The Classifica 58 (What do you want?) (what do you want?)

…un momento, un momento. Invece di guardarmi a quel modo, ditemi: con che faccia io posso parlare male degli U2 al n.1 in classifica, guardando gli italiani in top ten? Allacciate le cinture, che ve li elenco.

Marco Carta, il cui disco è puro Nicola Di Bari (n.2). Venditti, il cui disco ha già portato a casa qualche mia concisa osservazione (n.3). Mina – il cui disco fa schifo (n.5). Arisa, il cui disco è pura Orietta Berti (n.6). Tiziano Ferro (n.7) che ha dato il meglio di sé nel disco di Giusy Ferreri (n.8), il cui disco è l’unico di questi per il quale io potrei spendere 6 euro (ma solo per la prima metà). Karima (n.9). Il disco-saponetta della Pausini.

Ecco, questo è quanto sappiamo dare noi italiani oggi come oggi. Con che faccia, ripeto, posso fare smorfiette di fronte al n.1 degli U2 (o, nel caso, al n.4 di Annie Lennox, Diva & Donna)?

Eppure, non c’è niente di più necessario che fare strame di ciò che si ama. E quindi, con questa faccia un po’ così, io vi dico che No line on the horizon degli U2 è completamente, spettacolosamente irrilevante. Con buona pace di Brian Eno, Daniel Lanois, Steve Lillywhite, ovvero rispettivamente il Ney, il Murat e il Davot venuti a giurare fedeltà all’imperatore Bono Parte.

…un momento, un momento. Ho detto forse che è brutto?

Quello che sto dicendo è che è irrilevante. Potevano non farlo, ‘sto disco, così come potevano risparmiarsi ognuno dei dischi da Pop a oggi. Pop, quel coraggioso e kitschissimo guazzabuglio dance, è stato l’ultimo tentativo di rispondere in musica alle domande del mondo, e di porre, in musica, delle domande al mondo. Dopo di che, il gruppo che tanti di noi hanno amato si è vezzosamente seduto su se stesso, continuando a fare qualche canzone piacevole e piaciona qua e là (molti loro pezzi recenti sarebbero manna per tanti gruppi da copertina. Date Windows in the sky ai Killers, o Vertigo ai Kasabian, e avremo il pezzo con cui ricordarli tra 20 anni). Ma da parte degli U2, gli album che cambiavano la Storia ce li possiamo scordare.

Come da parte di chiunque, perché a fare la Storia non saranno certo più gli album: prima stacchiamo il sondino a questa gloriosa istituzione, vetusta e convenzionale quanto le Olimpiadi, meglio è. Ve lo ripeto un’altra volta, così se ve lo chiedono all’esame rispondete senza esitazioni: le canzoni e – in parte – i concerti sono ancora importanti; gli album, NO.

Nel variegato menu di No line on the horizon ognuno potrà, coerentemente con l’epoca del download e della playlist, trovare quelle due, se non tre canzoni cucinate per vellicargli il palato, e ordinarle ai camerieri. Per esempio il sottoscritto, che 1) è un semplicione di grana grossa 2) con costoro ci è cresciuto, abbocca come un pesce all’amo agli stratagemmi più smaccati, come l’invocazione traboccante di Magnificent.

(…è che ci sono certe parole che dette da Bono, mi abbindolano come l’incantesimo Imperio di Harry Potter) (quando lo sento dire “Gloria!” “Desire!” “Fire!” “One!” e appunto, “Magnificent!”, rimango lì in stato confusionale)

Ma poi, il vero problema degli U2 sono le aspettative. Loro magari vorrebbero essere come i Depeche Mode o gli AC/DC e invecchiare rifacendo se stessi con stile, senza qualcuno che gli chieda encicliche che diano risposte sullo stato del pianeta o sullo stato del rock. Invece agli U2 si chiede ciò che si chiedeva ai Beatles: essere ancor oggi al centro di tutto, essere la band che fa i dischi significativi su cui gli altri si regolino. Solo che i Beatles sono durati 7 anni, salutando al massimo fulgore; i Led Zeppelin sono durati 10 anni, i Pink Floyd 12, i Rolling Stones (mmmh, fatemi pensare) 16 anni. Berlusconi stesso, ci ha messo 14 anni prima di comprarsi definitivamente questo Paese di prostituti intellettuali. Gli U2, casomai non ci abbiate fatto caso, sono in giro da 29 anni. E continuare a rilanciare – e Dio sa se lo hanno fatto più volte, in carriera – alla lunga è dura. Conviene molto di più fare come Sting (o Albano! n.31): mettersi in vini e inebriare il pubblico così, invece che cercare un senso until the end of the world.

