O Paninaro, vestito di nuovo

Filippo Facci PaninaroSiamo nati per soffrire e adesso dovremmo persino occuparci del ventesimo compleanno del movimento paninaro: ciò che una banda di smandruppati ha cercato di festeggiare in una discoteca milanese in via Castelbarco. Festeggiare che cosa? In teoria – dicono loro – andrebbero glorificati gli anni ingordi della Milano da bere, il primo Burghy di Piazza San Babila, le modelle di via Montenapone, la Milano celebrata da Time che ci fece una storica copertina, il Made in Italy e compagnia bella. Ma è una visione distorta, è una miscellanea ingiustificata: i paninari stanno agli Anni Ottanta come la schiuma della risacca sta all’oceano, come il più sconcertante movimento di giovani pecoroni mai apparso sulla Terra può stare alla modernizzazione del Paese che ebbe peraltro il merito di strapparci dagli anni di piombo, e ci fece definitivamente Occidente.
Ma i paninari no. I paninari furono una reazione rozza e greve allo spaventoso e straccionesco conformismo ideologico ed egualitarista degli anni Sessanta e Settanta, furono un ritrovata e patetica spartizione tra i ricchi e i poveri, i belli e i brutti, sicchè tutti quanti – i paninari e i loro antagonisti – divennero improvvisamente brutti. Caricaturali. Dal punto di vista prettamente estetico i paninari non sono mai tramontati: li vedi ancor oggi colle loro scarpe grosse, le giaccavento, i guanti gialli da netturbino, il capello corto e ingellato, i jeans con le pezze, gli orologioni, e mangiano panini: perché sono muratori nell’intervallo per il pranzo. Eccola l’eredita estetica di chi stava a San Babila solo per fingere di non stare, spesso, a Quarto Oggiaro. Quali differenze rispetto ai figli dei fiori? Alcune milioni, ma non nella cervellotica da sottovuoto pneumatico – identica – quanto piuttosto nella pretesa edonistica di chi non voleva essere come gli altri bensì di più: ma allo scoperto, finalmente. Ecco che per questi comprimari di fine millennio l’abitus diventava l’animus, lui diventa un figone solare e lei una piumina arrapation: eppur deficienti uguale, anche se lui d’un tratto è galloso e indossa capi classici e storici che resteranno di moda per almeno sei mesi. Ecco la generazione Timberland, i piumini Moncler di vari colori da operai delle autostrade, i Ray Ban da poliziotti americani, i soliti Levi’s, le solite Lacoste, i solito secchiello Louis Vitton, le solite giacche Brooksfield, la All star di tela, le calze Burlington: più un sacco di idiozie modaiole mischiate alla rinfusa come poterono esserlo le orrende scarpe Vans o Koala, le magliette da surf Mistral, i giubbottazzi di pelle Schott, le scarpe Koala Sebago o Vans, roba che giocoforza doveva costare una tonnellata di soldi – unica vera regola – da scucire a una generazione di genitori che non aveva fatto la guerra e ai loro bravi e decerebrati ragazzi non voleva far mancare niente, si dice. Da qui alla demenza pura il passo fu breve: il Moncler anche in estate, i Rayban anche di notte, gli stivali Fryie anche in spiaggia, i maglioni ben infilati nei pantaloni per ostentare spaventose fibbie da rodeo texano, naturalmente scarponi grossi Timberland (cervelli finissimi) con l’affige dell’alberello ben ricalcato col pennarello. Il tutto spolverato con uno strato arancione scuro residuo di sette lampade abbronzanti possibilmente fatte da Rino, in via Montenapoleone: nell’insieme, la moda più antimaschile e al tempo stesso antifemminile mai apparsa dal Quaternario in poi.


