La mia vita a batteria

Io, quel marchio lì, l’ho visto per la prima volta che frequentavo la scuola media, impresso sulla carrozzeria di metallo della Lettera 32 che in famiglia si decise di acquistare e che sarebbe servita per rendere più “professionale” una delle tante ricerche sulle regioni d’Italia (niente, invece avrebbe reso pià professionali le illustrazioni, ritagliati dai fascicoli arancioni de “Le mie ricerche”, fino all’avvento del personal computer).

Poi lo ritrovai, anni dopo, alle prese con le “tesine” delle superiori, sull’elettronica ET 225: una sorta di gioiello della tecnologia che mandava in pensione il bianchetto, rimangiandosi la lettera che si era appena battuta; teneva in memoria ciò che si era scritto perché il testo potesse andare a capo in automatico o apparire giustificato a destra e altre diavolerie del genere.

Il succo è che io, a quel marchio, sono affezionato. Nel corso del tempo, esaurita la necessità di partorire tesine sul senso del dolore in Leopardi e Manzoni o su Cesare Pavese – per quella mi inventai un sistema di illustrazioni basato sulla trielina: si ritagliava la foto da qualche libro o giornale, la si rivoltava in modo che avesse la parte stampata a contatto con il foglio, e la si bagnava con la trielina e l’aiuto di un batuffolo di cotone; una volta asciugato il tutto, l’immagine si trasferiva da un foglio all’altro, come per magia – finito quel periodo, dicevo, persi via via le tracce di quel marchio: un po’ perché i primi PC di quella marca non erano all’altezza del glorioso passato delle macchine da scrivere, e un po’ perché io, i PC desktop, avevo iniziato a costruirmeli da solo, pezzo per pezzo.

Quando sparì definitivamente – parlo sempre di quel particolare marchio – lo immaginai sacrificato a qualche tronchettiproverata: finanza creativa finalizzata a svuotare la cassa e vedere lo scheletro allo Stato, al terzo mondo, o a qualche stato del terzo mondo.

Quindi non vi sto a dire lo stupore quando, pochi giorni fa, mi sono trovato davanti un pc portatile bianco, quasi un netbook. E non era un Mac.

Al posto della mela c’era la vecchia “O” di Olivetti, cui avevano dato una mano di rosso.

Ora, i signori di Olivetti mi perdoneranno se confesso la mi ignoranza: non solo non immaginavo che Olivetti fosse in fase di rilancio e non in vendita su E-bay per il corrispettivo di due pizze di fango camerunensi; nemmeno potevo sapere che ora produce una linea di pc portatili (quasi netbook, dicevo), le cui caratteristiche hanno fatto sì che decidessi di pensionare anticipatamente il quasi-nuovo Asus Eee Pc che d’abitudine porto con me in giro.

Dico tutto questo perché su quel computer sono riuscito a mettere le mani. E’ un modello non ancora uscito sul mercato, quindi non so dare dati da “marchettone ufficiale”: tipo quanto costerà, quando sarà disponibile, quanti modelli verranno messi in circolazione e che caratteristiche avranno. Conosco le caratteristiche di quello che ho per le mani, perché lo sto usando senza ritegno da qualche giorno, e perché, francamente, mai mi sarei aspettato di trovare – nel portatile di una marca che immaginavo a far polvere in un cassetto, per di più – tutte queste cose assieme (le elenco a casaccio, come mi vengono): Intel Dual Core U7300 1.30 Ghz, 2 giga di memoria, 300 giga di disco fisso, Windows Professional 7, webcam, accelerometro, schermo 1366×768; funzione per bloccare le testine degli hard disk in concomitanza con gli urti; Wireless N; 3G con alloggiamento per SIM, per liberarsi per sempre delle chiavette; durata della batteria ad occhio superiore alle 5 ore; e una cascata di prese: SSD, MMC, Memory Stick, VGA, SATA, HDMI, ExpressCard.

Il modello su cui ho messo le mani è l’Olibook S1300, che al momento non appare nemmeno nel sito web ufficiale, e tanto entusiasmo è dato, appunto, dal fatto che sono riuscito a metterci sopra le mani.

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14 Commenti

  1. Me lo ricordo, il Quaderno e, per quanto ai tempi ci sbavassi sopra, credo sia stato l’inizio della fine. // Maizo: ma quello è nero, questo bianco.

  2. Sarò cinico ma a me che sia Olivetti o Lenovo (e quest’ultimo marchio, chi se ne intende un po’, sa quanto fastidio dia avendo rovinato l’unica marca di laptop seri rimasta: i ThinkPad della IBM) mi importa poco.

    Sono tutte patacche prodotte neanche a Taiwan ma nell’entro terra cinese, rimarchiate di volta in volta Asus, Acer o, come in questo caso, Olivetti.

