Sarò anche uno che le cose non le scorda e non le lascia andare neanche quando è venuto il momento, ma io Guccini non riesco a metterlo in discussione. Ed è anche l’unico, credo. Tutti gli altri, quelli del cantautorato anni ’70, quelli delle sciarpe rosse, dei cappelli a coprire le pelate, quelli del “faccio un album live” ed è il sesto consevutivo, quelli – insomma – a cui i compagni tiravano le pietre sul palco perché avevano scritto canzoni vagamente d’amore, le pietre le meriterebbero ora che scrivono canzoni vagamente politiche.
Segue un nuovo brano di Francesco Guccini: non uscirà domani, nè tra un mese, ma il prossimo anno. I temerari vorranno procurarselo utilizzando WinMX o OpenNap. Gli altri possono godersi il testo.
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 UNA CANZONE 
di Francesco Guccini 
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La canzone è una penna e un foglio 
così fragili fra queste dita 
e quel che non è, è l’erba voglio 
ma può essere complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla 
che vola via nell’aria leggera 
una macchia azzurra, una rosa gialla 
un sospiro dietro la sera. 
Un sospiro fatto di vento 
una piccola luce accesa in un prato 
ma qualche volta se ti entra in mente 
ti ha per sempre afferrato 
e la scrive gente quasi normale 
ma con l’anima come un bambino 
che delle volte si mette le ali 
e con le parole gioca a rimpiattino. 
La canzone è una stella filante 
che qualche volta diventa cometa 
una meteora di fuoco bruciante 
però palpabile come la seta. 
La canzone può aprirti il cuore 
con la ragione e col sentimento 
fatta di pane, vino, sudore 
lunga una vita, lunga un momento. 
Si può cantare a voce sguaiata 
quando si è in branco per allegria 
o la sussurri appena accennata 
se ti circonda la malinconia 
e ti ricorda quel canto muto, 
la donna che ha fatto innamorare 
le vite che tu non hai vissuto 
e quella che tu vuoi dimenticare.
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La canzone è una scatola magica 
spesso arricchita di cose futili 
ma se la intessi di ironia tragica 
ti porta via i ritornelli inutili.
È un manifesto che puoi riempire 
con cose e facce da ricordare 
tesi di vita da rivestire 
e storie minime da ripagare. 
Fatta con sette note essenziali 
e quattro accordi cuciti in croce 
sopra chitarre più che normali 
ed una voce che non è voce 
ma con carambola lessicale 
può essere un prisma di rifrazione 
cristallo e pietra filosofale 
svettanti in aria come un falcone. 
Perché può nascere da un male oscuro 
che è difficile diagnosticare 
fra il passato vedere il futuro 
e il presente è pronto a scappare 
e la canzone diventa un sasso 
lama, martello, una polveriera 
e a volte morde, colpisce basso 
e a volte sventola come bandiera. 
La urli allora un giorno di rabbia 
la getti in faccia a chi non ti piace 
un grimaldello che apre ogni gabbia 
contro grida, chi canta e tace 
una voce fatta di fumo 
veste la stoffa delle illusioni 
nebbia e ricordi a penna, profumo 
son tutto questo le mie canzoni.  | 
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Gianluca, se fossi una donna, ed assomigliassi vagamente a Selvaggia, ti amerei. Diciamo quindi che ti stimo.
Francesco non si discute, si ama.
Ci sono alcune volte in cui approvo quello che scrivi Neri x caso! :-)
Ah questo pero’ non cancella il mio disappunto per avermi censurato, cancellando il mio simpatico commento gg. fa sul tema selvaggia.
SGRUNT! A volte non capisco proprio, leggo cose ironiche scritte da Voi, e se uno Ve le scrive su di Voi addosso medesimi, LO censurate! MAH! Alla faccia dell’autoironia! BAH! Mah! E Vabbe! Sgrunt!
Mi chiedo perchè la rima alternata? Non mi sembra obbligatoria per comporre un bel brano… no, così, per dire.