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18 Commenti

  1. “con che faccia io posso parlare male degli U2 al n.1 in classifica”
    no, non puoi.

    “Con che faccia, ripeto, posso fare smorfiette di fronte al n.1 degli U2 (o, nel caso, al n.4 di Annie Lennox, Diva & Donna)?”
    ripeto, non puoi.

    “ai Killers … ai Kasabian”
    eh!?

    “Gli U2, casomai non ci abbiate fatto caso, sono in giro da 29 anni”
    eh, ma l’Orchestra Casadei è in giro da almeno una 50ina di anni e ancora schianta di brutto.

  2. Domanda: gli U2 italiani esisteranno mai? Risposta: no. Domanda: e perché, sappiamo già di no? Risposta:…?

  3. “…-in parte- i concerti sono ancora importanti…”.

    Quanto mi piacerebbe sentirla di nuovo dal vivo questa benedetta live-band, prima che decidano di smettere (che poi ci resta solo Casadei).
    I Killers. Chissà dove saranno i Killers tra 29 (facciamo 25) anni.
    What do you want?

  4. Esimio Madeddu,
    la ragione che ho cucito per lei è una coperta corta.
    La copre laddove parla di crisi giustificata di creatività dopo 29 anni anni (e di difficoltà nel riempire un album)
    la scopre laddove non considera che tale posizione dipende da orecchie ormai usurate/assuefatte.
    La creatività degli U2 è come una donna stupenda, che i primi giorni ti fa sbavare, ma poi…
    poi se la conosci, impari a prevederne gesti e movimenti, tutto ciò che è/fa ti sa di dejà-vu… e allora?
    Mi nasce (spontanea) una domanda (santo Lubrano) … dove si nasconde il demone del consumismo?
    In chi fatto un nome produce dischi in serie o in chi si abitua anche al bello e vuole sempre essere stupito?

    Buon appetito (musicale)…

  5. “Berlusconi stesso, ci ha messo 14 anni prima di comprarsi definitivamente questo Paese di prostituti intellettuali”

    youtube.com/watch?v=jacMueOJDn8

  6. e quando dice “Pride”?

    lunga vita agli inutili,piuttosto che ai mediocri,,

  7. Loro sono come Totti. E’ vecchio, malandato, ha più chiodi nelle gambe che Cristo sulla croce e Geppetto in bottega, gioca una partita poi deve andare in falegnameria a farsi rimettere in squadro, ha la mobilità del cassonetto del rusco sotto casa mia, che lo ribaltano una volta a settimana e poi lo rimettono a posto e lui sta lì. Ma le generazioni giovani sono, tuttora, peggiori. Non è più colpa loro, degli U2, che resistono onorevolmente e nulla più, dove onorevolmente dopo 29 anni di carriera significa avere una fibra particolare.

    Se posso lanciarmi in brevi cenni sull’universo, direi che la corsa del mercato, che detto in grande è il percorso del capitalismo, diventa prima o poi la morte della creatività. E adesso siamo poi. Quando tutto è misurato strettamente come ritorno sull’investimento, non può più saltare niente di buono. Anzi di nuovo.

    Prendete il cinema. Ci sono tanti discreti film, qualche volta anche ottimi. Ma i ca-po-la-vo-ri io non li vedo più da anni, o si sono diradati.

    E nella musica, the same. E allora, chi è riuscito a venire fuori prima della commercializzazione spinta al grado zero, ha le doti per reggere, come può.

