Spie come lui

Alberto MoraviaE così si viene a sapere che presso l’Archivio Storico di Stato, sottoposte alle cure del soprintendente Maurizio Fallace e di Linda Giuva, moglie di Massimo D’Alema, sono conservate le missive di vari intellettuali italiani contenenti suppliche al Duce per non finire nel libro nero del regime.

Il Corriere pubblica, e beneficio dell’orgoglio dell’Uomo Qualunque e della di lui sete di gossip, financo storico, le parole di un Alberto Moravia inedito: “Io ebreo non sono, se si tiene conto della religione. Sono cattolico fin dalla nascita e ho avuto da mia madre in famiglia educazione cattolica. E’ vero che mio padre è israelita; ma mia madre è di sangue puro e di religione cattolica…”.

Noialtri si dovrebbe gioire, presumo, per il fatto di aver scoperto che il genio è nudo, incoerente, e non è affatto meglio di noi. Che si piega alla paura, si fa piccolo piccolo, codardo e vile al cospetto dell’oscenità della tirannia, della follia omicida, del male.

Flashback: Totò apparì sulla copertina della rivista di cinema “Lo Schermo“, controllata dal regime. Lo costrinsero: nel corso di una rivista teatrale si era permesso una buotade su un presunto tentativo di omicidio a Hitler. Un gerarca aveva denunciato l’episodio al comando; Totò seppe che il giorno successivo sarebbe stato arrestato, e tentò la fuga. Non fece in tempo. Lo andarono a prendere e lo costrinsero a posare per la copertina della rivista. Lo fecero sedere e gli appuntarono alla giacca una spilla del fascio, con la raccomandazione che si vedesse, nella foto.
E ora io non so se quella foto l’avete mai vista (sta sommersa nell’achivio storico del Corriere della Sera a € 400 l’anno per l’abbonamento), ma vale la pena cercarla. In quell’immagine, Totò appare affranto. Non è Antonio De Curtis che si mette in posa come Totò triste; è Antonio De Curtis, lui solo, triste di una tristezza che non gliela si era mai vista tratteggiata sulla faccia con quelle fosche tinte.
E’ il ritratto di un uomo, di un uomo nel preciso momento – quello più nobile – in cui prova paura, ma ha davanti a sé il fotografo e il massimo che riesce a restituire è uno sguardo spossato, rassegnato, sgomento.

All’interno degli stessi carteggi sono custodite anche le delazioni degli anonimi informatori, delle spie di regime. Uno, il 24 gennaio 1934, scrive: Moravia è un giovane di circa ventisette anni, figlio di un ricco imprenditore edilizio della Capitale. Fu affetto da tubercolosi ossea che lo costrinse ad una lunga degenza in sanatorio e che influì nefastamente sul suo spirito assai sveglio e sul suo carattere che, lentamente, si orientò verso un pessimismo, per partito preso, e verso una assoluta indifferenza per tutto e per tutti. In politica non ha mai manifestato idee precise e nette, non è fascita né antifascista, ma abulico – menefreghista, animato da quello stesso indifferentismo che il Moravia ostenta in ogni campo, compreso quello della morale”.

Concludendo: questo è ciò che fanno, facevano, faranno – di mestiere – le spie. Scrivono, insinuano (“fu affetto da… lunga degenza…”), informano. Si fanno anche loro uomini piccoli piccoli pregni di viltà, con la differenza della genuflessione eseguita davanti al Padrone e non al cospetto del Tiranno.
Questo è ciò che fanno le spie. Perfino quelle che se ne vantano.

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5 Commenti

  1. Bel post, questo. Non ci avevo pensato, ma probabilmente infierire su Moravia, oggi, è quello che fregandosi le mani stavano costruendo i fascisti, portando gli esseri umani a negare la propria dignità anche in questi modi.

  2. Ciò che più mi sorprende nel comportamento di moravia non è tanto la presunta vigliaccheria di certe dichiarazioni (di fronte a un pericolo del genere come un regime pretendere oggi per gente dell’epoca atti di coraggio mi pare un po’ ipocrita), ma piuttosto mi chiedo come mai in Italia sia succeso raramente che intellettuali, scenziati, ecc.ecc. emigrassero all’estero per poi tornare in Italia dopo il 45 come spesso si legge di personaggi tedeschi, francesi…

  3. L’Italia ha avuto i suoi bei esuli a quanto mi risulta. Withnail su quale basi fai questa affermazione? Rispetto a Moravia e alle generazioni più giovani poi c’è da dire un’altra cosa: il fascimo è durato un ventennio. E’ chiaro che un conto è l’esperienza di chi ha subito il passaggio da un paese democratico al regime, un conto è quella di chi nella dittatura, con qualsiasi forma di opposizione messa a tacere, ci è cresciuto. Il fascismo nella sua fase matura mirava a perpetuare il suo potere in un paese pacificato a forza, piuttosto che a incendiarlo come nei primi anni. Tutto questo segna una differenza con la Germania e tanto di più con Vichy. Non è un caso che alcuni protagonisti dell’antifascismo della liberazione o del dopoguerra si fossero in principio avvicinati al fascismo.

  4. Ah comunque la descrizione degli informatori è abbastanza fedele, compreso l’episodio della malattia. O almeno mi sembra. Notare che diversi grandi scrittori hanno maturato il proprio talento anche a seguito di degenze, deficienze e impedimenti fisici. Stevenson mi pare ad es. fosse un tisico.

  5. In effetti ammetto di essere ignorante sull’argomento, solo che spesso leggendo brevi cenni biografici su scrittori o note celebrità soprattutto tedesche ho notato riferimenti a emigrazioni in genere fino al ’45. Non ricordo di aver mai letto cose del genere di italiani, ma ripeto, non ho mai approfondito…

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