Sociologia dell’inflazione e inflazione della sociologia

L’inchiesta di copertina dell’Espresso della scorsa settimana riguardava il difficile momento economico vissuto dalle famiglie italiane. Giù il risparmio, giù i consumi, una sensazione strisciante – ma poi neanche tanto – di impoverimento, la filosofia della cinghia stretta a farla da padrona. Dentro, un sondaggio Swg secondo cui il 68% degli intervistati ritiene di stare peggio di dodici mesi fa. Poi c’è l’intervista. A Giuseppe De Rita, “guru del Censis”. Un sociologo che ci ha abituato a immagini plastiche per descrivere “le evoluzioni della società italiana”. E anche stavolta non scherza. “La paura dell’impoverimento – dice – rischia di trasformarci in un popolo da un solo talento”. E poi: “Viviamo un ciclo antropologico e di psicologia collettiva…”. Ancora: “Ci sono fasi in cui gli organismi umani – individuali e collettivi – hanno bisogno di fare ordine”. Tutti fanno il loro mestiere meglio che possono. Gli idraulici sistemano i rubinetti, i violinisti suonano il violino e i sociologi che vanno sui giornali fanno i sociologi che vanno sui giornali: dipingono grandi quadri, non importa se aderenti alla realtà. Ciò che conta sono le dimensioni (imponenti) e i colori (brillanti). L’arte dell’interpretazione lascia il campo a un approccio monistico, monocausale, semplificatorio. Ti intervistano e devi per forza resuscitare la freccia della storia e farla incarnare in un presente spiegato univocamente. O almeno devi darne l’idea. “Io non credo – dice De Rita – che l’impoverimento di massa su cui hanno insistito molti mass media sia l’effettiva realtà”. E poi: “Cavalcare l’abbondanza per 30-35 anni alla fine stanca”. Ma dove sta scritta questa legge? Parli per sé, De Rita. Qui – da un punto di vista antropologico e anche un po’ organicamente evolutivo – si pagano le pesche 3 euro al chilo e, fosse per noi, pasteggeremmo a champagne tutte le sere.

P.S. L’articolo è contenuto in Leftwing.

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3 Commenti

  1. Sarebbe molto carino se, ogni volta che si parla di famiglie, soldi e impoverimento, le persone dichiarassero il proprio reddito. Così, semplicemente per capire in che mondo vivono.
    Chessoio una cosa del tipo: sono il guru del accademia dei crauti, guadagno 8500 euri al mese più macchina e viaggio. Io non riesco a capire come mai alcune famiglie italiane stanno male. Dal mio villone con vista sui castelli romani non riesco proprio a percepirlo.
    Sarebbe carino.

  2. Coincidenza! proprio ieri sera ho postato questo su OCE, che eccezionalmente mi permetto di riportare:

    Sorella povertà
    Il vostro umile scriba nota come gli argomenti più appassionanti per la maggior parte delle persone che disperdono il seme sui blog siano i più variegati alla banana: molta politica internazionale, abbastanza disputa politica domestica, e poi i sentimenti, il cinema, la tv, i ricordi, le vacanze, i figli, il sesso che adesso siamo tutti disinibiti e diciamo più vaccate noi in due giorni che la nostra mamma in tutta la sua non breve ma repressa vita, e poi cazzeggi, non sense, indignazione, didascalismi assortiti e chi più ne ha più ne umetta, come diceva quello che attaccava i francobolli.

    Un argomento, ancorché non marginale, sembra un tabù. A volte sfiorato per caso ma mai preso di petto, come solo noi di OCE sappiamo fare per rimetterlo bravamente al suo posto e risolverlo definitivamente: come del resto già abbiamo fatto per ogni altro problema che abbiamo deciso di sistemare once and for all.

    Parlo del rapporto fra paghe e prezzi.

    Segue…
    Si intuisce (o si direbbe), in generale, che i più, su questo blog, come su altri che il vostro scriba frequenta occasionalmente, stiano a posto. Chi vive con i genitori e la paga è un argent de poche; chi ha una solida famiglia alle spalle che ha risolto alcuni problemi essenziali di impianto della vita e altri ne risolverà; chi ha trovato un’attività di rara lucrosità; chi si è coniugato dopo aver visto “Scene da un patrimonio”.
    Il vostro stesso umile scriba gode di alcuni benefit, sponsor: mammina, a partire da una casa gratis, e altro: niente di che, ma diciamo che per fortuna non gli si arrotonda solo l’epa ma anche la paghetta.

    Però non va mica bene. A parte che esistono anche quelli che non sono incappati in nessun culo compensativo della miseria della busta paga, a parte che il parassitismo ogni tanto stufa non solo il parassitato ma anche il beneficiario, a parte che lavorare come un culo per avere un reddito oltre il salario medio non è detto che si abbia il fisico di poterlo fare tutta la vita, più pragmaticamente, non è foriero di salute mentale e di buona autopercezione del sé lavorare per le cifre che girano normalmente oggidì.

    Nella mesta realtà comunale ove si aggira (rigorosamente con una delibera in mano per darsi un contegno) il vostro umile scriba lavorano circa seicento figuri. Togli una dozzina di dirigenti. Ne restano sempre circa seicento (potenza del circa). Che prendono dai 900 euro dell’usciere, màs o menos, ai 1600 del funzionario con posizione organizzativa, una specie di dirigente in versione pigmoide. I più numerosi, gli stropicciati e rancorosi ex sesto livello ora C3, ne chiappano 1100. Circa 36 euro al giorno, che se ci metti tredicesima e produttività, arrivi a 40.

    Vediamo alcune possibilità offerte da simili paghe, che riguardano alcuni milioni di pubblici dip e sono assai simili a quelle di milioni di privati dip:

    Pane: a Imola, cinque euro al kg: un giorno di paga, otto kg di pane
    Magnum Algida: 1, 30 euro cad : un giorno di paga, 30 Magnum e un morsino
    Casa, al mq, 2500-3000 euro: un mese di paga, O,30-0,40 mq (ovvero due piastrelle di medie dimensioni)
    Vespa 200cc, 4000 euro: un mese di paga, una ruota e un parafango
    Armadio a sei ante del Mercatone, in vero cartone ondulato: 1500 euro, quaranta giorni di paga.
    Rapporto orale con travestito, (stima) 50 euro: un giorno e due ore di paga.
    Pizza con finta mozzarella di bufala alla diossina (vera), birra calda media e caffè, 14 euro: tre ore di paga.
    Controllo annuo alla caldaia, venti minuti, 90 euro: due giorni e due ore di paga.
    Detartrasi, mezz’ora, cento euro: due giorni e mezzo di paga.

    Turani, valente economista, scriveva ieri su Affari e finanza che il mercato interno non tira perché teme probabili tasse future. Secondo il vostro umile scriba, che non capisce una mazza, teme improbabili stipendi presenti.

  3. Nella mia carriera universitaria lunghissima di studente in fieri, mi è capitato di incontrare numerose volte dei sociologi, specialmente sociologi urbani. L’inflazione dei termini sociologici è inversamente proporzionale all’ intelligenza del sociologo e direttamente proporzionale alla scarsa chiarezza di idee che può avere sull’ argomento. In questo caso sono sostanzialmente daccordo su quanto viene detto nell’ articolo, anche se non c’era bisogno di scomodare il Censis o la sociologia per accorgersi che gli Italiani sono poveri o che sono più depressi se non hanno soldi. E cavalcare il benessere non so se stanca tanto…

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