Non c’è tanto da fare della sociologia. Fu demenza e basta? Forse fu anche una maniera, rabbiosa e magniloquente, pacchiana e americanoide, di ritracciare un confine che non era né ideologico (figurarsi) né di stile: era semplicemente quello immortale di chi aveva il papà coi soldi e chi non l’aveva, tra chi era nato fortunato per censo economico – e mentale, talvolta – e chi invece no. Una crudeltà esibita e di reazione. Gli è che il paninaro era spesso un divertente e divertito imbelle – per i milanesi: un vero pirla – tuttavia ben separato dall’universo dei troppo scarsi, dei peggio buri, coatti, borazzi, iarri, cinghios con la camicia abbottonata sino in cima, la catena alla Franco Califano, l’orecchino da buana, l’orologetto al quarzo multifunzione con suoneria, la pettinature alla Gigi Sabani, alla Toto Cutugno o alla Luciano Benetton, tutti in fila coll’autoradio sotto il braccio. Non c’erano tanti i paninari: c’erano quelli che potevano permettersi le moto Zundapp e Aprilia e la Vespa e il Sì Piaggio e poi c’erano gli scornacchiati col Califfone, il Motobecane, la Cagiva Aletta Rossa. E se certi maggiorenni avevano la Mitsubishi Pajero, la Renegade e vari fuoristrada col parabufalo, e altri viceversa la Ritmo, l’Alfasud, la Skoda, la Daf, la 127 sport dorata coi tendalini di Marylin, come dire: forse la mezzaria non era solo e fondamentalmente ideologica. Tagliato con l’accetta, un classismo anche esistenziale: da una parte gli Enzi, i Pini, i Mimmi, i Giancarli – con le loro Luise – e insomma gli emuli di Tony Manero, di Rambo II, soprattutto il cosiddetto Gino: il brutto naturale e sociale, lo sfigato di sempre, lui e la sua coltivazione di punti neri, la canottiera sotto la camiciola come potevi permetterti solo se eri Craxi al congresso di Rimini, la biro nel taschino, la cintura di stoffa, le scarpette estive traforate da cameriere, il baffetto alla tedesca da segaiolo. Il poveraccio. Dall’altra invece il già descritto paninaro, solo e sempre dance music, uno che gli nominavi Guccini ed estraeva la lama, lui che camminava indomito e ballava Der Kommissar di Falco e Wild boys dei Duran Duran, e dice così: “Sgommo al brucio per non fare il pacco alla schizza cuzzata di fresco”. Poveracci per censo da una parte, per merito dall’altra.

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49 Commenti

  1. Mò preparati alle rimostranze femminili per non avere citato Naj Oleari e a quelle maschili per non avere citato El Charro. Ma pure Americanino, che almeno era un marchio italiano!.. Comunque bbbravo Facci.

  2. Bellissima l’immagine del logo Timberland ripassata col pennarello. Ricordo bene quel periodo e non vedo molte differenze rispetto ad oggi, dove a seconda del look si viene etichettati politicamente e si entra in un gruppo piuttosto che in un altro. Ma al tempo dei paninari si esagerò decisamente, con quel linguaggio oggetto di vocabolari e riviste, con quei ridicoli corsi per conquistare le squitinzie. Un applauso a Filippo Facci.

  3. franciskje – se è per quello non ha citato nemmeno i Pet shop boys (“Paninaro, (I don’t like much, really, do i? ) / Paninaro, oh oh oh / Paninaro, paninaro, oh oh oh / Paninaro, paninaro, oh oh oh / Paninaro, (but what I do like, I love passionately) / Paninaro, oh oh oh / Paninaro, paninaro, oh oh oh” eccetera), ma vabbè…

  4. Ragazzi, non cercate di competere con me su questo tristissimo argomento: avete presente – qualcuno purtroppo l’avrà presente – il giornaletto Il Paninaro, ai tempi bibbia orrenda dei citati? Ebbene, io avevo vent’anni e ci lavoravo. Scrivevo articoli, test, sceneggiature. A ventimila a cartella. E intanto scrivevo su l’Unità. Però mi mantenevo, anche se di quel periodo ricordo – nei momenti molto difficili – le fette di pane col concentrato di pomodoro in tubetto. Ual boi.

  5. La foto del manichino in giallo mi ha fatto sganassare. Veramente divertente.
    Per il resto il solito vuoto post-onanistico:

    hip hip … uFFà!

  6. Di cui evidentemente sai qualcosa, Bongo: scrivi sempre la stessa cosa! Ora rileggo l’ultimo post di Giulia e provo ad identificarti

  7. Dal comunicato stampa: “Ma la vera “guest-star” sarà il pubblico che animerà le serate “Il Paninaro” con il loro abbigliamento. Rispolverate la vostra divisa ufficiale da Paninaro Doc. Obbligatorio indossare almeno un capo “ufficiale” dei paninari. Un paio di calze Burlington, una felpa Best Company, la cintura El Charro o uno zainetto Invicta (solo quelli a righe!!) saranno il vostro biglietto d’ingresso. Ai Paninari Doc, tutti coloro che si presenteranno con l’abbigliamento completo, sarà riservato l’ingresso al “Privé del Paninaro”. Uno spazio esclusivo realizzato alle spalle della postazione DJ, riservato a chi indosserà il “kit completo del vero Paninaro”: cappellino di lana (o con pon pon), giubbotto Avirex o Henry Lloyd, scarpe Timberland, Jeans Levis 501, guanti di pelle e l’immancabile zainetto Invicta”.