    Non c’è neanche il gusto di dire “beh, almeno l’avranno assemblato in Italia e magari do da mangiare a qualche onesto immigrato Senegalese che lavora in linea (perché gli Italiani, specialmente le nuove versioni, col kaiser che hanno voglia di stare in linea…)”.

    Quindi no. Si guarda il chipset, il prezzo e la marca giusto per non prepararsi alla plasticaccia fatta con le patate. Mi spiace ma l’operazione nostalgia non attacca (eh sì, anche io sono passato per una discreta trafila di “nonni” di sto affare).

    Saluti

  3. Io sono cresciuto fianco a Ivrea. Ho invidiato i figli degli operai Olivetti che, per merito di Adriano, ricevevano il regalo a Natale (Ah, quella Maxima Torneo). Ho visto di sfuggita l’M20, il crollo e la disperazione creati da De Benedetti in poi. Sapere che stanno facendo ancora prodotti e per di più di qualità, beh, mi fa quasi commuovere.

  4. In effetti, un anno fa quando al mercato ho comprato una lettera 32 funzionate (completa di custodia rigida) per 10 euri, pensavo di essere l’unico nostalgico (anche se avendo 32 anni non ne ho mai usata una ai bei tempi per fare tesine), poi mi è capitato di vedere alcuni video recensioni di questi nuovi Notebook Olivetti, molto fashion.
    la cosa interessante è che erano tutte recensioni in portoghese (o spagnolo non so).
    Sembra che in Argentina il brand venda ancora…un po’ come Telecom.

  5. Tanto per ribadire quanto scritto da Anonimo codardo e stemperare gli entusiasmi: la Olivetti produce PC e notebook in oriente con componenti progettati e fabbricati in Asia. Non stiamo parlando di hardware, ma di tutto e dico *tutto*. In altre parole, non è un prodotto “Made in China/Taiwan” e “Designed in Italy”: di italiano non c’è nenche la progettazione, l’ideazione, ovvero cose per cui l’Olivetti un tempo era apprezzata e, perfino, invidiata. D’altronde, basta dare un occhiata ad alcuni netbook per vedere che sono identici a modelli prodotti da altre case (il NET100, ad esempio, è un MSI Wind…).

  6. Io avevo un M200. Doppia unità floppy, 640 kB di RAM, grafica CGA a quattro colori. Il più bel giocattolo della mia infanzia.

  7. Non ci credo: ci sei riuscito. Mi hai fatto venire voglia di comprare un computer che non sia Apple. Devo capire se si riesce a installare OSX e lo prendo. Sai che figo girare all’estero con un portatile Italiano ! :-)

  8. scusa Libo ma il MAC è il MAC,e non lo supererà mai l’ultima diavoleria dell’ingegnere.
    si può anche fare l’antagonista perfetta,ma sempre una seppur bella stupenda magnifica copia resta.
    a me,che lo uso un bel pò da sempre,ha dato sempre sublimi soddisfazioni.
    se poi anzichè parlare di elettronica parliamo delle obsolete macchine da scrivere meccaniche,le olivetti sono le rolls royce del settore.
    ne ho diverse in bella mostra in casa mia,tra cui la rara nera cromata col carrello lungo…
    poi la verde oliva,in alluminio,con custodia rigida in abs…
    ma quando parlate di calcolatori elettronici non toccatemi il MAC.
    è esso,a mio parere,insuperato e forse insuperabile…MacBookPro 17pollici…il massimo!

  9. Signori miei, sono spiacente, ma la gloriosa Olivetti già nei primi anni settanta vendeva delle calcolatrici elettroniche da tavolo che nella parte inferiore, su un minuscolo bollino adesivo portavano la scritta “made in taiwan”. l’M20 (io l’ho avuto) faceva letteralmente ca…….re! E il governo italiano, gazie alla complicità di alcuni venduti ebbe il coraggio di dotare gran parte della sua nascente organizzazione informatizzata con dei cessi assurdi.
    In quegli anni esplose il fenomeno Commodore 64, l’unico vero grande piccolo computer che rivoluzionò il mondo informatico (alla faccia di colossi quali IBM o similari) a dei costi veramente accessibili a tutte le tasche.
    AVE! Anonimo Romano Antico (non poco).

  10. Signori miei, sono spiacente, ma la gloriosa Olivetti già nei primi anni settanta vendeva delle calcolatrici elettroniche da tavolo che nella parte inferiore, su un minuscolo bollino adesivo portavano la scritta “made in taiwan”. l’M20 (io l’ho avuto) faceva letteralmente ca…….re! E il governo italiano, grazie alla complicità di alcuni venduti ebbe il coraggio di dotare gran parte della sua nascente organizzazione informatizzata con dei cessi assurdi.
    In quegli anni esplose il fenomeno Commodore 64, l’unico vero grande piccolo computer che rivoluzionò il mondo informatico (alla faccia di colossi quali IBM o similari) a dei costi veramente accessibili a tutte le tasche.
    AVE! Anonimo Romano Antico (non poco).

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