I Re del Medioevo

…CHE, ALLA FINE, MUOIONO DI PESTE

• Come si chiamava il capo di stato maggiore dell’Impero Goto? E il Khan degli Avari che vinse la guerra di Bulgaria? Chi era l’Imperatore di Bisanzio che conquistò Trebisonda? Ovviamente, noialtri posteri ce ne fottiamo. Ricordiamo invece i nomi di filosofi come Boezio, scienziati come Averroè, pacifisti come san Francesco. Uomini che all’epoca “contavano poco” ma il cui lavoro è rimasto, mentre di tutti gli imperatori e i capitribù del medioevo non resta che una ferraglia arrugginita, e un ricordo indistinto di bestie rozze e feroci.
Così, nel medioevo – speriamo breve – che stiamo attraversando adesso, i nomi di Bush, Blair, Saddam e Bin Laden, che i media ci impongono a forza tutti i giorni, non sono in realtà che lo strato superficiale e parassitario di un mondo ben differente. La storia vera, quella che i nostri nipoti studieranno, si occuperà poco di questi nomi. Tutti sapranno invece la storia di Matthew Lukwiya, primario dell’ospedale di Lachir in Uganda, o di Carlo Urbani, medico senza frontiere, o di Gino Strada, chirurgo. Costoro, diranno i libri si scuola, combatterono come nessun altro per difendere gli esseri umani,: con poche medicine, pochi computer, pochi soldi, perché i soldi nel medioevo andavano ai fabbricanti di spot pubblicitari, di videogames idioti e di cacciabombardieri.

“L’Europa comunque non corre pericolo”. Ovviamente: due settimane fa il virus era individuato, i pochi casi erano tutti sotto controllo, e insomma non c’era proprio da preoccuparsi. E intanto, sotto i riflettori del villaggio globale, generali e presidenti spiegavano tutti fieri le grandi battaglie che avevano fatto, e che ancora intendevano fare, per salvare l’umanità a suon di bombe. I re del medioevo erano troppo fieri per abbassarsi a studiare i topi che portavano la peste. Quelli di ora, con le loro superbombe e superideologie, non possono certo abbassarsi a pensare che la Sars è già la quarta pandemia nuova e non curabile apparsa in circa trent’anni: Aids, Ebola, mucca pazza e ora questa.
Di nessuna di queste malattie sappiamo esattamente come sia nata, e cosa sia. Nessuna è stata segnalata in tempo. Per nessuna è stata realmente trovata una terapia. Ciascuna, alla fine, è stata catalogata fra le componenti normali del vivere moderno: l’Aids si cura col preservativo, Ebola facendo a meno dell’Africa, la mucca pazza con qualche controllo ex post ogni tanto, e la Sars negandone finché possibile l’esistenza. Se una parte infinitesima delle risorse spese in un qualunque mese di guerra (cento missioni Stealth, mille colpi d’artiglieria o una mezza dozzina di bombardieri) fosse stato investita altrimenti, non c’è dubbio che le terapie ci sarebbero. Ma non era un obiettivo importante. I re del medioevo, feroci e imbandierati, che alla fine morivano di peste.


La politica vera probabilmente è esattamente questa. Non m’interessa se il petrolio dell’Iraq alla fine verrà sfruttato dall’America o dalla Russia. M’interessa chiedermi se davvero dobbiamo andare avanti bruciando barbaricamente petrolio in macchine obsolete vecchie di cent’anni. Non m’interessa sapere se è stato più criminale il criminale Saddam, che bombardava i bambini di una città, o il criminale Bush, che bombardava i bambini di un’altra. M’interessa chiedermi se i soldi di tutti questi bombardieri potranno prima o poi essere usati per combattere gli unici nemici veri, che sono virus e non esseri umani.
Abbiamo la fortuna di vivere in un momento storico e in un luogo – il terzo millennio, l’Europa – in cui molte persone tendono a porsi queste domande, in cui esistono le risorse e le tecnologie per affrontarle e in cui infine esiste ancora una cosa – chiamata democrazia – che può permettere a queste persone di porre insieme e non individualmente queste domande. Sono tre circostanze eccezionali, nella storia umana, e ancora più eccezionale è il fatto che – in Europa almeno – si presentino tutte insieme. Non sprechiamole. L’Europa, contrariamente a quel che sembrava all’inizio, non è affatto l’euro ma qualcosa di fantascientifico che aspetta solo di essere fatto.

