“Il paradiso è diventato un inferno”

Quella che state per leggere è un’intervista fatta ieri sera alle ore 18.00 a Francesco Calabrese, un ragazzo di 24 anni che lavora alle Maldive e che attualmente è lì in attesa di rientrare in Italia. Il 26 dicembre, Francesco ha vissuto in prima persona lo tsumani e nel testo che segue ha raccontato quei tragici momenti.
L’intervista nasce per un giornale pugliese, ma in accordo con il direttore, ho ritenuto interessante e importante, riportare la testimonianza anche qui, ad uso dei lettori di Macchianera.


Classe ‘80, tenace e coraggioso. E’ Francesco Calabrese, castellanese, figlio di Paolo Calabrese, da ottobre alle Maldive, dove lavora presso il villaggio turistico Vilu Reef, nell’atollo di Nilandhoo Sud, a centinaia di chilometri dalla capitale, Malé.
La mattina dello scorso 26 dicembre Francesco era nella sua stanza, ed erano quasi le 10 quando è iniziato l’inferno.
“Ho visto prima salire dell’acqua dal water poi mi sono accorto dell’ondata che stava travolgendo il villaggio. La mia stanza, al centro del villaggio, è al secondo piano e l’acqua non l’ha travolta, ma quando sono sceso ho scoperto che non si poteva camminare, l’acqua mi arrivava alla gola. E pensa, io sono alto 1,80 m. E’ successo tutto così velocemente. In meno di dieci secondi. Ho guardato dalla finestra ed ho visto pezzi del villaggio e persone trasportati dalla corrente. La prima cosa che ho sentito sono state le urla, fortissime, di tutti”.
Cosa hai fatto allora?
“Con i miei colleghi italiani (in tutto 4, n.d.r.) abbiamo messo le tute da sub e siamo scesi al primo piano per aiutare la gente che era in acqua. Si nuotava controcorrente nell’acqua alta e densa, ma volevamo raccogliere le persone che erano sparse in quel che restava del villaggio. C’era gente aggrappata agli alberi, e qualcuno che cercava di nuotare. Non avrebbe resistito molto. Quelli che sono riusciti a mettersi in salvo da soli li abbiamo accompagnati al secondo piano dell’edificio centrale del villaggio, il posto più sicuro in quel momento. Gli altri che erano ancora in acqua li abbiamo soccorsi con un pedalò ancora funzionante a cui avevamo attaccato delle corde, ma in quel momento…”
Francesco fa una pausa.
Cosa è successo?
“E’ arrivata una nuova ondata. Me la sono vista veramente brutta, e mi sono accorto della portata del disastro. Fino ad allora avevo solo pensato a salvare gli ospiti del villaggio senza pensare troppo a quello che stava succedendo. Ma poi ho visto l’ondata ed ho capito che c’era qualcosa di importante che succedeva in mare. Con quella ondata una ragazza giapponese è stata trascinata in mare aperto. Non so come, ma sono riuscito a raggiungerla e a portarla in salvo”.
Ci sono stati morti?
“Per fortuna no. Nel nostro villaggio non c’è stato nessun morto. Solo molti feriti, perché la forza dell’acqua nel trascinare via tutto ha fatto sbattere un sacco di gente contro oggetti, tipo computer, tavoli, sedie, o contro i muri e i vetri degli edifici. Nel villaggio di fronte al nostro però sono morte 6 persone”.
Messi in salvo tutti come vi siete comportati?
“Quando eravamo tutti al secondo piano, e qualcuno anche sul tetto, con il rischio di crollo della struttura, abbiamo atteso di capire cosa fosse successo. I maldiviani sembravano più spaventati di noi stranieri. Ho capito allora che non era un fenomeno normale delle zone, che doveva per forza esserci dell’altro. Quando l’acqua si è ritirata e le prime radio hanno iniziato a funzionare abbiamo scoperto la tragedia. Il maremoto. E soprattutto che la capitale e l’aeroporto erano bloccati. E’ iniziato allora il vero momento tragico. Perché i 2000 ospiti del villaggio sono entrati tutti in panico, con la consapevolezza di essere rimasti bloccati”.
Come li avete tranquillizzati?
“Assicurando loro che sarebbero tornati a casa presto. Siamo scesi al primo piano, sfondato le porte bloccate dall’acqua del ristorante e dell’infermeria e preso medicinali e cibo, o meglio, quello che restava del cibo, tipo scatole di biscotti galleggianti. Siamo anche riusciti a farli pranzare e cenare con calma quel primo giorno. In attesa che arrivassero i soccorsi”.
E sono arrivati?
“Pochi per ora. Siamo senza elettricità, senza acqua corrente, senza collegamenti. In un inferno. Il villaggio è completamente distrutto, dei primi piani e dei bungalow non è rimasta nulla, solo la struttura di cemento. L’elettricità c’è solo in alcuni momenti della giornata, la doccia possiamo farla solo la mattina, mangiamo riso in bianco e pezzettini di pollo, l’acqua potabile è pochissima, io non bevo da stamani…”
Qualcuno è già riuscito ad andar via?
“I primi turisti sono stati accompagnati da una delle ragazze del villaggio, tra l’altro italiana, con una nave verso la capitale. Nei prossimi giorni, si spera già domani, dovrebbe arrivare un’altra nave a prenderci, ma il mare oggi era troppo agitato. A noi italiani, soprattutto, è arrivata la comunicazione che il Ministero degli Esteri ci vuole tutti in patria. Anche perché la notizia che sta correndo più velocemente oggi è che tra un paio di settimane, al massimo tre, si diffonderanno le epidemie”.
Contento di tornare a casa?
“Sì, contento di poter rassicurare la mia famiglia, che ho comunque sentito per telefono, però se potessi resterei qui a dare un aiuto ai maldiviani. Non è giusto lasciarli soli, bisogna aiutarli a ricostruire. Nel villaggio già si parla di una ricostruzione entro fine febbraio”.
Qual è stato il momento peggiore?
“Quando la radio ha annunciato che il maremoto ha colpito un numero esteso di nazioni. Nello staff del villaggio c’è gente che ha perso la famiglia, che abitava in quei paesi completamente rasi al suolo. Ma tra le lacrime, però, hanno continuato a lavorare per tutti noi, che siamo sopravvissuti, e siamo stati davvero fortunati”.
E coraggiosi, aggiungiamo noi.
“E’ stato un grande uomo – afferma il padre di Francesco, Paolo Calabrese – Ha aiutato la gente e non si è fatto prendere dal panico. I primi due giorni è stato terribile, non riuscivo a sentirlo ed eravamo spaventati. Ma poi mi ha chiamato e ora lo aspetto”.