  8. Mah, a me sembra una tirata inutile. Le mode stronze ci sono sempre state. Tra vent’anni il figlio di Facci farà un copia e incolla cambiando marche e nomi, e andrà bene lo stesso.

  9. sara’ che io non un blog a cui fare pubblicita’, ma continuo a non riuscire ad arriva in fondo a un qualunque scritto di ff

  10. Di mode stronze ce ne sono tante ma quella dei paninari ha certamente lasciato il segno più di altre. Perché questo post di Filippo Facci dovrebbe essere “inutile”? Io l’ho trovato divertente e in fondo ci sono arrivato eccome.

  11. O cavoli. E come dimenticare gli orribili sarcofagi della Naj Oleari che mascheravano di farfalline, bambolotti … la supponenza delle truccatissime “panozze”?
    Come non citare poi il must musicale che si esprimeva nel testo WILD BOYS dei Duran Duran? Selvaggi: ma dove? tutti leccatini e perfetti com’erano (o sono)..!?!!

  12. Per fortuna dope le accuse che hanno dimostrato come alcuni ricercatori siano stati pagati per dire che il fumo fa meno male di quanto si creda, facci ha cambiato argomento. Bene, l’empietà degli anni 80 gli è forse un argomento più congeniale.
    Dopo tutto il suo libro gli avrà portato qualche soldino in tasca, più di quanto gli serva per continuare a non lavorare.

    Comunque ricordare le mode squisitamente commerciali come i paninari è sempre utile per “non dimenticare”.

  13. Non sputate sul Paninaro (la pubblicazione, intendo). Ricordo ancora con gli occhi umidi la storia a fumetti in cui un paninaro s’innamora di una dark, e alla fine riescono a mettersi insieme nonostante l’opposizione delle rispettive compagnie. L’amore vince su tutto.

  14. il paninaro? ma non è er collega der bibitaro? nun so’ quei due che vanno a lo stadio o ar cinema a rompere le scatole a tutti pe’ vende panini e bibite? tutti tatuati cor petto villoso…

  15. Per non dimenticare: io che mi ripasso periodicamente la lista dei piduisti per ritrovarci il Cav., Maurizio Costanzo e Cicchitto così da non distrarmi, posso trascurare il fatto che in quelle nebbie di demenza presenile, tra quei fumi di hamburger strinato, brillava un faro a nome Jovanotti?

  16. I paninari sono stati uno dei principali prodotti dello stronzismo Craxiano, che ne parli male proprio il Facci è assurdo! L’ennesima occasione per tacere e fare miglior figura.

  17. > sara’ che io non un blog a cui fare pubblicita’, ma continuo a non riuscire ad arriva in fondo a un qualunque scritto di ff

    non capisco cosa c’entri il fatto di non avere “un blog a cui fare pubblicità” con il non riuscire a finire di leggere un post o un articolo o quello che è. boh.

  18. La All Star però era la scarpa cinese tipo, attenzione, e trasmigrò intorno all’ ’84 tra i punk più raffinati – diciamo i new-wavers – che si vergognavano dell’anfibio perché faceva troppo rocker.
    Detta calzatura si indossava sotto il jeans Rifle (lit. 35.000 in Cso Garibaldi, appena di più in Via Torino), la giacca blu marinaia coi bottoncioni dorati tipo blazer e il palestinese.
    Facci sarà anche stato dietro al Paninaro (di cui qualche numero ancora conservo), ma io, e scusate se me la tiro, andavo al Parini, e certi ricordi eccetera.

  19. > Ci siamo dimenticati di El Charro!

    no, il sor facci non se n’è dimenticato: “spaventose fibbie da rodeo texano”.

  20. ” furono un ritrovata e patetica spartizione”
    “l?eredita” ma non eri tu, F.F. quello che si scandalizzava per un qual è con l’apostrofo?

  21. L’articolo contiene errori e refusi – forse – perchè scritto assai velocemente e così spedito al Giornale che l’ha pubblicato dopo averlo ‘passato’ indi corretto.

