Fumo negli occhi /4

Filippo FacciQuella specie di odontotecnico wagneriano bello e intelligente e drogato che poi sarebbe Filippo Facci (il quale non sono io che scrivo, ovviamente, c’è un limite a tutto) ci ha sgocciolato per giorni questo suo torrone titolato “Fumo negli occhi. Le crociate contro il tabacco e altri piaceri della vita“, Biblioteca di via Senato Edizioni, ben 14 euro, da comprare sennò vi reincarnerete in quello che diceva “Mai provato Hurrà?” nella pubblicità dei wafer Saiwa. Ma Facci scherzava. Erano solo i preliminari, erano dei lubrificanti. E ora, ora che siete pronti, lui prende questo suo capitolone, lo divide in due, e lo infila nel cumulo delle vostre eventuali deficienze in materia. Questa è la prima parte.
Sarà finita? Chissà.
Per intanto, riassunto:
Cap. 1Vietato Puzzare
Cap. 3Vietato Fumare (parte I)
Cap. 4Vietato
Append.Ottoemezzo sul fumo (puntata trascritta)
Cap. 2Vietato Mangiare
Cap. 3Vietato Fumare (parte II)
Cap. 5Requisitoria

VIETATO FUMARE (prima parte)

In effetti è assurdo strillare al proibizionismo sinchè ci sono le tabaccherie. Fumare non è proibito.
Per molti, da quando il tabacco fu scoperto e provato, si stava peggio quando si stava peggio. Lo scopritore della Virginia, Walter Raleigh, venne decapitato a Londra per avere portato un carico di tabacco e pipe. Nel Seicento per i fumatori russi c’erano frustate sulla schiena, a quelli indiani si tagliavano le labbra, a quelli cinesi la testa, agli iraniani – sempre all’avanguardia – si tagliavano naso e orecchie o gli si versava piombo fuso in gola. Nel 1642 il Papa scomunicò tutti i fumatori. La sigaretta fu inventata e fabbricata in serie solo verso la fine dell’Ottocento, ma immediatamente quindici stati americani misero il tabacco fuorilegge. Di che ci lamentiamo?
Qualche esempio già compare nel capitolo precedente, ma non sono certo finiti. Nel maggio 2001 la California ha varato un programma antifumo che prevedeva annunci radiofonici su tutte le stazioni di Stato, trasmessi ogni mezz’ora: s’invitava la gente a rimproverare qualsiasi fumatore si avesse incontrato. Due mesi dopo, a Ottawa, in Canada, il fumo veniva proibito ufficialmente ovunque fuorchè in strada e in casa propria, inaugurando un trend non solo occidentale: in Nigeria nel marzo 2002 hanno varato una legge che prevede cinque anni di carcere duro per chiunque fumi in pubblico. Cinque. Tre mesi dopo il partito democratico giapponese proponeva un mese di carcere per chiunque fumasse in strada. La fobia prendeva forma. Del resto è dal 1998 che prosegue il concorso internazionale Smetti e vinci inventato dal governo finlandese con l’appoggio dell’Organizzazione mondiale della sanità: primo premio diecimila dollari. Ma niente di male, in fondo. Anzi.
Poi, però. uno sceriffo impose come regola per gli aspiranti poliziotti americani non solo che non fumassero, e non solo che avessero smesso: che avessero smesso da almeno un anno. La cosiddetta tolleranza zero per i fumatori del resto è dell’agosto 2002: il sindaco di New York Michael Bloomberg, noto per intolleranze forse più benemerite, vietò completamente il fumo in tredicimila ristoranti della città e inaugurò delle squadre che potevano irrompere senza mandato in qualsiasi locale sinchè non avessero trovi il corpo del reato: per esempio un portacenere, anche se pulito e imboscato in qualche cassetto. La cosa ovviamente suscitò reazioni e disobbedienze anche clamorose e una successiva inchiesta della Nightlife Association dimostrò che il proibizionismo stava causato danni per miliardi di dollari alla vita notturna, tanto che Bloomberg dovette promuovere delle esenzioni per i locali che potevano dimostrare d’aver perso più del 15 per cento dei profitti.


