Pallottole su Palermo

Irredimibile. Così Sciascia della Sicilia caotica, irrazionale e pirandelliana che ancora oggi s’imbottiglia nel traffico dantesco di Palermo, guadagnando il ritorno a casa di prepotenza, muso contro muso, fanale contro fanale. Ma sono i duelli sorridenti, senz’astio né nervosismo, di questi Gorgia al volante delle loro Fiat scassate a stupire te, che dell’ingorgo milanese conosci l’apparente razionalità, fragilissima e prossima alla crisi di nervi, pronta allo scoppio d’ira e al clacson facile.
Succede, sai, che se t’aggrappi alla ragione, e solo a quella, diventi pazzo e non sai più dove stia il vero, dove il falso, e chi sia nel giusto, se la signora Frola o il signor Ponza, suo genero. Succede che, nell’agnizione finale, sembra sia la Sicilia stessa a chiudere, enigmatica, il sipario dicendo: “Per me, io sono colei che mi si crede“.
L’umano troppo umano “al limite del vivibile” del pirandellismo isolano era un nervo scoperto, per Sciascia, era carne viva, memoria “di fatti accaduti, di persone conosciute, di rivelazioni, sgomenti e terrori vissuti”, era, diceva lo scrittore di Racalmuto, “la Sicilia come l’ho conosciuta e come la conosco. Tra le pagine di Pirandello e la realtà in cui sono nato e cresciuto non c’è scarto”.


E più Pirandello s’inabissava nelle pieghe profonde di un’insularità d’animo forgiata di relativismo sofistico, più Sciascia, che non amava il mare (come a suo dire non lo amavano i siciliani tutti), cercava la via di terra, attraccando al molo d’un illuminismo diamantino, nella convinzione che la verità esiste, è conoscibile e raggiungibile. Da lì la scelta del genere giallo.
Tuttavia, di tutti gli omicidi da lui immaginati era dato a Sciascia di scoprire movente e colpevole, tranne che del delitto perfetto col quale Platone si vendicò della Sicilia, che ne scornò le mire politiche, imbalsamando definitivamente la potenza eversiva della sofistica. Di quest’ultima, i dialoghi platonici – pressoché unica fonte – hanno consegnato ai posteri la fisiognomica ormai proverbiale del siciliano che non crede in nulla, dell’abile sofista che cambia tutto per non cambiare niente, del distruttore di ogni fondamento ontologico del discorso. Del nichilista, insomma.
Quello stesso nichilismo che Sciascia tentò di strapparsi dalle viscere, vittima fatale, allora come oggi, di una curiosa pena del contrappasso, che ancora lo pesa sul bilancino di una politicuzza senza respiro e, per soprammercato, lo accusa d’ignavia, quando non di colpevole connivenza intellettuale coi peggiori mali dell’isola.
Pensava, Sciascia, che fosse pericolosa dimostrazione di inettitudine di governo il tentativo di radicare il senso della cosa pubblica attraverso il braccio armato di leggi d’emergenza. Fieramente avverso all’istituzionalizzazione del pentitismo, poneva questioni di diritto che oggi sarebbe miope non riconoscere come lungimiranti.
Della sicilianità quale categoria dello spirito di confine, filosoficamente vicina agli scenari del pensiero orientale, tuttavia Sciascia non colse l’essenziale, fermo alla condanna platonica di quel corto circuito tra ontologia e parola che scardina, sì, i presupposti della dialettica logica, ma – foriero di ben altri sviluppi – non si lascia necessariamente alle spalle soltanto le macerie d’una retorica fine a se stessa.
A un uomo solo, del resto, non è lecito chiedere tutto, soprattutto quando ha dato così tanto. A un uomo di questa levatura non si tira la giacca dando surrettiziamente a intendere che la dicotomia isolana divide il mondo in due, tra quelli che il colpo di pallottola ce l’hanno in canna e quelli che ce l’hanno in corpo. Saremo pure nani, ma camminiamo sulle spalle dei giganti che a spese loro ci hanno dato la libertà di pensare.
Ragion per cui coltiviamo la speranza che un giorno si possa affermare senza scandalo che non sono né indifferenza morale né nichilismo a solcare certi visi antichi e cartavetrati dal sole o a farne danzare le parole in acrobazie sofistiche.
E’ piuttosto l’obbedienza a un inespresso e non meno reale codice etico che una sola cosa chiede: che tu faccia la tua parte, sapendo che è solo una parte e non il Tutto, che tu eserciti la tua virtù senza farne una bandiera, che tu sappia abbracciare la vita sorridendo alla morte.
Liberi dalla fede nella dialettica e nella verità logica, si è vuoti e accoglienti per far spazio a un’altra consapevolezza. E’ un piccolo grande segreto e galleggia lì, nell’aria salmastra. Ma bisogna respirare a fondo, per sentire.

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15 Commenti

  1. Traffico dantesco? Duelli sorridenti, senz’astio né nervosismo? Gorgia al volante delle loro Fiat scassate? Ma chi minchia scrive chistu?

  2. SL, bello essere a casa, vero? Comunque, la storia degli isolani che non amano il mare è vera anche dalle parti dei nuragici, mi dicono. E adesso, su, monta in macchina verso il Ticino.

