Due cose. Anzi, tre (Paola Caruso, l’universo del lavoro e tutto quanto)

Nel caso non ve ne foste accorti (ed è probabile che non ve ne siate accorti: del resto era il week-end mica per niente), negli ultimi due giorni Macchianera si è autosospeso e ha ridiretto tutto il traffico verso il sito di Paola Caruso.

Paola Caruso, se non ne avete letto nel corso del week-end, non la conoscete. Non la conosco nemmeno io. Per dire che la percezione di quel che è successo non è stata viziata da un’amicizia preesistente.

Quel che è successo è che – in una discussione su Friendfeed che è in seguito stata cancellata dall’autore originale – Paola ha annunciato di avere iniziato uno sciopero della sete e della fame. Provo con la versione corta: lavora al Corriere della Sera da 7 anni, e dal 2007 è una co.co.co annuale con busta paga e Cud. Un giornalista si dimette e Paola, come altri suoi colleghi, pensa sia arrivato il suo momento. Invece no. Al posto del collega che se ne è andato a fondare un giornale online viene piazzata una matricola fresca da scuola di giornalismo. Paola, inizialmente, dice che è stato assunto; il giornale fa sapere che no, non è stato affatto assunto. Paola sostiene che comunque il nuovo arrivato ha accesso al desk, privilegio riservato agli assunti, e si incazza parecchio, forse più dei suoi colleghi: va online e scrive su Twitter e su Tumblr che è stata sorpassata “da un pivello”. Poi annuncia l’inizio dello sciopero della sete e della fame.

Poi accade questo: che una serie di persone presenti nella discussione di Friendfeed di cui vi ho parlato prima si preoccupino per la scelta di Paola. Il problema è che passi lo sciopero della fame, ma quello della sete è molto pericoloso (dopo 48 ore alcuni organi vengono seriamente danneggiati per sempre) e Paola non ha scelto il momento migliore per iniziare quel tipo di protesta: è sabato e, verosimilmente, le redazioni non saranno presidiate fino a lunedì mattina. A quel punto saranno trascorse 72 ore, e addio Paola.

Succede tutto nel giro di pochi minuti: c’è gente che tenta di farla ragionare, e anche chi esagera si fa prendere dal panico: chi propone di sottoporla a TSO; chi invita a chiamare il 118; chi vuole presentarsi a casa sua, cose così. In quella discussione sono presente anche io. Ne approfitto per dire a Paola che sta facendo una stupidata e aggiungo un mio parere sulla legislazione legata al mondo del  lavoro in Italia. E’ una cosa che scrivo in quel momento e che va bene per il caso di Paola, ma ovviamente io sto parlando della situazione in generale. A quel punto arriva anche l’immancabile pirla che scrive “Dovevano ammazzarlo prima che facesse quella legge”. Il pirla intende dire che purtroppo le Brigate Rosse l’han fatto dopo, e sta parlando di Marco Biagi.

Ora, intendiamoci: io penso davvero che la legge Biagi sia una legge del cazzo, che non bilancia gli interessi delle aziende con quelli dei lavoratori, e specialmente dei più giovani, però da qui ad andare in giro ad ammazzare la gente passano oceani interi nel mezzo. Come se quella legge l’avesse scritta davvero Biagi; come se non avessero usato quel cognome – il cognome di un morto ammazzato – per nobilitarne i contenuti; e come se l’aver eventualmente scritto una legge del cazzo sia un motivo plausibile per essere ammazzati. Posto che ne esistano, di motivi plausibili.

Insomma, eravamo rimasti all’annuncio di sciopero della sete e al clima da Armageddon che si era creato su quel social network. Varie persone – specialmente quelle che non si sono lasciate andare alla spirale di catastrofismo – propongono a Paola di ragionare, di trovare una modalità di protesta diversa, di rivolgersi al sindacato, o a un avvocato. Paola ogni volta dice di no: è intenzionata a continuare sia lo sciopero della fame che quello della sete. Al che le dico che ho a cuore il tema – e l’ho a cuore al di là del suo caso – e che se vuole fare casino io sono disposto  fare casino con lei, spegnendo Macchianera per qualche giorno – per quel poco che può valere – e dirottando tutto il traffico sul suo sito. Le do la mia parola che lo faccio, ma le pongo alcune condizioni: la prima è che interrompa almeno lo sciopero della sete; la seconda è che aspetti lunedì – e di farsi seguire da un medico – per riprendere la sua protesta, ché morire per mancanza di tempismo è una cosa scema assai.

Lei smette lo sciopero della sete, e io lo faccio. Bum! Spengo Macchianera. Metto in piedi  in quattro e quattr’otto una pagina semplice che riporta la storia di Paola come la racconta lei (specificando che è come la racconta lei), assieme a qualche riga – mia – nella quale dico più o meno le stesse cose che scrivo in questo post riguardo la legislazione del mondo del lavoro in Italia. La sostanza di quel che stava scritto in quella pagina era che non è un problema solo di Paola o del Corrierùn, quando a chiunque tra noi bastano e avanzano le dita di una sola mano per elencare i conoscenti regolarmente assunti.