Un caso isolato? Basti che il governo norvegese frattanto proponeva di estendere il divieto a tutto il territorio nazionale, e che in tutto l’Occidente fioccarono i primi telefoni verdi antifumo. Se non era fobia, doveva assomigliarle: nel settembre successivo, in una scuola dell’Ontario, un’insegnante costrinse un tredicenne a mangiare la sigaretta che stava fumando. A New Smyrna Beach, in Florida, un altro tredicenne veniva ucciso a bastonate da un compagno convinto che avesse regalato sigarette al fratellino. A Picayune, in Luisiana, una fumatrice incinta – perciò ritenuta due volte assassina – fu dapprima insultata e poi le spararono al termine di un litigio. Episodi pretestuosi, forse. Come quello del 38enne australiano che nel gennaio 2003 disse alla moglie che non sopportava più il suo fumo (passivo) sicchè la strangolò per poi seppellirla nel giardino di casa sua, sotto una gittata di cemento che poi trasformò in un patio: vi installò sopra un barbecue e invitò gli amici a mangiare bistecche. Notare che secondo svariate ricerche il fumo dei barbecue è assai più dannoso di quello da sigaretta. Sul patio di casa propria, un mese dopo, a Palm Springs, c’era anche un tizio che voleva fumarsi un sigaro prima di andare a dormire come faceva ogni sera: ma il vicino prese a protestare perché il fumo passivo lo stava uccidendo, disse; il fumatore si avviò verso la porta di casa per andare a fumare dentro, e fu qui che il vicino lo assalì quasi ammazzamdolo di botte. La cosa finì in tribunale: fu sporta denuncia per avvelenamento da fumo passivo. Finì in tribunale anche un’altra storiella: nella New York della tolleranza zero, nell’aprile 1993, un buttafuori di un bar chiese a due tizi di spegnere le sigarette in ossequio alle norme volute da Mike Bloomberg; i due però rifiutarono e insomma fu rissa, sinchè il buttafuori si accasciò in una pozza di sangue. Morto.
In alcuni condomini di Manhattan è già proibito fumare dentro casa propria, altrimenti scatta l’obbligo di vendere l’appartamento. Anche in Svizzera l’inquilino può chiedere la riduzione dell’affitto se nei dintorni ci sono dei fumatori. A Victoria, in Australia, mandare i fumatori in strada non è bastato: le autorità sanitarie hanno valutato se confinarli in appositi locali denominati safe ingesting rooms, camere sicure per ingestione.
Un vago sospetto che la fobia stesse tramutandosi in crudeltà si affacciò nel gennaio 2003, quando in California fu votata una norma per vietare il tabacco dalle carceri: dunque, ufficialmente, per contribuire a tagliare la spesa sanitaria e per migliorare la salute dei detenuti. Non occorre improvvisarsi sociologi per comprendere o sapere che il fumo è abitudine più diffusa tra i socio-economicamente svantaggiati (insomma i poveri) e che spesso, e non a caso, viviene un pilastro esistenziale nelle abitudini di chi non può averne più di tante. Tuttavia non basta essere dei non fumatori: forse occorre anche essere profondamente ottusi per non riuscire a immaginare minimamente quanto una sigaretta, per un fumatore abituale, sia una fonte di autocontrollo e comunque una preziosa e intima sensazione che un non fumatore non potrà mai capire. In Italia, per fortuna, una norma analoga è stata fermata dall’approvazione di un emendamento di Rifondazione Comunista. Il fanatismo cattivo allo stato puro, in compenso, è stato raggiunto negli Usa quando a un condannato a morte è stata rifiutata la tradizionale ultima sigaretta: ritenendo, forse, che potesse accorciargli la vita. Tutto a questo, in sostanza, a fronte di un’escalation mondiale della legislazione anti-fumo semplicemente impressionante.
E in Italia? In Italia abbiamo il ministro della Sanità Girolamo Sirchia. Appena insediato, propose la chiusura dei distributori automatici di sigarette perché disse che erano una tentazione per i minori: tuttavia dovette fronteggiare la rivolta dei tantissimi tabaccai che in ossequio a un’altra e recente legge – i distributori le macchinette erano appena tornati legali – avevano investito denaro in un’attività lecita. Sirchia ha ottenuto una vittoria parziale: le macchinette ora funzionano solo dopo una certa ora della sera.
Un’altra trovata di Sirchia, poi abbandonata perché oggettivamente ridicola, fu la proposta di mettere delle scritte dissuasive sotto le vecchie scene dei film in cui sono inquadrati fumatori: dal solito Humprey Bogart a James Bond con le sue Morland Special, ma nondimeno Marcello Mastroianni con le sue Nazionali esportazione.
Il capolavoro di Girolamo Sirchia comunque resta la normativa antifumo approvata al Senato il 21 dicembre 2002. In soldoni la legge prevede il divieto di fumare nei locali aperti al pubblico (se chiusi) con la possibilità di creare delle salette per fumatori che però siano di dimensione inferiore; la legge, inoltre, prevede delle multe sino a 2000 euro che sono raddoppiate se nei paraggi ci sono donne incinte o bambini; la legge prevede, infine, l’istituzione dello “sceriffo” antifumo un po’ come negli Usa. In una seconda fase si è aggiunto il divieto totale di fumo sui treni nazionali (sui regionali era già vietato) e l’eliminazione di zone fumatori negli aeroporti.
Dov’è il problema? Ovunque. Se la legge fosse correttamente applicata – ma non sarà correttamente applicata, come capita con tutte le leggi eccessive e improbabili, in Italia soprattutto – vediamo che la maggioranza dei ristoranti e dei locali in teoria chiuderà la porta ai fumatori: solo una minoranza degli esercizi ha spazi fisicamente separabili al suo interno. Il proprietario di un esercizio, fosse pure fumatore, dovrebbe ritrovarsi quindi costretto a una scelta forzata che non corrisponde alle proporzioni del mercato, giacchè i fumatori sono molti ma pur sempre in minoranza.
Come vedremo più avanti, in ogni caso, uno studio piuttosto noto ha calcolato che una persona che vada al ristorante tutti i giorni, e sieda per un’ora e mezzo nella sezione fumatori, si espone a una quantità di fumo che corrisponde allo 0,146 di una sigaretta nell’arco dell’intero anno. Ma, a parte questo, a rimanere oscura è la ragione per cui debbano essere definiti pubblici dei luoghi che non sono pubblici per niente, ma nei quali il proprietario non è libero di fare ciò che ritenga. Nei cinema è comprensibile per motivi di sicurezza: ora, però, alla fine del primo tempo, non puoi neppure più fumare in un angolo dell’atrio. Ti mandano in strada.
