Lo so che il Giornale sul caso Englaro ha la sua linea: ma chiedo di poter dire ugualmente quanto abbia trovato sconcertanti un paio di uscite purtroppo governative. Eugenia Roccella, dopo la pronuncia della Consulta, ha detto che il problema «è l’espansione dei giudici e la loro invadenza di campo» perché «in Italia le leggi le fa il Parlamento e i giudici dovrebbero applicarle». Gaetano Quagliariello nondimeno ha definito «pilatesca» la decisione della Consulta e ha detto che «legiferare diventa ancora più urgente».
Cioè: ma di che state parlando?
Siete voi che la legge non l’avete mai fatta, siete voi che non volevate assolutamente farla, siete voi che sino a mezz’ora fa non volevate neppure sentir parlare di testamento biologico e urlavate «eutanasia» a ogni tentativo di farlo. E’ l’ipocrisia della politica italiana, unica in Europa, che ha lasciato dolosamente scoperti gli spazi di cui la magistratura non ha potuto non occuparsi: e ora venite a dirci che ci vuole una legge? Dopo che per anni ve la chiesta la società civile, i medici, tutti i livelli della Magistratura, il Consiglio superiore di sanità, persino qualche politico? Dopo che la società e i medici, aspettando voi, per anni, se la sono cavata segretamente da soli con tutte le Englaro e i Welby lontani dai riflettori? E sarebbe la Consulta a essere pilatesca? Non dite che ci vuole una legge: fatela.
(Il Giornale, 10 ottobre 2008)
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Eugenia Roccella sul Giornale dell’11 ottobre:
Di fronte all’accusa mossami ieri su questo giornale da Filippo Facci di essere tra i colpevoli del fatto che in Italia non c’è ancora una legge per regolare i casi come quello di Eluana Englaro, potrei cavarmela ricordando che, se nella scorsa legislatura non si è arrivati a una legge, la responsabilità va attribuita soltanto alle divisioni nella maggioranza di centrosinistra. Potrei aggiungere che la Commissione Sanità del Senato ha già ripreso a lavorare sul tema, con lo scopo dichiarato di produrre una buona legge in tempi brevi.
Però devo riconoscere che quello che dice Facci è vero: prima della sentenza della Cassazione sul caso Englaro ritenevo che nel nostro Paese una normativa sulle dichiarazioni anticipate di trattamento non fosse necessaria. L’articolo 32 della Costituzione garantisce la libertà di cura, e i cittadini vi ricorrono tranquillamente, senza creare nessuno scalpore, senza finire sulle prime pagine dei quotidiani. Ogni anno un certo numero di pazienti abbandona le terapie prescritte – penso per esempio alla dialisi – anche sapendo che è una scelta che porta alla morte. Nel caso di Piergiorgio Welby, il medico che ha staccato il ventilatore e somministrato l’anestetico, il dottor Riccio, non è stato processato da nessun tribunale, e neppure richiamato dal suo ordine professionale, nonostante la campagna mediatica e politica fosse stata consapevolmente condotta sul filo dell’ambiguità tra libertà di cura ed eutanasia.
Che il testamento biologico non sia la soluzione dei problemi del fine vita lo si è capito anche dalla morte per fame e per sete inflitta a Terry Schiavo, per ordine di un magistrato, in un Paese in cui una legge c’è da tempo. Facci, che è solidamente garantista, dovrebbe temere l’intervento dei giudici nel privato, all’interno di delicati equilibri di relazione, nel momento in cui la fragilità e la sofferenza ci rendono più esposti e inermi. Sono spazi «dolorosamente scoperti»? O sono zone d’ombra in cui le sentenze entrano con un eccesso di spavalderia e sicurezza, magari ricostruendo la volontà presunta di un individuo, per consentirne la morte, sulla base degli «stili di vita», come nella vicenda di Eluana?
