Non ci sono più i G8 di una volta

C’è stato un nuovo G8, e non ce ne siamo accorti: senza polizia non è la stessa cosa. E non è finita qui: la Russia, per la prima volta, vi ha partecipato a pieno titolo. Quindi: o è diventato un G9, o non ci hanno detto chi è stato eliminato. L’organizzazione canadese ha accolto in aeroporto i capi di stato facendo dono a ciascuno di un cappello da cow-boy. Jacques Chirac l’ha sdegnosamente rifiutato. Silvio Berlusconi ha invece accettato di buon grado il pensiero, indossandolo immediatamente e producendosi in un’imitazione del “J.R.” del telefilm “Dallas“, forte della somiglianza con Larry Hagman, l’attore che lo interpretava, e delle caratteristiche condivise con il personaggio: un cinico e spietato affarista senza scrupoli affamato di potere, pieno di sé e con un fratello scemo e invidioso a carico. Il presidente americano George W. Bush, riferendosi all’affaire WorldCom (il secondo operatore telefonico americano, denunciato per una frode da 4 miliardi di dollari) ha invitato gli uomini d’affari ad essere “trasparenti e onesti”. L’ha fatto, con ben poca delicatezza, proprio in presenza di Berlusconi. Per il premier italiano ormai i G8 sono come lo Zelig: la maggiore aspirazione di un comico, l’ambiente ideale per dare il meglio di sé. E per provare le nuove battute. Ne cito solo una, per non incorrere in violazione del diritto d’autore: «Se fossi in Arafat farei un grande gesto: mi dimetterei». Come un pagliaccio triste dentro, quest’uomo, mentre si sforza di divertirci, si trova ad affrontare problemi angosciosi e più grandi di lui. Il più grave dei quali è alto un metro e trentadue centimetri e lo condanna ad avere idee geniali solo quando parla di terzi.

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