Succedono più cose in cielo e in terra (che nel tuo blog, Camillo)

Noto che va di moda spulciare Repubblica, e chi sono io per sottrarmi. Purtroppo non ho niente di fresco: mi tocca presentarvi un mio vecchio amico, Frankie.

Il mio amico Frankie (nella foto cliccabile qui a destra) è un fenomeno. Della natura? No.
Questa foto lo ha immortalato a Genova, il 20 luglio del 2001. La foto è ancora nell’archivio delle “Gallerie fotografiche” del sito di Repubblica. Titolo: Genova nel dramma.

Sapete, le molotov avvistate a Genova sono state piuttosto rare. Due le hanno usate i poliziotti; una terza è quella in mano a Frankie. Una molotov molto particolare: è vuota. Il mio amico Frankie è un mago.
Malgrado sia vuota, la bottiglia sprigiona una fiamma impressionante. Fiamme così, nelle foto, è raro vederne. Negli scatti al volo dei reporter, praticamente impossibile. Ma il mio amico non conosce l’impossibile. Una fiamma così avrebbe già dovuto bruciargli la maglietta, ma il mio amico Frankie è pure ignifugo. Non solo la maglietta non prende fuoco, ma non viene nemmeno illuminata dalla fiamma.

Insomma, ci sono vari elementi che mi spingono a dire che il mio amico Frankie è un tipo fuori dal comune. Se ingrandiamo la foto scopriamo che intorno a lui gli oggetti perdono la loro consistenza, diventono sfuocati, un’aureola di pixel lo circonda. Nella sua mano sinistra, Frankie stringe qualcosa d’invisibile, forse un talismano che gli consente di apparire e scomparire a suo piacimento nella folla, brandendo molotov vuote e fiammeggianti, a maggior scorno delle forze dell’ordine. In un’altra foto (dell’Ansa) lo ritroviamo in un altro quartiere, con la medesima molotov in mano e il medesimo sprezzo del calore. Addirittura, indossa una giacca di jeans, indumento curioso per quei giorni (a Genova, vi ricorderete, facevano 30° all’ombra), che conferma l’idea di una persona eccezionale, fuori dagli schemi.

Insomma, il mio amico Frankie è davvero un fenomeno. Della natura? No. Di Photoshop.
Tutto questo era evidente già allora, quando l’”anarcociclista Mentos scrisse alla giornalista Loredana Bartoletti di vergognarsi, dimostrandogli che un fotomontaggio così si realizza in 20 minuti.
Sono passati due anni, ormai. La foto è ancora lì. Non mi risulta che nessuno alla Repubblica (o all’Ansa) abbia chiesto scusa. Non mi risulta che nessun altro giornale abbia smentito Repubblica su questo punto (men che meno il Foglio), ma in realtà ho solo poca voglia di cercare negli archivi, sono un blog amatoriale, io.

Bene così? Veniamo a Camillo. Continua a dire che al Museo di Bagdad non è successo niente. Chissà, forse a furia di ripeterlo diventerà vero.
Devo dire che non capisco tutto questo improvvisa passione per le civiltà mesopotamiche. Ma se è vero che i danni sono contenuti, io sono il primo a esserne contento.
Mi sta bene che le indagini (dell’esercito americano) stiano ridimensionando i danni al Museo. (È ancora consentito però prendere con le molle le informazioni che provengono direttamente da un esercito invasore?)
Mi sta anche bene se qualcuno cerca di tirare le notizie dalla sua parte e dire che “Non è successo niente”. Per me è propaganda, ma si è liberi di farla.

Quello che sinceramente non capisco è il link.
Perché scrivere “Non è successo niente” e lincare articoli in cui ognuno può leggere che effettivamente è successo qualcosa? E non è qualcosa di poco conto. 3000 manufatti spariti, di cui 47 sono definiti “main exhibition items”. Stavolta anche Camillo ha avuto il buon senso di farlo presente, ma per lui si tratta di “solo” 47 pezzi. È una questione di punti di vista. Se domani sparissero 47 pezzi dagli Uffizi potrebbe anche cadere il governo. Però non è questa la cosa importante.