Ora parliamo del dopo: nel dopo parecchie persone in giro per la rete – tra giornalisti e blogger – parlano della protesta di Paola. Chi bene e, ovviamente, chi male. Si sviluppa il dibattito e non sto qui a descrivervelo perché so che potete benissimo immaginarlo. Nel corso delle ore chi non si schiera dalla parte dei suoi sostenitori fa balenare l’ipotesi che la storia non sia esattamente come è stata descritta; che non si trattia di lotta al precariato ma di semplice invidia nei confronti di una persona probabilmente più meritevole; che sarebbe ora di iniziare a considerare il merito piuttosto che l’anzianità.

Nel frattempo – di domenica – si sono riuniti il comitato di redazione del Corriere della Sera; la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti si sono interessati al caso e promettono che se ne occuperanno e il direttore di Paola Ferruccio De Bortoli è intervenuto sulla questione interpellato dall’Ansa.

Se la versione raccontata da Paola sia attinente alla realtà poco, tanto o per niente io non lo so, perché, come ho detto, non la conosco: sono portato a pensare che in questi casi torto e ragioni cedano il passo alla concitazione del momento e al dosaggio di cuore e cervello che ciascuno di noi sceglie di impiegare per valutare una situazione. E lo dico senza parteggiare apertamente né per il cuore né per il cervello.

Di tutto il dibattito io condivido cose dette sia da una parte che dall’altra. Il punto è che non era quello il punto.

Il punto è che esiste un’emergenza che prescinde dalla sete e dalla fame di una giornalista delusa e del suo giornale in crisi. Il punto è che di questa emergenza non si sta occupando nessuno, malgrado sia forse più importante di una nuova legge elettorale (poi qualcuno dirà che niente legge elettorale uguale nisba cambiamenti, quindi vabbé, occupiamoci di entrambe le questioni e morta lì: siamo multitasking mica per niente). Il punto, infine,  è che io – che posso dirmi benestante e non ho ancora superato i 40 anni – dalla maggiore età  in poi ho già sperimentato una quantità di lavori tale da rendermi impossibile spiegare in famiglia che cosa faccio realmente. Mio padre, in tutta la vita, non ha mai cambiato lavoro. Auspicherei che si riesca a convenire, tutti, che possa esistere una via di mezzo.

Il punto – e con questo chiudo – è che se ne è parlato.

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35 Commenti

  1. Ma un giornale che per oltre sette anni ritiene di aver bisogno dei servizi di quella persona, come fa a non farle un contratto? Oh dico: Sette anni!

  2. Ottimo post. Al di là della situazione specifica bisogna che si esca dalla bolla virtuale del “tanto ce la caviamo”. Siamo sull’orlo del precipizio a fare il trenino bunga-bunga. Si campa con le case e le pensioni dei nonni o si portano a casa milioni di euro illeciti. Ma quanto si può andare avanti?

  3. Il puntino è che io, di mio, non condivido.

    Naturalmente, non è rilevantissimo. Sono tante le testate per cui scrivo, e non sposerei in toto la loro linea (sempre che ne abbiano una).

    Però visto che
    1) questo, anche se totalmente tuo, è un blog collettivo,
    e visto che
    2) presumo mi dia facoltà di dissociarmi, colgo l’occasione per farlo.

  4. Bravo Gianluca, bravo Gianluca. Torna più spesso a questi toni seri e a questo stile asciutto di racconto del reale. Fa bene restare più vicini all’oggi, aldilà delle trojate hi-tech che ci propinano per illuderci che il domani è nostro, anche se di domani non ce n’è più o ce n’è sempre meno.

  5. Bisognerebbe verificarle le informazioni, prima di creare il caos. Il Caos è stato creato da una persona che ha deciso di accedere i riflettori su di sè e che con questo gesto ha automaticamente fatto mettere alla porta altre persone come lei, stritolate nei giochi della negoziazione sindacale.
    Deve smetterla con questa protesta perchè dannosa per sè e mi aspetto che i blogger come lei, prima di alimentare la protesta, si accerti come stanno i fatti. Questo è giornalismo.

  6. Bellissimo questo post Gianluca, davvero. Peccato che la gente, per dimostrare la propria indignazione, la propria frustrazione, debba arrivare a gesti tali. Non si dovrebbe parlare di queste cose solo perchè una persona fa una cosa del genere, bisognerebbe parlarne (con toni civili) e cercare di risolvere il problema tutti i giorni. Credo che in Italia siamo bravissimi a trovare i problemi. Ma siamo pessimi nel proporre soluzioni.

  7. Il punto è anche, Gianluca, che uno deve minacciare un suicidio per cavarti fuori dal buco e farti scrivere un post, condivisibile o meno, ma come dio comanda?