E’ plausibile che non si fumi in uffici e amministrazioni e scuole e soprattutto ospedali: essendo spazi pubblici, vince la maggioranza e il buon senso. Ma i medici che fumano negli ospedali andrebbero anzitutto multati e nel caso, in privato, presi a calci: non radiati dall’albo e licenziati come proposto dal direttore dell’Istituto Negri Silvio Garattini. Il buon senso dovrebbe valere anche per trasporti pubblici a breve percorrenza: vietare le carrozze fumatori sui treni tuttavia appalesa non solo un accanimento di principio – i fumatori, per ore e ore, non devono fumare neppure tra di loro – ma inquadra tutto il velleitarismo etico di questa legge: certe campagne neosalutistiche seguiteranno a trionfare nei paesi protestanti ma sono destinate a fallire qui nel suk latino, laddove si troverà sempre una mediazione affinchè si possa seguitare a peccare senza infastidire troppo, se possibile. E dopo un periodo di breve isteria – gente che non entrava nei ristoranti o che scendeva alle stazioni per fumare – tutti difatti si sono arrangiati in qualche modo. Nei ristoranti la zona fumatori è spesso separata da un bel niente. Sui treni o si fuma lo stesso – soprattutto al Sud – o ci si chiude al cesso col capotreno che fa spallucce.
Poi c’è la faccenda delle scritte terrorizzanti, sulle quali è già stata fatta abbastanza ironia. Il ricco assortimento di ventilate sciagure (impotenza, cancro, infarto, bambini deformi) è solo la versione italiana: in Canada scrivono “Non avvelenarci” e “Il fumo provoca malattie alla bocca”. Anche in Francia non scherzano, per quanto il record l’abbiano battuto in televisione: la rete Tfl nel luglio 2002 ha mandato in onda uno spot con un uomo in agonia per tumore ai polmoni (non un attore: un uomo davvero in agonia) filmato dalla moglie prima che morisse.
In Italia è andata cone doveva, ossia col fiorire di un businnes delle copertine copri-pacchetto: da San Gennaro a Marx, dalle scritte “Basta aprire la finestra” al demenziale “Attenti al cane”. Ma non interessa questo: interessa che a un paio d’anni dall’introduzione di queste scritte il bilancio è controproducente. Uno studio della Comunità Europea, reso noto nel febbraio 2004, ha evidenziato che intanto i fumatori sono aumentati. In Italia i fumatori restano 14 milioni (dati Istat) e sono 230 milioni nel resto d’Europa e 1 miliardo e 300 milioni in tutto il mondo. Non solo: il 72 per cento degli europei appare consapevole dei danni provocati dal fumo ma sceglie ugualmente di fumare, dunque ecco la classifica dei Paesi in cui si fuma di più: 1) Regno Unito con il 45 per cento della popolazione; 2) Francia con il 44; 3) Danimarca con il 43; Grecia col 42; Italia col 35 per cento.
Non solo: esattamente come negli Usa, aumentano i giovani fumatori anche in Italia (23) e dunque in Europa. I tassi più alti si registrano nella fascia d’età 15-24 anni. Dal 2001, in Europa, le donne fumatrici hanno superato gli uomini. Non soddisfatta, la Commissione europea ha fatto sapere che al posto delle scritte antifumo forse sarebbero più efficaci le cosiddette immagini-choc: tumori, bambini morti, polmoni incatramati. Ma la decisione di inserire le immagini luttuose è stata lasciata ai singoli Stati.
Che altro è cambiato, allora? E’ cambiato che le sigarette erano un pretesto per socializzare e ora lo sono diventate per litigare. Quando non sono la dinamite, sono la miccia. Nel Belpaese pur notoriamente tollerante, e insofferente alle restrizioni, fece impressione la vicenda dei tre italiani che nella primavera 2004 dissero a un ucraino di spegnere la sigaretta – erano nella sala d’aspetto della stazione di Bologna – col risultato che l’uomo prima uscì a fumarsela ma poi tornò indietro e li accoltellò tutti e tre.
L’Italia attende al varco una reale applicazione della legge anti-fumo, ma così pure attende tutta Europa: e piacerebbe sapere, per esempio, che cosa rischia di succedere in Irlanda laddove il governo ha vietato il fumo nei pub. E’ come se vietassero la grappa nelle osterie venete, la polenta taragna in Valtellina, il caffè nei ministeri: con la complicazione di dover fronteggiare un branco di irlandesi imbufaliti – come magari hanno già tracannato alcune pinte di birra scura- ai quali spiegare, cortesemente, che il fumo uccide: c’è il rischio che ve lo dimostrino.
Il mondo anglosassone – dove le sigarette costano anche 17 euro a pacchetto contro i 2 della Spagna – rimane il miglior specchio di un possibile futuro. In Inghilterra non mancano medici che rifiutano di curare pazienti fumatori: ad alcuni di essi sono stati rifiutati degli interventi chirurgici e almeno uno è morto per questo. Sul Daily Telegraph si è letta l’intervista a un tizio che si era rotto il pollice: “Sono andato in ospedale e la prima cosa che mi è stata chiesta è quanto avevo bevuto e se ero un fumatore”. Non mancano testimonianze secondo le quali il rifiuto di un’operazione a un fumatore è stato usato come ricatto per farlo smettere: questo nonostante sia provato che in molti casi i fumatori hanno un miglior decorso operatorio.
Fumatori che tuttavia – è il precetto fondante – muoiono come mosche. Quanti? Dovrebbero mettersi d’accordo. In Italia, sino al 1999, si diceva genericamente che ogni anno ne morissero 70mila. La maggioranza dei giornali, dal 2000 in poi, ha continuato a dire che fossero 90mila. Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, nel tardo 2002, erano 81mila mentre 90mila – spiegavano – era stato il numero di morti sino al 1990: di lì in poi c’era stato un calo di quasi dieci punti percentuali. Bene. Poi il ministro della Sanità Girolamo Sirchia, il primo giugno 2003, durante la presentazione del Rapporto annuale sul fumo all’Istituto Superiore di Sanità, disse che in Italia i morti erano 53 mila. Benissimo. Ventisei giorni dopo, Sul Corriere della Sera, Sirchia però tornò a dire che in Italia il tabagismo fa 90mila morti l’anno.
E nel mondo? L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2002, disse ufficialmente che i morti da tabagismo erano quattro milioni e novecentomila l’anno, e che peraltro stavano aumentando. L’anno dopo però la stessa Organizzazione disse che i morti erano diventati quattro milioni e che ad aumentare erano stati i fumatori. Alcune fonti riportano che l’Oms per il 2004 ha parlato di tre milioni. Non fosse chiaro, qui ballano cifre con scarti di 40mila morti (in Italia) e di un paio di milioni nel mondo. Andrebbe inoltre spiegato, prendendo per buoni i dati dell’Istituto superiore della sanità, per qual ragione il numero dei morti sarebbe diminuito ma il numero dei fumatori, frattanto, no.
Stesso discorso per gli Stati Uniti: la maggioranza dei dati converge su 390mila morti nel 1995, 400mila nel 1998, 420mila del 2000 e 440mila del 2002. Non è chiaro, anche qui, per quale ragione i morti sarebbero aumentati mentre il numero dei fumatori era ufficialmente in drastico calo. Volessimo incaponirci, dovremmo anche comprendere – sono tutte statistiche note – perché gli indiani americani fumano più dei bianchi ma hanno a metà dei tumori, perché le donne cinesi hanno la più alta incidenza mondiale di tumori benchè fumi solo il 2 per cento di esse, perché i giapponesi sono i secondi maggiori fumatori del mondo ma la minor percentuale di tumori del mondo e l’aspettativa di vita più lunga: aggiungendo che gli asiatici che vivono negli Stati Uniti, tutti forti fumatori con punte che giungono al 90 per cento, hanno un’aspettativa di vita di sette anni maggiore di quella degli americani bianchi.