Infatti, diciamocelo: a noi (a me, a Camillo, a voi tutti) interessa veramente qualcosa delle opere del Museo Nazionale? Abbiamo intenzione di visitarlo in breve? No.
Quel che davvero ci interessa, quello su cui stiamo litigando, è la condotta di un esercito invasore. Alcuni pretendono che gli americani siano stati integerrimi, un vero esercito liberatore che porta la democrazia sulle baionette e ammazza solo quand’è assolutamente necessario, restituendo a un popolo la sua dignità, la sua libertà, la sua cultura.
Altri (come me) dubitano. Per partito preso, ma anche per una questione di educazione: mai prendere nulla per oro colato. Né repubblica, né un’indagine militare, né niente.
Ora, tutti sapevano che il Museo Nazionale era a rischio. La domanda è una sola: il democratico esercito americano si è o non si è adoperato per evitare il saccheggio?

La risposta è chiara: no. L’esercito americano aveva altre priorità.
“Oh bella”, dite voi, “E come fa a esserne così sicuro?”
Lo so… perché ho letto l’articolo lincato da Camillo! E guardate un po’:

Many archaeologists blame U.S. forces, saying they failed to protect the institution in central Baghdad when they captured the city April 9.
U.S. military commanders have rejected the charges, saying the museum was not on the list of sites their troops were ordered to secure upon entering the city.

Tutto qui. Poi, fortunatamente, il saccheggio non è stato così devastante come si temeva: ma non grazie agli americani. Loro avevano una lista, e nella lista il Museo non c’era. Il Ministero del Petrolio, sì. La pagliacciata della statua di Saddam, sì. Il Museo Nazionale, no. Se la maggior parte dei tesori sono stati salvati, è stato grazie alla cura degli iracheni. O alla loro avidità (avevano già imboscato gli oggetti migliori). O alla loro pigrizia. Comunque, non alle forze USA Che dovevano restituire la libertà, la dignità, la cultura, ma nel momento in cui il Museo era assaltato avevano altro da fare.
E tuttora continuano ad avere altro da fare: ci sono in Iraq vari siti archeologici non protetti che continuano a essere saccheggiati. Come faccio a saperlo? Beh, non ci crederete, ma… ho letto l’altro articolo lincato da Camillo (il trucco è leggere il fondo, lui di solito cita la prima parte. Per lo stesso motivo, non leggerà mai queste mie parole).

Although the museum collections are now secure, there are widespread reports that looting has intensified at some of the most important but unprotected archaeological sites in Iraq, including the buried cities of Uruk, Larsa and Fara.

Sapete che da quando leggo Camillo ho sempre più motivi per sparlare degli USA?
Lo so, dovrei smetterla.

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16 Commenti

  1. attorno a quelle due immagini di genova ci sarebbe tanto da dire. prima di tutto è “filologicamente” scorretto chiamarle “fotografie”. sarò pedante, ma “fotografia” significa “scritto con la luce”. mi sembra chiarificatrice riguardo tale concetto, l’idea che aveva della fotografia fox-talbot (uno dei suoi padri): anzichè disegnare a mano i paesaggi (probabilmente non era il suo forte), voleva trovare il modo di fissare sulla carta ciò che la luce proiettava attraversando il foro di una “camera obscura”. non mi addentrerò in noiosi dettagli tecnici, ma nel suo procedimento (più o meno inventò la negativa) l’intervento chimico si limitava a “fissare” ciò che la luce aveva disegnato. l’introduzione delle tecniche di elaborazione digitale dell’immagine sposta l’azione su altri elementi: dai pixel ai retini tipografici della quadricromia (ben diversi dai sali d’argento) attraverso il passaggio dell’immagine nel computer. ed è questo questo mezzo che rende modificabile a proprio piacimento anche la singola unità di base dell’immagine: il pixel. si apre un nuovo universo di possibilità, ben differente da quello della fotografia tradizionale, in cui il ritocco, i montaggi e le elaborazioni erano si possibili, ma molto complessi e di dubbia efficacia, al punto da richiedere la mano di un artista e determinando comunque una più o meno evidente perdita di qualità tecnica dell’immagine finale. la facilità di elaborazione fino ai minimi termini è in sostanza l’essenza stessa dell’immagine digitale. ciò porta a riconsiderare la possibilità di rappresentazione della realtà mediante immagini digitalizzate. anzi, di fronte ad un immagine di questo tipo si deve partire dall’idea che essa NON rappresenti affatto la realtà, ma è una sua elaborazione, che al più potrà raccontare il vero, ma assolutamente NON potrà esserne testimone. secondo ferdinando scianna, la “fotografia mostra, ma non dimostra”. si potrebbe aggiungere che l’immagine digitale racconta, ma non mostra nè tantomeno può dimostrare. pertanto, l’uso di una qualsiasi immagine digitale a scopo informativo, senza che si sia premesso ed evidenziato tale concetto, è di per se stesso un indice di malafede. e se pensiamo che ormai tutti i quotidiani usano solo immagini digitali…