  8. “Dovevano ammazzarlo prima che facesse quella legge”. Il pirla intende dire che purtroppo le Brigate Rosse l’han fatto dopo, e sta parlando di Marco Biagi.

    e che sia pirla, a parte l’apologia di omicidio, lo dimostrano due fatti:
    1) quello che si augura è esattamente quello che è successo: Biagi è stato ammazzato prima che una metà della legge da lui preparata entrasse in vigore
    2) la legge “Biagi” ha un nome-porcata, perchè gli è stato affibbiato il nome del morto per renderla al di sopra delle critiche, in quanto chiunque la criticasse automaticamente verrebbe accusato di filoterrorismo. In realtà quella legge si chiama Maroni, ed è monca di una metà fondamentale di quello che voleva Biagi, ovvero si è tenuta la flessibilità, ma si sono tolte le maggiori garanzie che Biagi giustamente chiedeva per i precari, una su tutte, contributi maggiori dei datori di lavoro per garantire una maggior tutela durante la disoccupazione.
    E’ chiaro che la situazione del precario cambia di 180° se sa che se perde il lavoro fa letteralmente la fame, oppure se sa che comunque ha la garanzia che per qualche mese sopravvive. Nel primo caso hai uno schiavo, che subirà di tutto pur di mantenere il posto, nel secondo un essere umano che può sfanculare il padrone se lo tratta da schiavo, e quindi chiedere un trattamento economico (e anche semplicemente da essere umano con una sua dignità, che va al di là del solo stipendio) dignitoso.
    Indovina cos’ha fatto maroni di questa metà a tutela del lavoratore della proposta di legge di Biagi?

  9. @8, “trami”, dice :

    “con questo gesto [paola caruso] ha automaticamente fatto mettere alla porta altre persone come lei”

    Quale la logica di tale assunto?
    Io non ne vedo nessuna. Al contrario, anche se estremo e da sconsigliare, il gesto al massimo libererà due o tre neo-schiavi co.co.co, invece che di renderne schiavi altri.

  10. Davvero un bel post.
    Mi ha aiutata a fare un po’ di chiarezza – e lo sottoscrivo per buona parte.
    Quoto anche chi dice che il gesto ha un’effetto controproducente, che mette alla porta lei e gli altri come lei. Perchè non avvalersi degli altri strumenti democratici? Perchè non usare altre strategie che però entrano nel merito delle competenze? Nel momento in cui si sceglie lo sciopero della fame si sottoscrive l’argomento per cui non vale la pena considerare il lavoro pregresso e le competenze, e in un mondo in cui la gestione di tutto è devoluta ai giochi di potere ci si fa strada con un altro gioco d potere. e nessun direttore è così cretino da voler far vedere di averne di meno.

  11. Caro Gianluca il tuo post è una delle poche manifestazioni di equilibrio e lucido ragionamento che ho avuto modo di leggere durante questa vicenda e oltre.
    Questo episodio, che può essere analizzato dalle prospettive di osservazione più disparate, è la punta dell’iceberg di un disagio che io, come tanti altri precari, sentiamo a fior di pelle ogni giorno. E non perchè agogniamo necessariamente al posto fisso dei nostri genitori e nonni, ma perchè l’impossibilità di fare qualsiasi progetto si trasforma con l’età in una prospettiva avvilente di non voluta eterna giovinezza.
    Senza scomodare la situazione mutui o un necessario-ma-non-indispensabile cambio di automobile, io aspetto da tre anni di poter fare delle cure riabilitative a seguito di un incidente stradale. Nulla di grave certo, non sono in sedia a rotelle, ma ho mal di testa e nausea da tre anni. “Ma i giovani di oggi sono viziati, hanno tutto e non vogliono fare fatica”. Probabilmente è vero anche questo, come dici tu, la valutazione di una situazione dipende anche dalla quantità di cuore e cervello che ognuno decide di impiegare. Questo post mi ha rammentato quanto la pacatezza, l’educazione e l’equilibrio siano strumenti relegati ad una nicchia. Al momento lavoro a progetto, in un’azienda dove se richiesto, arrivo alle 8.00 e faccio il giro dell’orologio, non succede sempre, ma succede. Ho la fortuna di prendere 1000.00 euro di stipendio, e mi ritengo miracolata, ma a Dicembre mi scade il contratto e chissà se sarò ancora ritenuta un elemento necessario. È tutto da scoprire questo futuro, e non è detto che sia sempre un male, ma vorrei almeno non andare a dormire ogni giorno avendo paura del domani.
    Grazie per aver testimoniato quanto sia necessario trovare delle soluzioni e quanto un dialogo equilibrato possa essere ancora uno strumento di comunicazione.
    Buona giornata
    R.

  12. As a nation we decided that pedophiles (and, there are a lot of differing rules for what that constitutes!) are bad. We decided that beastiality is bad. There are a lot of things that we have decided are bad. But, we are still struggling with the question of homosexuality and its impact on society. Some say it will cause much degeneration, others say it will enhance our multi-cultural society.

  13. Now that the contract matter is settled, the JSA can no longer boast of sponsoring a Professional Symphony Orchestra in Jacksonville. Since the Players now have to hold their own fundraisers to make ends meet, the JSA must now accept the label of a semi-Professional Orchestra.The question is this. Does a semi-Professional Orchestra need to pay an Executive Director in the range of $160k a year?

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