Manfredi, attore del rinascimento

Tanto per abbaiareManfredi, Gassmann, la Magnani, Sordi… E poi Moravia, Pasolini, Calvino, la Morante. Che cosa avevano in comune fra di loro? Una grande stagione: il Neorealismo

• Così, neanche Nino Manfredi aveva più niente da fare in Italia – in questa Italia – e s’è levato di mezzo. Lui era proprio l’ultimo, più o meno come la Morante era stata l’ultima degli scrittori, e con lui se ne va una stagione altissima della cultura italiana: la più densa e profonda (col suo neorealismo scritto e filmato) dal Rinascimento. Noi non abbiamo mai avuto (lo notavano già nell’ottocento) un gran teatro; il primo è arrivato a novecento inoltrato, ed era più letteratura che teatro – Pirandello. Le altre nazioni (Lope de Vega, Shakespeare, Moliere) invece hanno avuto il loro imprinting proprio col teatro: la gente che schiamazza e si fa attenta, che ride, piange, vive la propria vita e la confonde con le vite, coi sentimenti, coi personaggi, con le passioni che il carro dei teatranti le ha portato davanti, un luogo qualunque, la piazza dell’auto sacramental o il teatro Globe. Autori e attori, gente qualunque, fricchettona, esposta a tutti i colpi della vita, qualche volta “antipatici”, mai vip. Da noi, umanisti boriosi, seduti sui scranni al lume dei candelieri di corte. Così, dal Bembo a Francesco Merlo via Monti, Carducci, Malaparte e compagnia cortigiana, l’intellettuale italiano è sempre stato segnato: eleganza e bel garbo, ma via dalla strada.

L’eccezione, è la commedia dell’Arte e poi – sotterranea continuità – l’opera e il melodramma; e infine il cinemino di periferia, quello in cui i ragazzi “ignoranti” della borgata celebrano senza saperlo se stessi. Arlechin, Brighéa da Berghèm, Pulcinella sono dei paesani qualunque – degli “zanni” – che scendono nella città dei signori. A fare i servitori, i vivi-alla-giornata, i Cococò. Come i loro spettatori. Otello, Cavaradossi, il Barbiere non vivono grazie ai palchi, ma grazie al loggione; ma vivono soprattutto fuori teatro, nella strada. Il cocchiere che canta, il barcaiuolo, il contadinello, la mondina: per tutto il settecento e l’ottocento il popolo italiano – per testimonianza unanime, e un po’ razzista, di milordi turistici e altri viaggiatori – è soprattutto un popolo che canta. Quante Rosine povere, nei loro abiti d’operaie e di domestiche, sono state corteggiate sotto casa da un giovane improvvisato tenore! E chi sarà stato l’interprete principe di Fenesta ca lucive, se non qualche sconosciuto guappariello o pescatore, in chissà quale vicolo di chissà quale sera…

Questa è la letteratura italiana, quella del popolo, quella vera. A fine anni Quaranta, per una serie di contigenze storiche – principalmente il communismo, la libertà, il dopo-guerra – essa acquista una consapevolezza di sè, alza la testa. Tutta una generazione di scrittori “alti” vi si arruola. “Alti” di formazione e cultura; ma popolari. Pasolini o Zavattini in bicicletta, come Gassmann nei Soliti ignoti; poveri, ma belli e ricchissimi. La cultura, l’Italia, la cultura *italiana*.
Gli attori, in quel periodo fausto, erano regionali. L’Italia, infatti, allora era davvero una federazione. Non il federalismo grassoccio e avaro e un po’ vile di ora; ma un “federalismo” spontaneo, solare, di genti e tribù diverse che s’incontrino allegramente su una piazza o una via. Così, Gassmann era il Milanese, Edoardo e la Loren i Napolitani, Sordi e Fabrizi e la Magnani i Romani; com’era meridionale Polichinelle o padano Arlecchino, senza diffidenze e mutrie, fraternamente. E tutti insieme erano les Italiens, the Italian mandolini, i macaronì, i paisà, gli Italiani.

Fra questi, Manfredi era il romano “burino”; vale a dire il romano vero, scetticamente ingenuo, non cittadino. L’anima di Roma, infatti, è qualcosa che continuamente si rinnova dalla campagna, da alcune migliaia d’anni a questa parte. E’ stato, coerentemente, il miglior Pasquino. E’ stato er Communista de Roma, è stato er Pecoraro. Maschere – in romano “personae” – immortali. E’ stato a pieno titolo nella massima antologia del neorealismo, che è L’audace colpo dei soliti ignoti, del ’59.


La viulenza. L’esaltazione della violenza “proletaria” nel 68 si è mutata nell’esaltazione, da parte degli ex, della violenza padronale. Eppure gli operai non erano violenti (a volte si difendevano: ma non ne facevano una strategia). Avevano i consigli di fabbrica, l’istituzione più democratica mai esistita in Italia (votavano ed erano eletti tutti, facessero o non facessero parte di sindacati e partiti), e i “consigli di zona”, un rudimentale coordinamento (sempre a elezione libera) di tutti gli operai di una città. Per noi “rivoluzionari” i consigli di fabbrica erano un imbroglio “riformista”, per i partiti ufficiali un pericoloso esempio di indipendenza dagli apparati. Alla fine, furono aboliti con sollievo di tutti. Del 68 operaio, e per buoni motivi, nessuno parla più. Eppure ci sono stati cinque anni anni durante i quali gli operai erano riusciti a contare molto, senza bruciare niente nè sprangare nessuno, semplicemente con gli strumenti non-violenti dello sciopero, dell’occupazione di fabbrica e del corteo. Nessun operaio sessantottino, e ne conosco parecchi, è finito con Berlusconi.

