Dubbio

Il titolo della commedia di Oscar Wilde “The importance of being Earnest” è tutto giocato sul fatto che in inglese “Earnest” sia un nome proprio e, al contempo, significhi anche “sincero”.
Il sottoscritto, pur contrario a qualsiasi inutile traduzione, si chiede perché in questo caso, al posto dell’insignificante “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, non ci si sia giocati un più fedele “L’importanza di essere Franco”.

Da “Tru Calling“, serie in onda negli Usa: «Hi, I’m Tru…» «Oh, no, no, you can’t be true!» «Yes, trust me, I’m Tru!».
Non avranno il coraggio di chiamarla “Vera”. Spero di no.
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30 Commenti

  1. Siamo pur sempre nel paese dove si traducono i titoli dei film svelandone il plot/trama: Raising Cain/Doppia personalitá (ultima scena del film), Crying Game/La moglie del soldato (adio sorpresa!), Misery/Misery non deve morire..(ah, ecco, volevo ben dire..)

  2. La storia è vecchia.Si è adottata la soluzione piu’ vicina foneticamente all’originale,tra l’altro conservando il nome originale.Inventarsi un Franco in età e ambiente vittoriano non è esattamente il massimo.Tutto sommato la scelta migliore,anche se personalmente in questi preferisco lasciare il nome originale bisogna considerare che si tratta di un film per il grande (relativamente) pubblico.

  3. Condivido. L’ho sempre pensato anch’io. E’ vero, Franco suona molto diversamente da Ernesto ma il concetto espresso dal titolo era fondamentale. In alternativa bisognava cambiare completamente titolo.

  4. purtroppo traducendo i titoli si perde sempre qualcosa,ma credo che sia giusto farlo.La mania di lasciare i titoli originali è figlia dell’esterofilia italiana che porta tutti ad inglesizzare la lingua senza per altro sapere l’inglese.Se non traduci i titoi inglesi allora dovresti lasiare in originale anche i titoli arabi o quelli dei film cinesi,ma siccome non è possibile farlo non vedo perchè bisognerebbe farlo con l’inglese.E’ ora di ritrovare l’orgoglio per la nostra lingua.

  5. cmq mi pare che anni fa avevo visto in libreria una versione della commedia con il titolo “l’importanza di essere franco”. non capisco cmq quella cosa detta da angelo a proposito de la moglie del soldato(che per’altro è uno dei miei film preferiti)…

  6. “La moglie del soldato” non rovina la sorpresa, ma certo è un titolo assurdo, dato che non si tratta in alcun modo di moglie. [Su Wilde, solo per puntiglio: è vero che c’è il gioco di parole, ma tra due parole diverse con la medesima pronuncia: “Earnest” non è un nome proprio come ha invece scritto Neri, “Ernest” sì. La sostanza non cambia] Comunque questo delle pessime traduzioni (dei titoli e non solo) è un discorso molto lungo. Io sono un fiero avversario del doppiaggio, perché alcuni film sono stati praticamente *distrutti*. “Jackie Brown” di Tarantino, ad esempio, i cui dialoghi sopra le righe sono stati appiattiti e resi innecessariamente “cool” (e “dick” è stato tradotto con “pistolino”!). Nella versione italiana di “The Big Lebowski”, il soprannome del protagonista è “Drugo”, un’invenzione idiota dei doppiatori.
    Sulla mancata traduzione dei titoli inglesi, non sono del tutto d’accordo con Red, però è vero che alcuni titoli sono rimasti inspiegabili agli spettatori italiani. Quanti sanno cosa significhi davvero “Out of sight”? Mi fermo qui perché se mi togliessi tutti i sassolini, verrebbe un post lunghissimo.

