. Ho ucciso e vengo ucciso. La civiltà ha fatto un bel passo indietro, un passo lungo cinquemila anni, alla legge del taglione, “tu sei mio” ti dice il governo “e la tua vita deve finire quando lo decido io”. Nessuno protegge nessuno, lo Stato è per sè, è fatto da uomini che fottono il prossimo non per denaro, ma per qualcosa di più (o di meno, dipende dal senso etico di ognuno): il potere, i voti, la poltrona, sono loro che contano. Io cittadino mi faccio difendere da un uomo a cui viene dato il potere di Dio, che si crede Dio, e che forse, in un certo senso, lo è. Io cittadino vengo protetto perché se sono ucciso il colpevole subirà la stessa fine, e intanto il governo dà le armi al mio assassino, ma non restituisce la vita a me.
Gli occhi strabuzzati di quella donna, li ricordo, erano marroni con una leggera sfumatura di verde, forse d’estate diventavano color smeraldo, non lo so, era inverno quando l’ho incontrata, e due ore dopo era morta. Lì mi sono sentito un grande, non è vero che ti penti di quello che fai un attimo dopo in cui lo compi, sai solo che hai un potere immenso, e del dopo chi se ne frega. Il dopo è il mio futuro in carcere, ed è giusto. Se un bastardo avesse fatto la stessa cosa a mia figlia gli avrei vomitato in faccia che doveva crepare sulla forca. Però il resto è ingiusto, è ingiusto che un modello di vita che ti insegna che devi essere il primo, il migliore, che devi salire con tutte le forze, anche quando ti manca il fiato, anche quando vedi i tuoi fratelli che cadono, ti punisce quando il mezzo lo trovi. Che sia omicidio o che sia truffa, cosa cambia? Cambia per loro, per i signori del potere, perché se ammazzi uno ti condannano, se truffi un altro e questo magari non regge e si suicida, e questo per loro non è omicidio. Ho sbagliato? Forse, ma se mi fossi messo a piangere lacrime amare, avrei potuto fare credere agli altri che mi ero pentito, invece io sapevo che era solo paura, che era terrore per l’abisso, per il niente, per il nero, per l’aria soffocata della bara, per il gelo della terra, per i vermi che mi sarebbero entrati dalla bocca al posto della birra.

Io sono stato condannato. Io sono morto per espiare i miei e i loro peccati. Una vita per una vita. Mi hanno legato le mani, i polmoni sono soffocati, il cuore è impazzito, poi più niente, per me. Per loro, un sospiro di sollievo. Bastardi, vi aspetto all’inferno.

Emanuela Ricci
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6 Commenti

  1. Il Post di Lia Celi è stato censurato. Su Macchianera si pubblicano gli elenchi della Massoneria italiana, ma tra blog-massoni ci si protegge…

  2. natalì,sai che mi ricordi un personaggio di roma che ha l’abitudine di scrivere sui muri le sue elucubrazioni mentali? ma sei tu?

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