  22. E gli emuli squattrinati non li mettiamo?
    C’era un giovane collega, in quel periodo, non era ricco, infatti lavorava con me in una lurida officina, ma amava i paninari.
    Essere paninaro era il suo sogno, e siccome non poteva permettersi le lampade, aveva il viso fondotintato, le lamberjack, cintura el tarro, jeans carrera arrotolati in fondo, e così via.
    Era uno spasso vedere il mio capo prenderlo per il culo.
    Ah che bei tempi…

  23. “Quali differenze rispetto ai figli dei fiori? Alcune milioni, ma non nella cervellotica da sottovuoto pneumatico – identica – (..)”

    sicuro sicuro?

  24. Pivelli. Io andavo al Gonzaga, scuola di preti e culla dei paninari, la quale era frequentata dal “Lucido” protagonista del fumetto su “Il Paninaro”. Poi venne fuori che “Lucido” era il vero cognome di un paninaro gonzaghino col padre importante, e dalle puntate successive (credo proprio dal numero 2 in poi) il soprannome sparì.
    Il rituale del marchio Timberland ripassato con la china e il rapidograf (non il pennarello, sacrileghi!) fu introdotto come “in” dal concorrente sfigato del giornale “Il Paninaro”, e per questo considerata subito pratica “da truzzi”.

  25. Gio’, centra centra. Chiedi al Facci, che oggi ha capito l’importanza della statistica per non farsi fregare dal primo venuto.

  26. > Gio’, centra centra. Chiedi al Facci

    ah, vabbè, se qui si fanno inner jokes a mia insaputa…
    (ma, comunque: *centra*???)

  27. Posso pubblicamente dichiarare di amare Filippo Facci quando scrive così?
    (Servita in piatto d’argento questa, Filì)

  28. Perche’ nun se dice centra? Nun c’e’ il verbo centrare? Oppure la prendi come un’apostrofo rosa tra le parole c ed entra? :-)

  29. Quando Filippo Facci pubblica un articolo, metà commentano Filippo Facci e metà l’articolo.

  30. 44 commenti in fila per sei col resto di dueeee facevano l’amore in fila per sei col resto di dueee …..sono il 45esimo ora però…. dove mi metto? siamo dispari!

  31. Marinamaris, tu uccidi anche il più demenziale dei commentari. Pronuncia meno cazzate e deciditi a darla a qualche blogger. Questo ci si attende da te.

  32. > Io non parlavo di me, parlavo di Filippo Facci.

    Ambè, qui siamo allo sdoppiamento di personalità, allora. Dottor Jeckyll e Mr Facci, insomma (o Dottor Facci e Mr Hyde, vai a sapere, boh.).
    Inizio a preoccuparmi.

  33. Sarà, come diceva quella ex tenutaria di bordello della quale mi sfugge il nome, che il ricordo ha sempre il culo più roseo ma io nei sozzi anni 80 ci stavo bene riuscivo a leggere il Paninaro e farci su una bella risata e ad essere preoccupato per gli iscritti al P2 (sì proprio loro i veri compagni di merende)IL PASSATO:
    La nostra generazione è figlia degli anni’70, gli anni di “piombo”, il terrorismo, le stragi di stato, la fine della guerra in Vietnam, la crisi petrolifera, i referendum sul divorzio e sull’aborto, l’avanzata delle sinistre e la discomusic. Cose brutte e cose belle ma comunque diciamo oggi, con il senno del poi, cose vive; la società che progrediva.
    IL PRESENTE : OTTOBRE 1984
    Dopo la sconfitta reale dei movimenti del 68 e 77,
    sì sconfitta perché non riesco a trovare altra definizione a quei protagonisti che alla fine si sono trovati un cantuccio caldo nel pubblico impiego e con me, pivello, si giustificavano dicendo che il sistema va cambiato dall’interno, non si era più padroni della propria lingua. Dopo le parole d’ordine e le mode (sì ssì mode anche lì c’era il vestito giusto, la canzone giusta etc..)dei movimenti era stato il vuoto. Occorreva
    qualcosa per colmare quello che ci separava da quelli che non ci capivano. Ne bene e nel male i paninari, i dark, i new wavers sono stati anche questo
    IL FUTURO:
    Il futuro di allora partiva dai paninari per i più giovani e poverelli agli yuppies per i più maturi ed imborghesiti.Poi venne la corruzione, la caduta di molti valori, di tanti uomini “importanti” di tanti re e regine ma noi siamo ancora qui liberi di ricordaci con nostalgia gli anni 80 e postare su UalBois di Trentamalboro e di continuare a a essere consapevoli di chi erano e chi sono, cosa facevano e cosa fanno i compagni di merende delle P2. Io, scusate, non mi sento sputtanato..
    Saluti

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  1. Wittgenstein

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