Ma non vogliamo dimostrare niente, nel dire questo. Il punto è se altri, viceversa, coi loro studi allarmistici, siano effettivamente in grado di dimostrare qualcosa: ma rimandiamo la questione di qualche pagina.
Preferiamo soffermarci su una domanda che ciascuno si è posto almeno una volta nella vita: perché non lo mettono fuori legge, se fa così male? Perché non lo proibiscono? Domanda non peregrina. La tentazione tirare in ballo i soliti interessi economici è stucchevole, sì, ma ha un fondamento: oltre agli interessi delle multinazionali del tabacco – viste come una sorta di Spectre – andrebbe ricordato che il Monopolio dei tabacchi italiani si avvia al tramonto, ma al contrario della sua produzione: la Comunità europea investe milioni di euro in campagne anti-tabaccoma così pure elargisce all’Italia (in particolare a Veneto e Umbria e Campania) altissimi sovvenzionamenti per una coltivazione che è classificata come attività di particolare interesse. Il nostro Paese ne è il primo produttore europeo.
Ma le ragioni economiche, come detto, non reggono anche perché sono economiche le ragioni per cui il tabacco viene combattuto: è il discorso, già fatto, della lotta a tutti gli stili di vita rimuovibili che possono gravare sulla spesa sanitaria. Va detto, considerati gli attuali concetti di salubrità, che se le sigarette fossero inventate domattina non sarebbero assolutamente messe in circolazioneperchè non otterrebbero i vari placet: questo al pari della stragrande maggioranza delle bevande alcoliche e probabilmente di alcuni cibi. Su questo non vi è il minimo dubbio.
Piuttosto che alla proibizione è più probabile che per il tabacco si giunga a un vero e proprio vaccino. Le sperimentazioni sono piuttosto avanzate e dovrebbero riguardare in primis la cocaina e poi appunto il tabacco: una volta iniettato, il vaccino dovrebbe avvisare il sistema immunitario che nel sangue vi sono molecole incriminate e quindi stimolare la produzione di particolari anticorpi. Ciò che appare spaventoso, col dovuto permesso, non è tanto che il principio sia stato associato anche a possibili vaccini contro alcune cosiddette droghe alimentari: il caffè o il cioccolato o i formaggi, come vedremo più avanti; inquietante è che si parli espressamente di iniettare questi vaccini dalla nascita.
Non si pensi, in ogni caso, che la proposta di vietare completamente il tabacco non sia stata comunque avanzata: l’ha fatta propria l’autorevole rivista medica Lancet nel dicembre 2003. Questa la visione dall’alto. Tornando in basso, al fanatismo, vediamo che nella cittadina di Wintroph, vicino a Boston, l’amministrazione comunale ha votato una delibera per vietare il consumo e la vendita di sigarette su tutto il territorio cittadino. Si è già detto della Nigeria e dei suoi cinque anni di carcere per i fumatori stradali. Aggiungiamo un altro paese d’avanguardia: il Buthan, che dal gennaio 2003 aspira a diventare il primo paese del mondo dove fumare sia vietato a chiunque e dovunque.
Vien da chiedersi se la Nigeria e il Buthan non abbiano altri problemi, ma neppure questo è un buon argomentare. Sarebbe facile cadere nella tentazione del facile comparazionismo, nel vizio retorico di far intendere che i problemi da affrontare siano altri: classico espediente discorsivo di chi non ha mai mosso un dito in nessuno dei casi. E’ facile dire che ci sono cause di morte ben più gravi delle sigarette, e che prima dovremmo occuparci di quelle. Non si tratta infatti di fare questo discorso: si tratta di restituire un senso delle proporzioni a tutto ciò che è causa di morte perché inevitabilmente fa parte della vita.
E allora procediamo. Con un esempio. Il Sunday Times, l’8 giugno 1997, scrisse che il governo Britannico aveva approvato un rapporto secondo il quale una percentuale dal trenta al settanta per cento di tutti i tumori (l’intervallo di rischio è po’ vago, ma le statistiche sono così) era attribuibile al tipo di alimentazione, e più in generale che l’alimentazione aveva una causalità di morte dieci volte maggiore del fumo. Questo mentre, nello stesso periodo, il 90 per cento dei tumori al polmone era comunque attribuito al fumo. Questo mentre, nello stesso periodo, una ricerca dell’Environmental Protection Agency spiegava che il gas radon era responsabile del 30 per cento delle morti per tumore ai polmoni. Questo mentre, nello stesso periodo, un altro studio attribuiva alla professione del deceduto il 40 per cento delle morti per tumore ai polmoni. Questo mentre altre percentuali, ricavate da altri studi, legavano i morti per tumore ai polmoni nondimeno a cause tra le più varie e disparate: i motori diesel, il caffè, gli uccellini da voliera. Ora: sommando il 30-70 per cento del primo studio al 90 per cento del secondo al 40 per cento del terzo, più le percentuali delle altre cazzate tipo il caffè e gli uccellini, se ne evince che in Inghilterra la gente muore almeno due volte.
Facciamo gli spiritosi? Non tanto. Forse a farlo sono i giornalisti. Questo ha scritto nel febbraio 1998 il redattore responsabile della pagina della medicina del Daily Telegraph: “La percentuale dei tumori non diminuisce di quanto dovrebbe, le persone continuano a fumare e i giovani fumatori rimpiazzano quelli che muoiono”. Quattro giorni dopo scriveva il suo corrispettivo del Times: “Negli ultimi 30 anni l’incidenza di cancro ai polmoni è diminuita annualmente del 2-3 per cento, più di quanto ci si potesse aspettare dalla diminuzione del numero di persone che fumano”.
E noi che dovremmo capire? Niente, se non che è il caso di riavvicinarsi al senso delle proporzioni. Col giochetto delle comparazioni potremmo ricordare che una giornata nel centro di una metropoli corrisponde all’aspirazione di tredici sigarette, che una morte su un milione può essere ricondotta al consumo di carne, una su 500mila a incidenti ferroviari, una su 250mila al soffocamento da cibo, una su 26mila a incidenti domestici, una su ottomila a incidenti stradali. Oppure potremmo mettere a paragone l’incidenza dell’abbronzatura sui melanomi rispetto a qualsivoglia rischio da tabacco, o meglio: potremmo citare uno dei più famosi e controversi studi sul fumo e ricordare che le possibilità di un non-fumatore di contrarre un tumore polmonare dal consorte, dopo un’intera vita di esposizione in sua conpagnia, sono una su 16.393. In confronto, secondo un altro studio sui rischi della vita moderna, vediamo che le probabilità di farsi male sotto la doccia sono una su millecinquecento, e le probabilità di essere seriamente danneggiati da cuscini e materassi sono una su seicentocinquanta.
Una vita d’inferno? Mettiamo le scritte sul cuscino? E’ poca roba, in confronto all’annichilimento che dovremmo far nostro se volessimo considerare la spaventosa caterva di studi-spazzatura che i giornali regolarmente amplificano secondo metriche che andremo a spiegare tra breve.
Per intanto qualche altro esempio:

  • Per i possessori di uccellini da compagnia, la possibilità di contrarre tumori polmonari è sette volte maggiore.
  • Le pillole anticoncezionali aumentano il rischio di tumore alla cervice del seno.
  • I profilattici possono provocare tumori alle ovaie o al seno.
  • La fertilizzazione in vitro o le terapie di sostituzione ormonale possono provocare tumori alle ovaie o al seno.
  • Gli uomini con madri che abbiano utilizzato ormoni sono portati a sviluppare il tumore alla prostata.
  • I raggi x possono provocare tumori.
  • Il fluoro dell’acqua può provocare tumori.
  • Vivere vicino a campi elettromagnetici può provocare tumori.
  • Il forno elettrico, il forno a microonde, persino l’aspirapolvere: possono provocare tumori.
  • Tra i farmaci e gli interventi che possono provocare tumori: quelli per abbassare il colestereolo, per aumentare la fertilità, i diuretici, quelli per abbassare la pressione sanguigna, le operazioni chirurgiche al seno, le vasectomie, i trapianti, la vitamina k per i neonati.

Mancano le percentuali di rischio, ma adesso ci arriviamo.
Intanto, per le malattie al cuore, oltre al fumo, sono stati identificati circa trecento 300 fattori di rischio. Tra questi:

  • essere uomo
  • essere vedovo
  • essere italiano
  • essere mormone
  • bere molto
  • bere poco
  • bere molto latte
  • bere poco latte
  • essere astemi
  • essere povero
  • essere ricco
  • russare
  • non mangiare carne di sgombro
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16 Commenti

  1. Caro Facci, sei bravo a rigirarti le frittate.
    Pensi davvero di avere gli strumenti (ripeto NON INTELLETTIVI, ma semplicemente di conoscenze tecniche) per parlare di Medicina e confrontarti sull’argomento con un professionista X ?
    Se la risposta è sì allora ripeto : iniziamo dalle basi : dalla fisiopatologia respiratoria. Mostraci quanto hai realmente imparato per poter affrontare discorsi critici sugli studi scientifici con cognizione di causa.
    Tommaso : il fatto che si parli di Medicina, non può che farmi felice. Dunque sono grato anche al Mirabella, che tra le altre cose ha anche un gradevole far cortese. Ma i messaggi sono importanti, perché poi le persone vengono in ambulatorio con recidive tumorali (ecc.) perché hanno letto che non fa poi così male, che tanto lo smog fa altrettanto,ecc. ecc.
    Altro discorso che si tralascia : il fumo è causa di molte malattie, persino banali se vogliamo : esempi classici sono le riniti in cui il fumo agisce come agente irritante (ad esempio : bruciore agli occhi, un classico); un altro è il caso di soggetti asmatici che si ritrovano a contatto con cappe di fumo che possono agire come fattori scatenanti la crisi.
    Tralascio il discorso accidenti cardiovascolari,ecc.
    Non sta né in cielo né in terra dire che il fumo passivo fa più male di quello attivo o viceversa. Una cosa fa male e basta. Ancor più grave se la si subisce passivamente, come parte lesa. Sorrido quando i fumatori danno degli egoisti ai non fumatori.

  2. No problems un cazzo.
    Alla Feltrinelli di Napoli se gli chiedi del tuo libercolo cadono dalle nuvole (idem altre 2 librerie che il sottoscritto ha girato).
    Ovviamente sul sito LaFeltrinelli risulti in catalogo ( è gente che sa fare bene il proprio mestiere..).

    (se penso che forse sto finanziando dell’utri mi vien da star male)

  3. Secondo me è un buon libro da water, pieno di cosine curiose e indicative di cosa fa il fondamentalismo perfino in una cosa così banale come le paglie. Se poi qualcuno ha bisogno di leggere un libro per sapere che il fumo fa male e che non bisogna esagerare in nessuna direzione, be, gli posso prestare mia nonna che almeno ha il dono della sintesi.

  4. Non so, immagino che chiunque si cimenti nello scrivere un libercolo a sfondo “scientifico”, faccia ricerche e si documenti. Se parliamo poi, di un argomento così “fumoso”, che molti preferirebbero aspirare via, senza dibattere per il gusto di proibire, sono convinta che f.f.(“odontotecnico wagneriano bello e intelligente e dograto” e di gran gusto, aggiungo io) si sia documentato per anni in merito a ciò,e che quindi gli studi riporati non siano “fuffa”.
    Ma scusate, fatemi capire, bisogna essere laureati in medicina per poter scrivere un libro sui presunti effetti del fumo,e sul perchè ci vogliono proibire altri piaceri?
    Sono pronta a scommettere che molti medici, non sarebbero così ferrati sull’argomento, come lo è f.f.
    E detto ciò, preciso che non sono una fumatrice ma semplicemente, detesto i proibizionismi senza senso.