(Visited 114 times, 1 visits today)

9 Commenti

  1. Sono una sub. Presi il brevetto a Palm Beach (isola ora diventata proibitiva per i costi) nel 2001. Allora aveva appena aperto ed i prezzi erano, diciamo, “promozionali”.
    Ricordo che rimasi colpita dal tanto corallo distrutto che vedemmo in immersione e ci fu detto che era ridotto così a causa del Nino, passato di lì nel 96, mi sembra.
    Si scorgevano appena dei corallini azzurri, incantevoli.
    Ci sono poi tornata tutti gli inverni, (sacrificando la vacanza estiva), perchè lì si ha l’impressione di essere in paradiso sia che si rimanga sull’isola, sia che ci si immerga, tra colori fantastici ed unici.
    Si ha l’impressione che nulla possa disturbare quella pace, quel silenzio, quello scorrere lento e naturale della vita, scandita dai ritmi della natura.
    Avevo già in programma di tornarci a marzo, ma oggi, incollata al PC per seguire l’evoluzione della tragedia, mi sento uno schifo: io serena e paciosa che andrei lì a spassarmela mentre la gente non ha più di che vivere, tutte quelle persone morte, tutti i dispersi…
    Mi viene ad intermittenza voglia di andare sì, ma come volontaria, per aiutare: poi penso che l’attualità che mi fa venire questo istinto. E forse, a febbraio, scemato l’effetto cronaca in diretta, prenoterò pure. Mi giudicherete un mostro, lo so. Ma appartengo solo al genere umano.

  2. Non poteva mancare il quarto d’ora di celebrità per il Calabrese di turno. Ci mancava pure questo pezzo di “ottimo”(e sedicente) giornalismo, da aggiungere ai tanti bei prodotti giornalistici dell’italia_che_scrive.

  3. Cara Laura, tu non sei una sub: se un’Open water di primo livello. Palm beach non è tra le isole più costose delle Maldive. Il
    Nino che ha consunto e bruciato il corallo, pur avendo agito a più riprese, è del ’98. Non ci sei tornata tutti gli inverni. Non è vero che hai sacrificato le vacanze estive. In ogni caso risparmia i sensi di colpa: tienteli per i convegni che organizzi, laddove al banchetto dell’assassinato seggono talvolta gli assassini.

  4. si dice che prenotare vacanze la’ sia utile per riportare soldi nelle casse degli stati colpiti. Che io sappia ci sono solamente stazioni turistiche straniere, per cui i soldi rimarrebbero nelle colonie turistiche per poi andare alla casa madre, oppure si tratta di tasse e spese fatte in loco che aiuterebbero? Insomma, e’ un messaggio di cartello dei tour operator o puo’ avere fondamenti, sempre scegliendo bene come e dove spendere?

  5. F.F. brutta giornata? Ti immaginavo in vancanza oltreoceano, magari in Thailandia, no?
    Non ho voglia di risponderi punto per punto perchè è tutto vero.
    Risponderò solo all’ultima: al “banchetto dell’assassinato” non si deve sedere nessuno, poichè non c’è nessun banchetto.
    Coloro che invece con esso hanno avuto a che fare, nel bene o nel male, debbono confrontarcisi. E bisogna che parlino. E che raccontino. E che si espongano, altrimenti la verità non verrà mai a galla.
    Preciso che questa è una mio personalissima opinione. Dei contenuti e degli invitati, io non mi occupo mai. Io mi occupo di altro.
    Ma tu non sai niente, perchè non te ne è mai fregato niente.

  6. E’ pieno di gente che vorrebbe andare laggiù a dare una mano, ma l’unico modo corretto di dare una mano in questo momento, è quella di invare soldi ad una qualche associazione umanitaria impegnata sul posto.

    Lo so, inviare soldi non smorza lo Tsunami delle nostre emozioni ma se il desiderio di essere utili è concreto e non frutto di un onda anomala, è l’unica cosa saggia da farsi.

  7. si, quello e’ovvio e ovviamente gia’ fatto. Parlavo di un discorso che probabilmente sta mettendo idee strane nella testa della gente attraverso i media.

I commenti sono bloccati.