A volte manca la corrente

Un chilometro in quaranta minuti. Canzonette alla radio. E qualche flash di notizie. Piergiorgio Welby è morto. E poi canzonette alla radio. A passo d’uomo nel traffico di Natale. Canzonette alla radio. Ancora Piegiorgio Welby: hanno staccato la spina. Canzonette alla radio e raggiungo la festa. Christian ha sequestrato il pallone regalato a tutti: ci sono gli autografi dei calciatori. E tre sul palco che firmano pezzi di carta, magliette, si fanno fotografare. Giocano in serie C, ma Christian e gli altri bambini pensano di trovarsi di fronte a Cannavaro, Buffon e Totti. Christian e gli altri bambini forse non saranno mai vecchi. Quegli occhi a mandorla sono la loro condanna. La pioggia fuori. E in sala la luce che va e viene. Ma quando va, Christian e gli altri accendono una torcia. Non vogliono perdere neppure un minuto della loro serata con i calciatori. E maledicono l’Enel per ogni istante rubato.

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14 Commenti

  1. questa è stato il primo caso di eutanasia in italia.

    malissimo, tra pochi anni vedremo come ci saranno casi di eutanasia forzata.

    cmq ci sarebbe da chiedersi se sia il caso di mettere delle persone dentro ad un polmone d’acciaio.

    la scienza medica ha fatto molto progressi indubbiamente, ma preferivo la vita dei miei nonni, più breve forse, più insicura, ma sicuramente più degna.

    una cosa è certa, NON donerò nessun organo e scriverò nel mio testamento che nel caso finissi attaccato ad una macchina per vivere per più di una settimana… che non mi attacchino affatto.

    Meglio morire in pace e serenità. Ho la coscienza tranquilla e so che quialcuno lassù mi aspetta!

    max

  2. ma smettiamola con questa storia dell’eutanasia!!

    Da due giorni tutti che citano questa parola (assieme, un pò meno di frequente, a omicidio).

    Vi fornisco subito le motivazioni, completamente scorrelate (lo sottolineo, scorrelate) con la mia opinione su questa vicenda.
    Circa un anno fa, ci fu il caso di una signora ligure che si rifiutò di farsi amputare un arto per un’infezione, scegliendo di morire. Intervennero moltissime persone, perfino Alex Zanardi la contattò, ma lei scelse di morire.
    Poche settimane dopo, un altro caso analogo: un paziente (mi pare nel Lazio) che si rifiutò di farsi amputare un arto e morì.

    Questa recente vicenda è totalmente analoga ai due casi che vi ho citato.
    Dove eravate allora? Perchè non avete querelato i medici?

    Semplice, perchè il paziente conscio ha la facoltà di rifiutare le cure (magari qualcuno di voi ha anche firmato il foglio in cui si rinuncia al ricovero nonostante questo sia stato prescritto dal medico)

    Ipocriti


    Scusate lo sfogo, ho scritto ad alzo zero, però è inconcepibile tutto questo baccano per una facoltà già prevista dalla legge (e non mi parlate della vicenda giudiziaria perchè lo sappiamo tutti che la magistratura è influenzabile, lo scrisse anche la UE)

    Claudio

  3. Quindi, Claudio?
    Dove vuoi andare a parare?

    Il problema sollevato è un altro: se il paziente è conscio, appunto. Quando una persona nelle condizioni di Welby non riesce a manifestare direttamente la propria volontà, ma resta cosciente, lucido e capace d’intendere e volere com’era lui, la questione si complica non poco. Ipocrisia o meno, è stato sollevato un problema tutt’altro che trascurabile: onore al merito di chi l’ha portato alla ribalta, direi, un’altra volta.
    Chiediamoci, fra le tante cose…

    a) si può continuare a disporre pienamente della propria vita, pur se gravemente menomati in alcune delle funzioni fondamentali che ci garantirebbero la sopravvivenza? Se sì, fino a quale punto?

    b) Che qualità della vita ci vediamo garantire, continuando a sopravvivere nel modo prospettato dal punto a)?

    c) protrarre l’esistenza in vita attraverso l’uso di terapie e modalità operative dichiaratamente non naturali e volte a salvaguardarla a tutti i costi, non contraddice chi sostiene che la fine della vita debba sempre giungere per via naturale e senza intervento eutanasico? Perché due pesi e due misure? Se consentiamo la terapia, dobbiamo consentirne anche la cessazione, qualora diventi un intervento “contrario alla natura”. Non è forse un’ipocrisia ancor maggiore, questa?