  7. Negativo Red, negativo. Non pretendo di mantenere l’originale, ma di osservare buon senso quando si traduce. Per Daniele, trovo che La Moglie del Soldato attragga troppa attenzione sul magnifico “segreto” che il personaggio nasconde e che dovrebbe lasciare nel dubbio chi guarda il film. Ma si tratta di mia interpretazione, su cui grava un errore di battitura nella parola addio :)

  8. Francois Truffaut, “Domicile Conjugal” -> “Non drammatizziamo… è solo questione di corna”. Sembra tradurre anche la sgomitatina ammiccante con alzatina sopraccigliare :-)

  9. “Drugo” era il termine usato in “Arancia meccanica” per definire i membri della gang, mutuata dal russo “drusià” (scusate le eventuali imprecisioni), “amico”. Certo che il “Dude” originale era impagabile.

  10. Giuro che poi smetto e Morgan non si arrabbi se correggo: “drug” in russo é “amico”. Dasvidania

  11. Non ho mai capito quelli che sostengono che sia meglio non doppiare i film. In primo luogo, sono rare le persone che conscono una lingua straniera così bene da seguire tutto un film capendo tutto. Io me la cavo discretamente con l’inglese e lo spagnolo, ma seguire un film americano, magari pieno di gergalismi da ghetto è un’altra cosa che chiedere dove è il bagno o quanto costa il bilglietto della metro. Se poi ci sono i sottotitoli, si è condannati a uno sfinente strabismo fra le immagini del film e le scritte, che, d’altra parte, non corrispondono mai esattamente ai dialoghi, ma ne sono solo una sintesi appiattita, ben peggiore del doppiaggio. Purtroppo questa è una di quelle situazioni in cui comunque qualcosa va perso, e a me pare che il doppiaggio sia il minore dei mali, tenendo poi conto che negli ultimi anni si sono imposte meravigliose filmografie di Paesi che parlano lingue che non conosce nessuno.

  12. caro gianluca neri, prova un po’ ad andare su google e digitare “miserabile fallimento”.. ti anticipo che non viene fuori ne’ bush ne’ berlusconi..

  13. E’ un serpente che si morde la coda. In altri paesi capiscono le lingue anché perché le *sentono*, ci fanno l’orecchio. Vedendo tutto doppiato in italiano, non ci si fa l’orecchio, e infatti la maggior parte degli italiani è penosamente monoglotta. Quello che Sticazzi scrive dei sottotitoli (“sintesi appiattita”) rimane vero finché non si fa l’orecchio a quanto viene detto. Alla lunga, almeno per le lingue di origine europea, i sottotitoli diventano un semplice aiuto, da leggere ogni tanto, quando non si capisce qualcosa. Vi sono paesi dove si sono sempre usati i sottotitoli e non si è mai sviluppata un’industria del doppiaggio, come l’Olanda, non a caso un paese di poliglotti. Riguardo a “drugo”, quando ho parlato di idiota invenzione non mi riferivo alla parola in sé, ma al suo utilizzo nel film dei Cohen. Che c’entra lo slang “Russian cockney” creato da Anthony Burgess con l’americanissimo freak post-sessantottino interpretato da Jeff Bridges?

  14. cmq il film “la guerra dei roses” contiene addirittura un errore grammaticale nel titolo. in originale era “the war of the roses”, riferimento sia alla guerra delle rose che alla coppia del film, il cui cognome è rose. in italiano si è lasciato il plurale inglese invece di accorciare a “rose”, creando un cognome che non ha niente a che fare col film…

  15. Non solo in Olanda l’industria del doppiaggio non ha avuto alcuna fortuna: In Australia, in Sud Africa, perfino i movies serali provenienti dalle regioni asiatiche ( Tailandia, Cina, India…) sono riprodotti in lingua originale con i sottotitoli. La storia è comprensibilissima e il suono esotico di una lingua tanto strana, le inaspettate e sconosciute intonazioni vocali, apportano ai film un qualcosa di interessantissimo e magico.
    E con questo non voglio mancare di rispetto alla lingua italiana. Mi dispiacerebbe invece offendere il lavoro di registi e produttori che per un titolo o una battuta azzeccati, magari, si sono impegnati mesi.