  3. Oggi, qui, in questa Sicilia caotica, irrazionale e pirandelliana, mi sono imbottigliato nel traffico dantesco di Palermo, guadagnando il ritorno a casa di prepotenza, muso contro muso, fanale contro fanale. Ho duellato sorridendo, senz’astio né nervosismo, di questi altri mestesso al volante con le nostre Fiat scassate a stupire te, che dell’ingorgo milanese conosci l’apparente razionalità, fragilissima e prossima alla crisi di nervi, pronta allo scoppio d’ira e al clacson facile.
    Mi sono aggrappato alla ragione, e solo a quella, diventi pazzo e non sapevo più dove stava il vero, dove il falso, e chi fosse nel giusto, se la signora Frola o il signor Ponza, mio genero. Succede che, nell’agnizione finale, sembra sia la Sicilia stessa a chiudere, enigmatica, il sipario dicendo: “Per me, io sono colei che mi si crede”. Poi è finito l’effetto del Roipnol e sono tornato a casa.

  4. Se questa cosa è stata scritta con l’intento di renderla incompransibile, direi che è stato un successo…

  5. Tutto previsto, Effe. Postare su Gnu significa mettere in conto i lazzi. Lo so che a “casa mia” nessuno si permetterebbe. Ma qui s’è parlato, in un modo che a mio parere fa torto alla letteratura che amo, di Sciascia, di Pirandello e della Sicilia in generale. Quindi, pur avendo previsto di sortire commenti di questo tenore da un lato e silenzio dall’altro, ho fatto coerentemente la mia parte.

  6. Un esercizio di stile incomprensibile, barocco, autoreferenziale, roba da far rivoltare Sciascia o Pirandello nella tomba. Mi associo al dubbio di Stigghiola, ma cosa diavolo hai scritto? Perle ai porci? Ma le perle sono limpide, levigate, brillanti, quel testo è contorto, buio, ellittico…

  7. 1) incomprensibile, barocco, autoreferenziale 2) limpide, levigate, brillanti 3) contorto, buio, ellittico. Sparalesto, questo barocchismo non è che una pallida imitazione del mio, peraltro consapevole. Aggiungo che “autoreferenziale” è messo lì per far scena e in questo contesto non vuol dir nulla, e che le perle non sono limpide né brillanti, ma di nuovo – contagiato dalle mie triadi di aggettivi – hai aggiunto a caso, per far volume. Liberissimo di giudicare come credi e di dare lezioni di stile. Ma se lo fai, devi risultare inattaccabile almeno sulle cose in merito alle quali muovi un attacco. Altrimenti, una stronza come me ci mette due secondi a tirarti giù i pantaloni. La prossima volta, mettiti le bretelle.

  8. Il sentirmi ricordare foss’anche per la millesima volta il pirandelliano “Per me, io sono colei che mi si crede” mi mette sempre i brividi. Mentre i porci, intanto, grufolano allegri.

  9. pensavo anch’io che il traffico di palermo fossse una maledizione in terra, un assaggio d’inferno..fino a quando non sono arrivata a roma. e là ogni categoria metafisica sull’essere e l’apparire, sul tragico e l’ironico di ogni gesto fatto nell’isola esplode in mille pezzetti di confusione, di immobilismo e di non so quant’altro. mi sembrava così assurdo i primi tempi che mi ripetevo a voce alta ” ma perchè nessuno me lo ha mai detto che roma è un gran casino?” quando ho rischiato di essere arrotata sul lungotevere attraversando a piedi sulle strisce pedonali. ma non era 40 km orari il limite di velocità entro i centri abitati? è legge valida su tutto il territorio nazionale o Roma ne è immune? Mi sono ritrovata a rivalutare il semaforo di piazza politeama a Palermo o l’ingorgo di mezza mattina a via roma da quando ho impiegato tre ore per arrivare da piazza venezia a largo di torre argentina alle due di notte!! ..non voglio pensare a cosa sia la mattina alle nove quel tratto di strada..lo evito accuratamente. per non parlare dei modi impazziti dei guidatori romani.
    il che comunque mi sembra sempre una riduzione al luogo comune qualunque sia la latitudine…che anche londra ha il suo traffico, sappiatelo e i fuck-u volano nell’aria come il fumo dai tubi di scappamento. cominciamo a smetterla di riunire in grandi zolle i movimenti e i gesti. che tutti siamo uguali e tutti siamo diversi. fidatevi.
    mi dispiace …ma ormai non si è più nè quello che si è, nè quello che appare..ma semplicemente la banalità delle cose che si dicono. e più sono banali e svianti più diventano verità metafisiche. per benigni era un iperbole, quella del traffico e noi l’abbiamo assunta a categoria sovrastorica dell’essere di un luogo…pensa te…

  10. beh ..effettivamente è un esercizio di stile puro..fine a stesso in quanto tale..sei riuscita a non trasmettermi niente..l’errore di molti bloggers e non :scrivere per se stessi, essere autoreferenziali..

  11. Balla con le lupare

    La polemicuzza è rinfocolata un mese fa o più, ma è ormai una minestra riscaldata. Sciascia e le sue collusioni culturali con la mafia. Sciascia cattivo maestro. Sciascia bla bla. Delle tante pallottole sparate su Palermo ho gi&agr…

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