Dizionario. Ghetto. Un ghetto è un luogo fisico e delimitato la cui esistenza viene “tollerata” (nell’accezione tecnica del termine) da un’autorità superiore esterna al luogo stesso. La facoltà di entrare e uscirne, e di muoversi liberamente all’interno di esso, non viene negata in assoluto: è però accuratamente centellinata a secondo del migliore o peggior comporatamento degli abitanti di esso. Coloro che sono ristretti in questo luogo appartengono, per definizione, a una categoria diversa da quelli che rimangono all’esterno. Questa categoria viene sovente definita “razza”. Nonostante la formale condanna espressa da quasi tutte le culture – appena tre generazioni fa – nei riguardi di questa istituzione, essa sopravvive tranquillamente in diversi luoghi del pianeta: per esempio a Gaza. Nel che, un osservatore molto estraneo troverebbe qualche motivo di amara ironia.

Lebensraum. “Spazio vitale”: è il posto di cui una tribù ha bisogno – secondo lei – per vivere veramente ricca e felice. Lo spazio originario, ci si accorge a un certo punto, non basta. Noi milazzesi per esempio abbiamo assoluto bisogno del torrente asciutto che sta fra il nostro comune e Barcellona-Pozzo di Gotto e che, per un’ingiustizia della storia, è stato assegnato a loro. L’Inghilterra non poteva stare senza India, la Francia senza l’Africa, l’Italia senza un posto qualunque purché non italiano e i tedeschi senza la Russia intera. Lebensraum è il villaggio croato di cui hanno bisogno (o viceversa) i serbi, oppure la piantata d’ulivi di cui il colono israeliano rivendica l’assoluto bisogno. Su questa faccenda si spalmano poi le politiche e le religioni.

Rappresaglia. Quando è cominciata l’usanza di demolire le case dei civili a fini di deterrenza militare? I primi, se ben ricordo, dovrebbero essere stati i comandi del (primo) Reich durante la guerra franco-prussiana. I francesi facevano i “franchi tiratori” di difficile individuazione e l’Oberkommando reagì decretando l’incendio di un certo numero di abitazioni, scelte a caso, nell’area di presunta provenienza degli attacchi. Questa prassi fu regolamentata dalla Werhmacht nella guerra del ’14 e in quella del ’39 e ne costituì uno dei tratti distintivi. Attualmente, ad applicare con più precisione questi vecchi regolamenti prussiani sono i comandi israeliani, presso cui la demolizione di abitazioni civili a scopo di rappresaglia viene non solo praticata ma teorizzata. In questo, probabilmente, un osservatore marziano troverebbe qualche ironia.
Alcuni giovani americani sono stati feriti o uccisi nel tentativo di opporsi a questa pratica e questo probabilmente è il motivo per cui l’America può ancora essere considerata un paese civile.

Sicilia 1. Per una fortunata coincidenza, l’ultimo palermitano eccellente beccato in un giro di coca, di mestiere faceva l’uomo-immagine: del comune, della regione, del turismo e di tutto il resto. L’anno scorso era toccata a un altro demi-vierge, tale Alessandro Martello, che essendo nel giro del viceministro dell’economia aveva installato un suo piccolo spaccio fin dentro il ministero. Godibile per altri motivi (anni Trenta, Brancati, Sua Eccellenza il Ministro, famelici gerarchi di paese), costui mancava però di un riconoscimento ufficiale da parte delle Istituzioni, e dunque non attingeva alla vetta di perfezione che di un comune e occasionale personaggio di cronaca fa un personaggio letterario, immortale. Mi pare che questo riconoscimento possa essere invece degnamente gue una Sicilia “fatta” non a livello di piccoli parassiti ma proprio di classe dirigente.