    (mentre sto scrivendo sto sgranocchiando un crostino spalmato di formaggio francese…Alla faccia del colesterolo!)

  5. Informo che: 1) errata corrige, Silvestro non è un cretino. Ho sbagliato nome, l’ho confuso – deve scusarmi sentitamente – con quel talento di Federico, veramente uno dei più spettacolari pirla che abbia mai incontrato in tutti i blog che mi sia capitato di vedere. Di rosiconi frustrati ne ho visti tanti, ma uno che prosegua così imperterrito nonostante le craniate che sta tirando , davvero: mai. E’ lì col suo diplomino a menarcela da tre giorni con la fisiopatologia respiratoria. Fosse laureato in Legge direbbe che Montanelli e Giorgio Bocca (figurarsi io) non possono scrivere di storia, fosse diplomato all’accademia militare direbbe che non dovrenmmo parlare di guerra e di armi, fosse un biologo ci vieterebbe di discutere di ogm, fosse un cuoco di frittate, fosse furbo starebbe zitto; 2) Per Bet: hai ragione, ero a un programma assolutamente deficiente. Dovevo essere ospite fisso a tutte le puntate (pagato) ma sono andato via dopo il primo giorno. Il che non significa nulla: sono stato anche da Vespa, ma non mi sento migliore per questo. Magari un giorno ci ritorno. Credete che questo sito sia per forza un luogo eticamente migliore di Cronache marziane? L’importante, nella vita, è non andare mai – come non andai nonostante gli inviti – da Costanzo. 3) Filippo Nardi lo conosco bene: quando uscì dalla Casa per via delle sigarette (ricordate?) fui l’unico a difenderlo e scelse di farsi intervistare solo da me. Non un gran privilegio, ma mi andava a genio. Poi collaborammo per qualche tempo: lui aveva una rubrica su Max che in realtà scrivevo io; 4) Sul fumo passivo – balla assoluta e comprovata – abbiate un po’ di pazienza come per altre cose. Ciao. Ah, dimenticavo: donne, basta coi complimenti per le fotine: se volete fumare e mangiare e fornicare con me, scrivetemi. Poi vi parlerò di fisiopatologia respiratoria, così vi dissolverete come una nuvola di fumo. Cazzo me ne frega dei libri. Forse li scrivo solo per beccare. Probabilmente Federico, per fare altrettanto, dovrebbe scrivere l’Enciclopedia Britannica.

  6. I fondamentalisti non li sopporto, nemmeno i fondamentalsiti della salute. E poi non mi risulta che siano mai state fatte o rese pubbliche statistiche circa la minore o maggiore longevità dei fumatori rispetto ai non fumatori. E se si scoprisse che i fumatori muoiono si di determinate patologie connesse al fumo ma in età più avanzata rispetto ai non fumatori, perchè magari chi fuma veicola in tal modo una parte dello stress che è notoriamente dannoso per la salute?

  7. In risposta all’ultimo commento di Federico vorrei osservare due cose:
    1- Credo che questo libro (marchetta finché vuoi, ma non credo che farsi pubblicità sia illecito) Non voglia essere uno studio sugli effetti del tabacco, quanto piuttosto una denunzia di talune campagne basate su informazioni scientifiche che (nelle stesse intenzioni degli scienziati loro autori) andrebbero utilizzate e analizzate criticamente, e non adottate come Bibbia, e che invece vengono prese alla lettera e si traducono in divieti e criminalizzazioni, spesso insensati e strumentali ripsetto ad altri scopi.
    E che quella contro il fumo sia rapidamente diventata una sorta di guerra di religione lo si vede anche qui, dalla semplice mole e vis polemica dei commenti a questo post di Facci, che dimostrano come la gente sia stata punta sul vivo dalle affermazioni dell’autore.
    Foss’anche solo per questo, il libro è utile.
    2- Quanto alla “competenza” che sarebbe necessaria per parlare di queste cose, sono d’accordo con l’ultimo commento di Facci, e penso quindi che noi se ne possa discuteree scrivere pur non essendo scienziati.
    Debbo infine aggiungere che talune delle ultime affermazioni di Federico mi hanno ricordato alcuni vecchi precetti della chiesa pre-riforma, secondo cui non era bene che il popolo conoscesse e commentasse la Bibbia, di cui poteva parlare solo il Clero.
    Siamo finiti ancora una volta in una guerra di religione?

    in effetti, almeno per quel che riguarda il cosiddetto “diritto alla salute”, si sta rapidamente traducendo i effetti ha disserazione