  8. piti, io il discorso non lo farei così strettamente legato all’economia. a parte che arte e mercato non sono certo incompatibili, non mi pare che nel mondo di oggi, allo stadio in cui siamo giunti, la mercificazione dell’arte sia a livelli così superiori rispetto al passato. nel cinema, per dire, l’apparato produttivo è stato da sempre totalmente asservito all’industria e al profitto, ma ciò non ha impedito che in contesti del genere (penso alla vecchia hollywood) di capolavori ne nascessero a valanghe , coi vari hitchcock, hawks, wilder, john ford eccetera.
    poi.. boh.. i discorsi del genere non-ci-sono-più-i-capolavori-di-una-volta sono una costante della storia umana, li facevano pure gli antici greci, e lasciano sempre un pò perplessi. ora come ora non saremo a livelli eccellenti, ma dire che nel cinema non si fanno più ca-po-la-vo-ri è un’affermazione azzardata (nella musica non saprei, è un campo che conosco meno).

  9. Paolo, io e te condividiamo:
    -l’amore sconfinato per gli U2 che furono;
    -la fastidiosa sensazione che nonostante le buone canzoni certi album non aggiungano nulla se non altri zeri sul conto in banca.
    Io e te invece non condividiamo:
    -Pop, nonostante le ambizioni, per me resta brutto. E il canto del cigno dei 4 per me è “Achtung Baby”.

    Quello che vorrei aggiungere alla tua recensione (la migliore e più “intellettualmente onesta” che ho letto sull’album, detto senza alcuna piaggeria) è ciò.
    Le ASPETTATIVE generate da qualsiasi uscita del quartetto a mio avviso dipendono solo in parte da ciò che realizzarono fino a Achtung Baby.
    Le GRANDISSIME ASPETTATIVE di salvatori della musica e dei mali del mondo dipendono anche ed in gran parte dalle megalomanie messianiche del signor Paul Hewson, in arte Bono.
    Senza le di lui uscite pro-mondo, egli e conseguentemente la band non avrebbero guadagnato lo status symbol di “se c’è qualcuno in grado di cambiare le cose questi sono gli U2”.
    Se si fosse limitato a fare musica senza andare a telefonare ai Presidenti di mezzo mondo e a Satana in persona, forse ma solo forse oggi saremmo qua a parlare di un gruppo che non si rassegna al tempo che passa e che però, porca la pupazza, è ancora spanne sopra qualsiasi “next big thing” di NME dal 1991 ad oggi.
    Eccheccazzo.

  10. @Memedesimo: vero è altresì che Achtung Baby e Pop furono piuttosto imprevedibili per i seguaci dei primi giorni. Ma in fondo, anche Rattle and Hum per chi aveva nelle orecchie “Stranger in a strange land”. Il dilemma sull’essere sempre stupiti però è cospicuo. In quest’epoca lo tiriamo alle estreme conseguenze, e ogni volta che esce anche solo il secondo disco di un gruppo va in scena il tragico vaudeville individuato da un noto complessino milanese:
    Lui: Io sono come sono.
    Lei: Cerca di cambiare.
    Lui: Sono cambiato.
    Lei: Non sei piu’ quello di una volta.

    @Piti e @Jack. Forse però il capolavoro non lo si individua mai subito. Lo testi sulla media distanza, quanto meno. Ora siamo in grado di snocciolare qualche capolavoro degli anni Novanta; aspettiamo che gli anni Zeri siano finiti da un po’. Anche se ovviamente la tentazione di cominciare a tirare le somme è forte. Toh, magari nella prossima TheClassifica facciamo quello che tutti faranno a partire da settembre: i dischi del decennio, siore e siori!

    @Diamond: un momento, un momento. Ho detto che “Pop” è bello? Ehm. Casomai, Zooropa è bello. Ma poi non è del tutto esatto: Zooropa ha delle canzoni bellissime. Ma – mi ripeto (…fosse la prima volta): un buon numero di bellissime canzoni non fa più “un bell’album”. Zooropa è un esempio interessante, in merito.

  11. Ops, dimenticavo. Bono e la salvezza del mondo.
    Anche John Lennon, mi risulta (e mi ha confermato qualche rockstar che l’ha incontrato) era un pallone gonfiato, uno che a fare il messia ci marciava.
    Non so, non essendo mai stato adorato dalle genti mi è difficile capire come funzioni, ma mi è facile pensare che se si è adorati dalle genti, un po’ di senso delle proporzioni lo si perda, dai calciatori ai politici agli intrattenitori televisivi.
    Quello che noi sappiamo è che costoro NON sono messia. Eppure ci provano, in qualche modo un po’ goffo. Che poi, gli U2 venderebbero meno, se fossero meno messianici? Non avrebbero scritto lo stesso “One”? Gli converrà così tanto fare i salvatori del mondo, che stanno sulle palle a tutti – non sarebbe in fin dei conti meglio se si limitassero a incassare come Mick Jagger, senza rompere le palle? Non dovremmo pensare: meglio che niente? Un anno fa a quest’epoca Annie Lennox mi ha detto: “Se una come Paris Hilton fa qualcosa che può far curare un bambino in ospedale, ben venga anche Paris Hilton”. E’ un utopismo molto pragmatico, in fondo.