In Italia, è stata proprio la sentenza della Cassazione sul caso Englaro a fare da spartiacque. La libertà di cura, nell’interpretazione dei magistrati, è scivolata verso il diritto a morire, mentre il consenso informato, quel foglietto che noi spesso leggiamo e firmiamo senza nemmeno capire bene, rappresenta ormai l’inviolabile frontiera dell’autodeterminazione. La sentenza Englaro però è solo la punta dell’iceberg, costituito, nella sua parte sommersa, da un cumulo di casi giudiziari meno visibili ma risolti nell’identico modo. Sembra ormai che i giudici colgano ogni occasione per ribadire che il consenso è più importante della cura, e il medico non è che un esecutore della volontà del paziente. Anche quando non si tratta di coma o di malattie terminali, ma soltanto di un contenzioso che riguarda una terapia per l’obesità. Come in una recente sentenza penale della Cassazione, in cui, nonostante non c’entri affatto con l’argomento della causa, si ribadisce il diritto del paziente di rifiutare le cure «secondo una totale autonomia di scelta che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario». Insomma, se la ragazzina obesa avesse voluto morire, bisognava lasciarla fare?
Sono d’accordo con Facci: dobbiamo fare una legge, ma dobbiamo farla per arginare interpretazioni arbitrarie della libertà di cura, e per dare ai malati garanzie e tutele.
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Nota: era «dolosamente scoperti», non «dolorosamente».
Nota2: mah.
di solito tradizione vuole che facci debba essere insultato nei post degli articoli su travaglio e lodato (meravigliati) dopo i suoi articoli anticlericali. oggi mi sento innovatore: facci vaffanculo lo stesso.
Intanto Eluana si è aggravata….
Comunque trovo schifoso che giornali,tv,facciano ancora vedere le foto di 16 anni fa.Quasi a convincerci che ci siano ancora speranze.
m’è piaciuto assai l’articolo di facci e lo condivido su tutta la linea. Son meno d’accordo sulla retorica sottile che nella risposta lascia intendere che la vita (ecchè scherziamo?) non debba essere lasciata all’arbitrio del singolo.
Quest’ultima è una posizione per me incondivisibile. Spero di non dovermi mai trovare a dover lottare per il mio diritto a decidere se vivere o morire.
Complimenti Facci. L’unica cosa di cui nessuno mai parla, a prescindere dal socrosanto diritto di decidere della propria vita, la pietà.
l’uomo ha il diritto sacrosanto di decidere dell’esito della propria vita. certo più di quello arrogato(si) di decidere della vita altrui.
siamo riusciti ad accettare l’esistenza dei “danni collaterali” della guerra (che oltre ad essere l’aberrazione di un’aberrazione, rappresentano l’errore umano in grado di causare vittime innocenti… lo accettiamo, magari non moralmente, ma lo accettiamo, è chiaro questo?), e non possiamo sostenere l’idea che un uomo decida da sè, e per sè, della propria vita?
quale diamine di pericolo sociale rappresenta una legge che illumini tale diritto, se non la perdita di potere sulla massa di chi pretende di detenerne la competenza di regolamentarlo?
ma, magari sbaglio. sono un povero qualunquista, un superficiale. sarei un ottimo presidente del consiglio (anche ombra, non si dica…)
Si, Facci fa il poliziotto buono sulla fetta arrosto del buonsenso ed il cattivo sul resto, ovverosia sulle cose che contano.
La chiesa è morta… lo rende palese ogni giorno il Papa medesimo con le sue dichiarazioni.
Quindi Facci, dici chi cazzo ha scritto l’articolato indegno per il quale Tremonti minacciò le dimissioni.
Il nome del venduto, o giornalista!
Un vecchio amico
immagino fosse “ve L’HA chiesta”, non “ve la”, come spero non sia finito sul giornale.
per il resto mi sembra tutto molto condivisibile, ma non è una novità che le posizioni religiose (di più religioni) per varie terapie mediche, fino a quest’estremo dell’attaccamento morboso alla vita (per qualunque tipo di “vita”) divergano da quella che parrebbe la più logica, ovvero la più vicina a difendere la libertà di scelta di ogni individuo.
Merita la pena di leggere una risposta che comincia con le illuminanti e bipartisan parole:”potrei cavarmela ricordando che, se nella scorsa legislatura non si è arrivati a una legge, la responsabilità va attribuita soltanto alle divisioni nella maggioranza di centrosinistra.”
Vergogna