    d) possiamo forse capire, noi, ciò che ha vissuto Welby senza averlo direttamente esperito? No, naturalmente… Nessuno potrà mai capire la portata della sua sofferenza, il perché lui abbia chiesto, implorato addirittura di poter morire. Ma possiamo intuirlo tutti e solo rispettare il suo volere. Non certo stracciarci le vesti ipocritamente per lui…

    Il diritto ad una morte dignitosa è l’ovvio corollario un vita vissuta secondo lo stesso criterio. Anche per questo motivo, sono della convinzione che una persona possa – o addirittura debba – porre liberamente fine alla propria, se e quando lo desideri, serenamente e senza sofferenza. E’una scelta umana, degna, comprensibilissima: il valore della vita dipende dalla pienezza con cui la si vive, e non possiamo imporre a chiunque di adattarsi ad un’esistenza monca, stentata, sofferta, se non lo vuole o non ne è pronto. Nessuno è vocato al martirio, o all’eroismo, a meno che non lo scelga. Non si può imporre un simile criterio guida a chi non se la senta di vivere come un vegetale.

    Alex Zanardi, che citi, è una persona che ammiro tantissimo: ha saputo reagire con immane coraggio ad una meonomazione capace di stroncare chiunque. E’un paradigma, ma non dimenticare che rimane un privilegiato, e non solo quanto a forza di carattere. Non si può pensare che chiunque abbia la sfiga di ritrovarsi nella sua condizione sappia o voglia adattarsi alla sopravvivenza nel suo stesso, incredibile modo. Non tutti lottano.
    E’una scelta individuale.

    In caso di menomazioni più gravi, la sofferenza è innaturale, accidentale all’indole umana e non vedo per quale assurdo, perverso motivo si debba sopportarne il peso, quando disponiamo dei mezzi per alleviarla. Non è codardia evitarla, ma civiltà.

    Si lasci a chi vive la responsabilità di disporre della propria esistenza, com’è giusto che sia, visto che è lui a viverla in prima persona e nessun altro può sindacarne la bontà. Del resto, gli antichi latini e greci lo facevano senza problemi; è solo una questione di cultura.
    Dispensare la pace è un gesto di grande pietà, non un omicidio. Trovo sia un atto di coraggio e non di vigliaccheria, farlo.

    Un’ultima cosa. Trovo inaccettabile invocare contro l’eutanasia la pretesa tutela del Valore Supremo della vita, in quanto affidataci da un essere superiore, dono suo e non nostra: è un ricatto morale intollerabile, odioso, indegno.

    Un dio che non ti permetta di morire con dignità è un essere crudele, tirannico, gretto. Non è certo un dio d’amore, se privilegia un’astratta difesa della vita ad un’esistenza concretamente, giornalmente vissuta nella sofferenza. O quantomeno è tale chi sostiene di esprimersi a nome suo, e pretenda che il dolore sia un viatico verso l’agognato traguardo della vita eterna.

    E personalmente, sono stufa di sentirmi ripetere da costoro che la nostra è una vita in leasing.
    La vita sarà anche un dono di Dio, ma i cazzi son nostri, però!

  4. Quello che penso dell’eutanasia lo tengo per me. Quello che ho provato ieri sera è stato un grande senso di vuoto di fronte a due atteggiamenti opposti.

  5. Anch’io. E una grande amarezza.
    Però il tuo è uno dei post migliori che abbia letto sull’argomento. Grazie…

  6. Piergiorgio ci ha lasciati!
    Apparentemente sembra spegnersi l’eco del nostro dibattito, sembrano spegnersi i ns. commenti, i ns. pensieri, i ns. contrasti, i ns. diversi modi di pensare e di interpretare il bisogno umano di non soffrire.
    Apparentemente…
    ma noi c’impegniamo affinchè la morte non porti via anche la speranza!
    Perchè se Piergiorgio ha smesso di soffrire, ce ne sono tanti altri che stanno invocando e supplicando una morte dignitosa!
    Non dimentichiamolo, non dimentichiamoli.
    Lear

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