  8. Onorato di avere il primato della disistima di Facci, mi spiego con le altre persone, per evitare di creare inutile scompiglio.
    I discorsi che faccio non vogliono essere snobistici. Semplicemente mi chiedo come si possa scrivere il libro in questione senza avere l’esperienza (se uso la parola capacità materializzo mille complessi di inferiorità, non ho capito bene il perché) per orientarsi nelle miriadi di indagini sull’argomento operate da personale medico, con criteri e conclusioni e metodi non sempre adeguati ed attendibili.
    Anzi, vi dirò. Affermo proprio il contrario, ovvero che la scienza ufficiale (intendo pubblicata) non è affatto esatta. E mi chiedo come possa un giornalista, seppur valido estrapolare i dati senza sproloquiare.
    Voglio dire, di diritto dovrebbe parlare un giurista, o no? Come potremmo noi cogliere le sfumature di una sentenza senza conoscere i codici e le leggi che ne regolano l’applicazione?
    Peraltro, sorrido all’idea che Facci si è fatto di me. Si sente perseguitato e per cosa? Io non lo conoscevo prima, non lo conosco adesso (non mi piace trarre conclusioni affrettate…) né sinceramente ho interesse a conoscerlo in futuro. Il suo ego gli fa sufficiente compagnia.
    Stefano, sono d’accordo con te quando dici che la Scienza va ascoltata con spirito critico. E’ chiaro però che alla fine dei giochi, ci si mette in mano al medico e si prega di essere finiti nelle giuste mani. Quello che dico è che ci si deve affidare a chi per studio ed esperienza conosce ogni aspetto del problema. Ribadisco, certe affermazioni che leggo fanno a pugni con la verità (che i medici affrontano tutti i giorni e soprattutto molti sfortunati pazienti che maledicono chi li ha rassicurati precedentemente).

  9. Oh, no. Federico sta cedendo. Si sta piegando lentamente come una candela al sole. Così non mi piace più. Come posso risollevare la sua orgogliosa ottusità, il suo giudizio facilone e liquidatorio e spocchioso genere “certe-cose-ve-le-spiego-io-che-ho-studiato-fisioterapia-respiratoria-e-sono-capace-di- distinguere-tra-riviste-con-referees-e-senza-referees”? Forse dicendogli (visto che dice che solo un giurista può cogliere le sfumature delle sentenze) che ho fatto il cronista giudiziario per 14 anni, ci ho scritto due libri, sono stato consulente di tre studi legali, che mi rompono il cazzo in qualità di presunto anti-Travaglio, che godo di una modesta popolarità molto più tra gli avvocati che tra i blogger? O forse dicendogli che per anni – senza essere professore di conservatorio – ho fatto il critico di musica classica a certi livelli, e che perciò la prima casa editrice italiana mi ha chiesto di scrivere la biografia di un noto compositore e la Rai una fiction sul medesimo? Qual è la spiegazione di questo? Che io sono incompetente e che sono deficienti tutti quelli che mi hanno letto e apprezzato, fossero stati pure, loro, autorità dei rispettivi campi? Amici rosiconi, amici in buona fede, anime semplici e di passaggio: perdonate questo mio orrendo e inelegante scrivermi addosso, questo oggettivo travaso dell’ego: su questa Terra siamo tutti di passaggio, nessuno è nessuno e tantopiù io, ciascuno non è nessuno e tantomeno io, ma davvero: non si possono reggere quelli che arrivano belli tronfi coi loro post modello “umphf” e criticano un giornalista dicendo “non ha le competenze” (sottintendendo: io sì) per poi concludere come il nostro fa nel suo ultimo cedevole post: “Facci non lo conoscevo prima, non lo conosco adesso, non mi piace trarre conclusioni affrettate…”. La candela è sciolta.

  10. Facci, mi auguro sia stato un lapsus il suo, perché la fisioterapia e la fisiopatologia sono due cose profondamente diverse.
    Felice per lei e per i suoi lettori se lei sia ben preparato in materia legale e musicale.
    Mi auguravo infatti nei precedenti interventi che lei fosse altrettanto preparato in materia medica. Le chiedevo proprio a questo proposito di rassicurare i suoi lettori sul fatto che ANCHE in questo fosse ben preparato. Feci l’esempio delle scissure polmonari, perché si parla di un ABC anatomico da scuola elementare.
    Da allora lei ha sempre evaso la domanda, ammettendo così la sua ignoranza in materia.
    Gli studi legali la considerano come un addetto ai lavori. Anche i medici la considerano altrettanto? Ne dubito fortemente.
    Chi si scioglie qui è l’ego del Facci, che cerca (lui sì in atteggiamento rosicatorio) di dimostrarci che in fondo vale qualcosa, e non per se stesso, ma perché ha pubblicato per Mondadori. Così insicuro? Il rischio D’Eusanio non lo cita mai nella sua biografia ?
    INoltre, lei cita a metà : concludevo con “non ho alcun interesse a conoscerla in futuro” e il “non mi piace trarre conclusioni affrettate” era evidentemente ironico, dunque altro che sciogliersi, il cero è alto, con base larga.

  11. Per mia inettitudine l’ultimo paragrafo del mio commento di ieri a questo post è arrivato monco ed incomprensibile.
    Quello che volevo scrivere è:
    “In effetti mi sembra che per quel che riguarda il cosiddetto “diritto alla salute”, questo diritto si sta rapidamente traducendo in un “dovere di salute” in base al quale il legislatore ci vuole imporre determinati stili di vita e vietarne altri.”

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