Sicilia 2. Una ulteriore cementificazione delle spiagge (qui la chiamano “riordino delle coste”) messa – letteralmente – in cantiere dall’assessore alla Devastazione del Territorio è stata per il momento bloccata dall’intervento di un altro assessore, quello dei Beni culturali: “Dobbiamo valorizzare l’ambiente, non barattarlo per un pugno di voti”. La regione è di destra, l’assessore unno si chiama Parlagreco, quello civilizzato Granata e insomma anche fra i barbari qualcuno è meno barbaro degli altri.

Sicilia 3. Insomma, si può sapere chi ha messo la firma sotto la candidatura (alle passate politiche) di Cecchi Gori? Candidato del centrosinistra a Catania, trombato selvaggiamente e incriminato per contatti con mafiosi, è più di un anno che cerco – per vie traverse – di farmi dire il nome del dirigente che aveva garantito per lui. Ma non c’è stato verso, è uno dei segreti meglio custoditi d’Italia. E va bene, mi arrendo: ditemelo voi, non gli faremo niente, basta che non organizzi più altre elezioni.

Gianni Boschi wrote:
< “Beh, io al mercatino sento parlare di euri. La lingua si fa al mercato e non per legge…”. Mi si sono rizzati i capelli, stando alla tua risposta bisognerebbe parlare e scrivere come fanno al mercatino!?!? A questo punto avremmo una babilonia di dialettismi, oppure ritieni che si debba (come da esempio televisivo) parlare tutti con accento romanesco o al più napoletano? >

Avremo una lingua, bella o brutta, come gli italiani la vorranno. Meglio l’accento romanesco che il latinorum (salvo che non diventi latinorum a sua volta). Pensi che un certo Alighieri, alla Rai di Firenze, s’è messo in testa addirittura di far programmi in dialetto toscano! Dove andremo a finire, signora mia.

Nicola wrote:
< Ciao Riccardo, ti stampo, ti leggo in bagno e ti accumulo tra i fumetti nel bagno… >
:-(
< …un altro mio amico ti ha trovato interessante. Penso sarà contento di ricevere la catena. Ecco l’indirizzo… >
:-)

Libro di lettura (ad uso dei piccoli siciliani, e anche marrocchini, africani, brasiliani e rumeni e di tutti gli altri Paesi).
Il lavoro si chiama: work, lavoro o travaglio, a secondo che sia più facile o più faticoso. I contadini in alcuni paesi si chiamano lavoratori, in altri paesani e in altri ancora semplicemente cristiani. Ci sono uomini e donne ma quando si parla di tutt’e due insieme di solito le parole portano i pantaloni. Alcune parole sono nuove come il ketchup e altre antiche come il panino. Le cose cattive di solito hanno nomi più complicati di quelle buone: mitragliatrice o cacciabombardiere sono più difficili di caramella o cavallo. La lingua di un paese è fatta da tutte le parole usate dalle persone di quel paese, tranne quelle usate proprio per non farsi capire.

Primo Maggio

L’interpopolare

In piedi poveri del mondo
in piedi noi l’umanità
Un sogno sorge dal profondo
di giustizia e libertà

Del passato niente nostalgia
tutto quanto cambierà
Al mondo diamo un’altra via
chi nulla è tutto sarà

Su fratelli, lottiamo
tutti uniti, e sarà
l’interpopolare
fraterna umanità

Niente re, padroni, ideologie,
niente schiavi: libertà!
vivremo in pace e in allegria
la terra a tutti apparterrà

Pace a noi, nel limpido pianeta
che nessuno sporcherà
Coi muri non dividerete
generazione che verrà

Su fratelli, lottiamo
tutti uniti, e sarà
l’interpopolare
fraterna umanità

(Visited 426 times, 1 visits today)

5 Commenti

  1. La riflessione iniziale su San Francesco Vs. il Khan degli avari e’ vermante interessante. PS: Lebensraum e’ una parola tedesca totalmente in disuso, per i motivi ben noti.

  2. Penoso. Colpa degli States pure le malattie. Non sapete più cosa scrivere?

  3. Ebola non e’ una pandemia. Cercare sul dizionario il significato delle parole PRIMA di usarle e’ una regoletta da tenere sempre ben presente.

  4. Ti ammiro, STE: credo che rispondere ad un articolo così ricco ed intelligente con una osservazione da due soldi trasudante tanta pedante spocchia richieda un bel coraggio.

I commenti sono bloccati.