  16. Gianluca, ma dove l’hai letto quel titolo? Ho tirato fuori la mia copia di quella commedia e la traduzione del titolo e’ “L’importanza di chiamarsi Onesto” e il personaggio si chiama Onesto Worthing.

  17. Come non contribuire ad una diatriba cosi’ interessante? Grazie a Gianluca per il letteral-post. Ne sentivo la mancanza, qui, sotto la pioggia invernale. In seconda battuta, thanks to Wu Mung che ci piace molto (ti visitero’ tra breve). Dulcis in fundo: earnest significa serio, sincero, onesto. Da laureato in letteratura inglese, ritengo che la terza accezione sia decisamente la piu’ attinente. Leggasi Onesto per “Corretto”.

  18. in una edizione italiana del 93 era stato tradotto “l’importanza di essere fedele”

  19. La traduzione dipende dal tipo di fruizione che si vuole avere, per un pubblico vasto (o che si vuole tale) di una commedia meglio una traduzione “comunicativa” (dunque Ernest = Franco = Severo o la caratteristica che si vuole rendere evidente, a limite anche un titolo-spiegazione, va bene) , la traduzione “filologica” che rispetta la lingua di partenza della traduzione la lascerei ai sottotitoli (in ogni caso quando traduci un film devi fare migliaia di aggiustamenti perchè altrimenti le frasi dette non corrispondono ai tempi e movimenti delle labbra) . Non capisco dove stia il problema dal momento che non è che questo tipo di film si possano vedere solo al cinema. In dvd chi può e non vuole perdere il fascino esotico (?) della lingua di partenza se lo può vedere, oppure coi sottotitoli, oppure andarlo a vedere direttamente in un cinema del paese di origine. Noblesse oblige, però lasciate che il grande pubblico acceda al film in qualche modo, senza essere costretto a imparare il danese (tanto poi anche Lars von Trier si rende conto che tanto vale farlo in inglese direttamente, peccato per le nostre lingue morte).

  20. Ma è proprio qui il punto: non c’è vera libertà di scelta. Lasciamo perdere per un attimo il DVD e il digitale: se uno un film vuole vederlo in sala, su schermo grande, insieme ad altre persone (e in fin dei conti è la fruizione *primaria*, quella per cui il medium è stato concepito, con wide screen e tutto il resto), in Italia trova soltanto sale coi film doppiati. In Germania e altri paesi puoi scegliere. Per fare un esempio: a Bologna, la città in cui vivo, c’è un solo cinema dove vedi i film in lingua originale, una sera alla settimana, niente repliche.

  21. Ernesto, Onesto, Franco… Per me la traduzione migliore (comunque difficile) sarebbe Probo. E lasciate perdere il film e leggete il testo inglese, insuperabile.

  22. comunque, credo che esista una traduzione “L’importanza di essere Franco”. Quanto ai film doppiati, anch’io preferirei l’originale sottotitolato. ma forse non con i film di Stallone

  23. Effettivamente alcuni attori col doppiaggio ci guadagnano. Si pensi a Keanu Reeves, che è totalmente incapace d’intonazione. Anche Kevin Costner, che ha una voce stridula. Ma sono eccezioni. La cura Amendola (oltre a far parlare tutti quanti con la stessa voce, da Tomas Milian a Dustin Hoffmann, da Pacino a Stallone passando per il James Woods di “Salvador”) ha impedito di capire quant’era bravo De Niro quando ancora recitava e cambiava accento, timbro, pronuncia come ci si cambia d’abito. Oggi De Niro sembra imitare Amendola, si limita a bofonchiare.

  24. Keanu Reeves ci guadagna? A me il suo doppiaggio nella trilogia di Matrix non è piaciuto per niente: Ward lo fa parlare con un fil di voce per tutto il tempo… e che è Neo, un serpente?

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