Quarantaquattro. L’Europa fu liberata dall’America e dai partigiani ma , statisticamente, molto di più dai russi di Stalin. Che da un lato aprì i cancelli di Auschwitz, ma dall’altro si tenne ben tretti i lager suoi. Aggiungerei ancora che Hiroshima non è una città della Svizzera ma di quell’impero nipponico che in nome di una “Grande Sfera di Prosperità” uccise, violentò e fece a pezzi centinaia di migliaia di innocenti in Cina: qualcuno degli stupratori di Nanchino, statisticamente, doveva essere di Nagasaki o di Hiroshima; così come da Dresda, bruciata dagli Alleati con la gente dentro, erano partiti non pochi di quei “volenterosi esecutori” di russi e ebrei.
A Gaza, in questo momento, gli israeliani sono la Wehrmacht dei palestinesi, che dal canto loro applaudono ai ragazzini ebrei ammazzati mentre vanno a scuola. Io mi rifiuto di stare a questo gioco. Io sto con gli ebrei, con i palestinesi, coi russi e coi tedeschi e col diavolo che li porti nel momento in cui sono vittime, e contro ciascuno di loro nel momento in cui sono aggressori. Dopo, ma solo dopo, faccio politica e cerco di farla bene. Non voglio ammazzare un innocente per salvarne (o peggio vendicarne) un altro.

Archeo. “La manifestazione, indetta da Cossiga, Ferrara e dal partito radicale…”. Toh. Ma guarda oggigiorno come stanno bene insieme”.

Il coraggio. Io non sono abbastanza coraggioso da essere pacifista. Strada e Zanotelli sì. Spero di arrivarci anch’io, prima o poi. Nel frattempo debbo cercare di non dar loro dei vigliacchi, io stando seduto qui e loro rischiando la pelle là.

Sebastiano Gulisano (ancora a proposito del povero Cocilovo) wrote:

Ci siamo limitati a riportare quanto scritto dai giudici di Palermo in primo grado e ribadito in appello (sentenza depositata lo scorso 15 aprile), cioè che Luigi Cocilovo è stato “collettore di una tangente” di 350 milioni di lire versatagli dall’imprenditore messinese Domenico Mollica, nel 1995. Cocilovo è stato assolto, ma non con “formula piena” bensì a norma del comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale (lo stesso dell’assoluzione a Palermo ad Andreotti), che così recita: “Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”. Ora, che i giudici (di primo grado e d’appello) fossero convinti che Mollica la tangente l’abbia versata – come lui stesso ha dichiarato in istruttoria, provocando il processo – non ci sono dubbi: lo hanno condannato in primo grado e in appello. Mollica non ha ripetuto le sue accuse in aula, e, grazie all’articolo 111 della Costituzione, quello sul cosiddetto giusto processo, votato nella scorsa legislatura, le accuse devono essere ripetute in dibattimento, altrimenti non valgono. E così è stato, sia per Cocilovo che per l’altro imputato, il professor Musco. Insomma: i giudici (in primo grado e in appello) hanno ritenuto attendibili le accuse di Mollica, ma siccome la Costituzione impone che la prova si formi in aula, hanno mandato assolti Cocilovo e Musco. E condannato (senza attenuanti) Mollica a tre anni di carcere. Che piaccia o no, è così.

Raphaël Jakob wrote:

Nella sua rubrica lei ha segnalato la sparizione dai siti Rai dell’ultima intervista a Borsellino. Essa si può trovare in versione completa nell’ottimo sito didattico di Roberto Tartaglione

Bookmark: http://web.tiscali.it/scudit/mdfalconeinter.htm

sasa wrote:

Vorrà pur dire qualcosa il fatto che nel 1944 le truppe americane furono accolte all’unanimità con i fiori in mano e la gioia stampata sul viso mentre oggi il presidente degli Stati Uniti deve muoversi come un ladro attraverso itinerari segreti e con decine di migliaia di persone che gli danno il “malvenuto”? Qualcuno si chiederà il perchè?
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7 Commenti

  1. Signor Orioles, qua la mano. Ogni tanto bisogna ricordarsi chi eravamo e cosa siamo diventati (o ci hanno fatto diventare…)

  2. Non ci siamo: Edoardo, Loren, Sordi, Fabrizi, ed ecco: Manfredi, li considero dialettali al pari +- dei Govi, Baseggio ecc…
    Gassman era d’un altro pianeta. Non regionale.
    Con rispetto.
    Tullio

  3. Anche se ho solo 23 anni, ogni tanto mi piace rivedere quei vecchi film di Sordi, Totò, Mastroianni ecc…è un po come tornare indietro negli anni e perchè no? vedere la realtà di allora con i suoi problemi e le sue ingenuità. Secondo me sono film da cui si può imparare qualcosa, a volte molto più che da filmoni attuali come il Signore degli Anelli ed altre cavolate moderne!

  4. Apprendo che Gassman e Manfredi hanno realizzato films neorealisti, anzi che la saga dei “Soliti ignoti” è il capolavoro del neorealismo; che gli anni di piombo non hanno nulla a che fare con le tensioni all’interno delle fabbriche durante il 1968 e ss.; che Cocilovo è stato assolto pur se certamente colpevole; che gli alleati che radono al suolo Dresda, comunisti di Stalin, kamikaze palestinesi, pari son; che è colpa di Bush se in Italia ci sono quelli che bruciano (da trent’anni) le bandiere americane.

    Incredibile.

    E nessuno di voi, lettori di cotanto post, che faccia sommessamente presente al divin scrittore quantomeno la differenza tra neorealismo e commedia all’italiana.

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