  12. Certo, è tutto vero.
    Meglio poco che niente.
    Però io parlavo di aspettative.
    Se ti poni in modo messianico (a livello di immagine, opere, parole e contatti) tutti poi da te si attendono qualcosa di messianico.
    Dischi compresi.
    Dal nuovo dei Rolling Stones (mi vien da ridere solo a dire “nuovo”) in realtà nessuno si attende molto e se invece viene fuori un buon disco quasi quasi strabuzzi gli occhi.
    Dal nuovo degli U2 o vien fuori un capolavoro o son tutti pronti con il pernacchio.
    E’ questo che volevo maldestramente dire.
    Bono non deve smettere di fare ciò che fa, anzi.
    E’ la gente che non dovrebbe attendersi che lui possa moltiplicare i pani e i pesci.

  13. Madeddu, le genti di Macchianera, quorum ego, ti adorano.

    Quindi, montati la testa (senza leggere le istruzioni) e poi riferiscici.

  14. quoto piti, madeddu sei il nostro messia!

    “Toh, magari nella prossima TheClassifica facciamo quello che tutti faranno a partire da settembre: i dischi del decennio, siore e siori!”
    è già finito il decennio? azz… è vero…

    comunque il discorso capolavori è complicato.
    Ci sono opere importanti e decisive che non sono capolavori in senso tecnico, ma perché stabiliscono nuovi canoni, aprono strade, segnano percorsi, rimestano macerie facendone qualcosa di nuovo, e dopoche sono uscite niente è più come prima.

    Tipo La Corazzata Potemkin: se lo vedi oggi puoi concludere come Fantozzi che non è ‘sto gran film, ma quando uscì era rivoluzionario in tutti i sensi. Oppure i dischi dei Beatles (tre accordi e yè yè yè, però che ti hanno combinato), di Elvis, dei Sex Pistols…

    Ecco: oggi è difficile che un disco (o un film, un’opera artistica in genere) abbia lo stesso impatto di quelli là perché la società è diversa, non aspetta di essere sovvertita. C’è molto più bisogno di riannodare fili, riscoprire cose dimenticate, salvare dall’oblio cose importanti, ripercorrere strade già battute per vedere cosa è restato e cosa è andato. Perché siamo stanchi di novità (cit.)

  15. Piano regà che poi il buon Paolo si sente costretto a scrivere il pezzo del millennio!!!!!
    Diciamogli che lo stimiamo tanto e che leggiamo sempre volentieri i suoi excursus politico-musicali-sociocomici ma che se inizia a parlare alla inveritàinveritàvidico gli diamo una pacca sulla spalla e gli diciamo amichevolmente: “aò, ma che cazzo stai a dì?”

  16. comunque c’è un problema di base relativo al fatto che se gli artisti riscrivono lo stesso pezzo siamo portati a incensarli anche quando siamo costretti a prendere atto di questa verità,se invece provano a percorrere nuove strade si scontrano contro pregiudizi che spesso non riusciamo a lasciarci dietro verso le cose nuove.Probabilmente è possibile tirare le somme e quindi decretare un giudizio critico scevro di passioni solo a verminazione iniziata(resta il dubbio,che troverebbe d’accordo Formigoni,concernente il fatto che pure la verminazione è vita che lascerebbe il recensore in una sitazione di stallo perenne).Peraltro,non avendo letto il post(adorabile a prescindere) con la concentrazione necessaria nemmeno so in quale sitazione si è infilata la discussione ,colpevolmente

    p.s. a proposito di Nek,Mi è venuto il dubbio che discenda dal sardo neke(niente.Un titolo piuttosto appropriato.Ioci causa of course)

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