  2. Commento già messo sul blog di Rolli:

    Non ti va di leggere l’articolo? Te ne riporto soltanto una frase. E’ inglese. E’ scritta sulla bibbia del giornalismo di sinistra d’Europa. Parla dei disastrosi saccheggi al museo, e dice: “And the only problem with it is that it’s nonsense. It isn’t true. It’s made up. It’s bollocks”. In italiano vuol dire: non è successo niente. PS Cara Rolli, mi vorrai scusare ma io ho già sprecato troppo tempo a replicare a chi, avvalendosi di un fascista come fonte, mi accusava di aver barato. Speravo che ritrattasse (nota: il fascista, spiega il Guardian, trovati i reperti mancanti infine ha dovuto ritrattare), ma non è stato così. Chiudo, ciao.

  3. a me piacerebbe sapere questo da christian rocca: gli americani hanno o non hanno lasciato il museo sguarnito? se lo hanno lasciato sguarnito, il disastro non c’è stato perchè è andata di culo o per qualche altro motivo?

  4. Ecco, fa’ così. Chiudila qui e fingi di non aver letto la mia replica. Dai, che non è successo niente. (“il fascista, spiega il Guardian, trovati i reperti mancanti infine ha dovuto ritrattare”? Ma dove? Forse su un altro articolo. Io in questo leggo “George is now quoted as saying that that items lost could represent “a small percentage” of the collection and blamed shoddy reporting for the exaggeration”. “Mr George made little or not attempt to clarify the context of the figure of 170,000 which he repeated with such regularity and gusto before, during, and after that meeting.” To Flynn it is also odd that George didn’t seem to know that pieces had been taken into hiding or evacuated”. E poi io non mi avvalgo di un fascista come fonte, mi avvalgo di Christian Rocca.

  5. Insomma, per riassumere: gli americani hanno lasciato incustodito il museo per una loro scelta, leggasi errore, ma il saccheggio non è stato spaventosamente vasto come si era detto all’inizio.
    Più semplicemente è stato di 33 pezzi (evito deliberatamente di legare qualsiasi aggettivo a questo furto/saccheggio) e i pezzi migliori erano già al sicuro grazie a saddam che se li era messi in cassaforte e ai dipendenti del museo.
    Il problema, anche se R&R continuano a fare il bilancio dei pezzi spariti e ritrovati e non hanno alcuna intenzione di ammetterlo, è che gli americani hanno fatto una cazzata gigantesca al museo di bagdad, gli è andata bene per cause non dipendenti da loro e, come dice Proserpina, stanno continuando a farla in altri luoghi dell’iraq.
    I motivi di tale pervicacia possono essere due:
    1. lo fanno per sfidare le leggi della probabilità
    2. perchè del patrimonio artistico e culturale del paese che hanno liberato da un dittatore e invaso con un esercito “non gliene frega una benamata ceppa”.
    Se dico che i pozzi di petrolio, invece, sono tutti presidiati sono “comunista”?

  6. Gabriele, no dici una cazzata. Basta leggersi il NYT di ieri. I saccheggi sono stati soprattutto nei campi petroliferi: lo trovi qui http://www.nytimes.com/2003/06/10/international/worldspecial/10OIL.html o, come al solito, su Camillo.
    Quanto a George, il fascista che non avrebbe ritrattato, ecco la sua frase:George is now quoted as saying that that items lost could represent “a small percentage” of the collection and blamed shoddy reporting for the exaggeration. “There was a mistake,” he said. “Someone asked us what is the number of pieces in the whole collection. We said over 170,000, and they took that as the number lost. Reporters came in and saw empty shelves and reached the conclusion that all was gone.
    Alle prossime critiche serie, o alle accuse personali, rispondo con piacere. Con le stronzate dei bambini dell’asilo finisco qui.

  7. Dott. Rocca, conscio del fatto che mandera’ immediatamente i suoi amici della Digos a farmi visita, Le lascio nome e cognome (al secolo Francesco Mantovani, Roma). Mi preme ricordarLe tuttavia un paio di regole elementari: siamo sul web e non alla SIAE, di solito identita’ e credibilita’, in Rete, si costruiscono su pensieri, non su cognomi o patentini giornalistici. Secondo, chiedere nomi e cognomi avrebbe potuto un tempo essere considerato addirittura contrario alla netiquette, ma Lei, che ha un blog solo per essere giornalista alla moda, non sa cosa sia una grammatica, figuriamoci la netiquette. Terzo, trovo assai simile ad un avvertimento mafioso il suo modo di chiedere l’identita’ (come certi poliziotti quando chiedono patente e libretto)… “fatti conoscere se sei un uomo” avrebbe detto Tano Badalamenti oppure forse Taricone, chissa’… spero che queste polemiche Le siano forviere di una splendida carriera, costellata di scoop giornalistici…

  8. Si accorgerà Rocca che abbiamo citato le stesse frasi? Lui ci legge la ritrattazione di un fascista, bene. In fondo è libero di leggerci quello che gli pare. E di fare le brutte figure dove gli pare e come gli pare. Coi grandi professionisti del giornalismo italiano per ora ho chiuso.

  9. Caro Wile, la informo che ho raccolto le firme per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti. E lei? E le aggiungo che al referendum, quando ci fu, votai “sì” e feci il possibile per convincere più gente possibile a votare. Il referendum non passò perché la gente non andò a votare. Lei ci andò?
    Sul rsto. Sono abituato a dire chi sono se accuso qualcuno. Non sto parlando di espressione di pensieri. Sto parlando di accuse. Se uno accusa, anche se nel modo che abbiamo visto, dica chi è sennò è delazione, roba da picciotti che “cantano” sotto anonimato. Esattamente cose da Digos e da poliziotti, come dice lei. Detto questo, Taricone è uno dei più fini pensatori italiani.

  10. Interessante l’articolo del NYT sui pozzi petroliferi. Quindi, nonostante si siano prodigati per difenderli in maniera primaria rispetto a tutto il resto, infatti costituivano una priorità ancor prima che saddam fosse destituito, hanno fatto un bel buco nell’acqua.
    Hmmm forse, tenuto conto di questo, deve essere stata quasi una fortuna che non si sia messi a difendere il museo, allora sì che i saccheggi sarebbero stati devastanti.

  11. Da buon giornalista Lei, signor Rocca, non parla, insinua. Vede io si’, ho partecipato a tutti i referendum sinora indetti da quando ho l’eta’ del voto. Contento? E, io no, non prendo per accuse da picciotto le pulci che le ha fatto un lettore attento ed intelligente… ma credo che stia qui il problema: lei andrebbe anche al referendum per abolire i lettori intelligenti… e raccoglierebbe anche le croci… scusi, le firme, dei Tariconi di turno. Perche’ quelli credono che Lei sia un fine giornalista.

  12. Posso dare il mio contributo alla questione? Senza entrare nella polemica (sono stato quaranta giorni in Irak). Ho parlato a lungo, a Baghdad, con l’ambasciatore Pietro Cortone che e’ il “ministro dei beni culturali” del nuovo Iraq, italiano, unico non americano in un’amministrazione tutta americana. Dei saccheggi abbiamo parlato sere intere. La verita’, secondo lui che ne e’ il responsabile, e’ questa: “Circa 3000 reperti rubati, 2000 gia’ recuperati, ne restano 1000 ma tutta roba di scarso valore, salvo 30 pezzi che sono di pregio”. Ma la sorpresa piu’ grande e’ venuta da un caveau della banca centrale dove sono stati ritrovati trenta gioielli d’oro risalenti a piu’ di tremila anni orsono. “La piu’ grande scoperta dopo la tomba di Tutankamen” l’ha definita Cortone. Si dice che quei gioielli siano stati spesso indossati dalla signora Saddam, povera donna. Ma solo per le occasioni importanti.

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