L’hit parade delle querele (civili)

Ho letto e analizzato una ricerca sulle querele/cause civili fatte a Roma contro giornali e giornalisti. Sorpresa, le querele attecchiscono sempre meno: i magistrati ne respingono la maggioranza. Poi:

  • Sorpresa, tra i diffamatori più condannati – quando in passato era la stampa di centrodestra – ora c’è il gruppo Repubblica
  • Sorpresa, la media risarcitoria più alta, rispetto alla stampa, ce l’ha Dagospia
  • Sorpresa, Mediaset viene condannata a risarcimenti mediamente doppi rispetto alla Rai
  • Sorpresa, anzi no: il recordman resta Sgarbi coi suoi 800mila euro rifusi al magistrato Agostino Cordova
  • Sorpresa, anzi no: i magistrati giudicano il proprio onore come più elevato rispetto a quello di ogni altra categoria, e i politici in confronto querelano pochissimo
  • Sorpresa, Travaglio aveva taciuto qualche condanna in sede civile
  • Sorpresa, già da tempo l’Espresso vedeva prostituzione dappertutto
  • Sorpresa, ce n’è anche per Giuseppe D’Avanzo.

Qualche sorpresa dunque c’è. Il professor Vincenzo Zeno-Zencovich, lento e inesorabile come una querela, ha analizzato centinaia di sentenze sulla «lesione della personalità» al Tribunale civile di Roma (periodo: dal 2003 al 2008) e rispetto alle sue precedenti rilevazioni ha prospettato alcune inversioni di tendenza che paiono smentire un ruolo delle querele nelle presunte limitazioni alla libertà di stampa, ciò che parte della categoria giornalistica ha paventato di recente.

Anzitutto: a crescere sono i rigetti delle denunce, non gli accoglimenti: su 849 cause civili, infatti, solo 349 sono andate giudizio e quindi 549 sono state respinte: e questo non per questioni procedurali o d’incompetenza (solo 39, per quest’ultimo caso) ma proprio perché, in 510 casi, i giudici hanno reputato che la diffamazione non ci fosse.  Il primo dato interessante, in sintesi, è che negli anni precedenti al 2003 veniva accolto il 60 per cento delle cause civili, ora il 63 per cento è stato rispedito al mittente: un trend diametralmente contrario a quello lamentato da un campione della categoria, Marco Travaglio,  nel suo ultimo soliloquio ad Annozero. Vero è semmai che la categoria ritenuta più affidabile da quest’ultimo e spesso dalla stampa di centrosinistra – i magistrati – negli ultimi anni hanno smesso di condannare perlopiù la stampa di centrodestra: tra i campioni della diffamazione, infatti, figura proprio il gruppo Espresso-Repubblica, e non si vorrà certo credere che l’intera categoria togata faccia parte di una manovra per limitare la libertà di stampa.

E veniamo alle condanne, che nella maggior parte dei casi riguardano giornali e televisioni con l’ingresso a sorpresa, tra i grandi numeri e protagonisti, del sito Dagospia: un primato cui Roberto D’Agostino avrebbe rinunciato volentieri. «Il quotidiano La Repubblica ed il settimanale L’Espresso», si legge nella ricerca, «sono stati accomunati perché´ editi dallo stesso gruppo editoriale»: il quale vanta la bellezza di 45 condanne per un totale di 1’933’000 euro risarciti (in precedenza erano 1380) e una media di quasi 43mila euro pagati per ciascuna causa. Per numero di cause, l’unico a battere il gruppo Espresso è curiosamente Il Messaggero con 48 condanne e però una media risarcitoria più bassa (39,9). E gli altri? Qui altre sorprese. Il Giornale, per esempio, ha solo 6 condanne ma un’incredibile media risarcitoria: 90 di media, 545.000 euro totali. C’è solo un altro media che ha la stessa precisa media: Dagospia, che ha pagato 270mila euro per – ancora più incredibile – solamente 3 cause: 90mila l’una, appunto. Libero se la cava con 8 condanne e una media di 32,5 su 260mila euro totali. Questo per giornali più internet.

Poi ci sono le televisioni, che risultano mediamente più colpiti in relazione a una presunta maggior diffusione dei fatti diffamanti. La Rai ha avuto 13 condanne e una media di 68,4 mila euro: totale 890, in precedenza erano 443. Col le tv del gruppo Mediaset i giudici hanno invece avuto la mano più pesante: meno condanne della Rai (12) ma una media risarcitoria quasi doppia: 125,4 mila euro per un totale di 1505.000: la media è tale, attenzione, già eliminando l’accesso della condanna-monstre inflitta a Vittorio Sgarbi e alle reti Mediaset che il 12 dicembre 2003 hanno dovuto pagare la bellezza di 800mila euro per via di un’esternazione televisiva nello stile ormai a tutti noto.  Per il resto, tra tutti i giornali e le tv, la media risarcitoria è rimasta nel complesso invariata: in precedenza era di 52 milioni di lire e ora è di 32mila euro, un dato inferiore alla rivalutazione inflattiva dell’euro.

Ed eccoci alla classifica delle categorie risarcite. Qui, secondo i punti di vista, ci sono sorprese e non ce ne sono. Solo una tendenza non è cambiata: quella dei magistrati nel reputare l’onore della propria categoria al di sopra di ogni altra, elargendo risarcimenti record ad altri colleghi: 51mila euro a testa di media (su 41 cause, record anche delle cause sporte per categorie) che si riducono però a 33,2 mila una volta eliminata la citata e abnorme liquidazione di 800mila euro riservata al giudice Cordova: nelle precedenti rilevazioni la media era di 35,6 mila euro, siamo lì. Subito dopo i magistrati c’è la categoria un po’ generica «persone giuridiche» (49,2) e militari e polizia (34,4)  ed ecco finalmente i politici con 30,5 mila euro di media, e un numero di cause tutto sommato basso: solo 25, meno degli imprenditori (26) e dei dipendenti pubblici (34) e dei giornalisti, attori, sportivi eccetera: vedasi tabella. La sostanza è che quanto detto da Marco Travaglio, circa la tendenza crescente dei politici a querelare, è una balla. E anche questo è un trend che si conferma.

«Cio` che si nota», spiega la ricerca, «è una sostanziale riduzione della “forchetta” delle medie riguardo alla qualifica professionale». E’ pare una buona notizia. «Non è possibile verificare se la riduzione nel divario sia frutto delle numerose campagne di stampa soprattutto da parte degli organi di informazione maggiormente colpiti», si legge ancora. E qui parla di una vecchia campagna del Giornale, non certo delle tardive lagnanze di chi – Fnsi compresa – sul tema non ha mai proposto ricerca alcuna.

***

Tra le maglie della ricerca di Vincenzo Zeno Zencovich – pubblicata dal Giuffrè –  spuntano anche alcune condanne civili che hanno visto soccombere Marco Travaglio. Una di queste è un perfetto esempio di quel domino diffamatorio che può venirsi a creare, tra giornali e giornalisti amici, quando la macchinetta mediatica è oliata sin troppo bene.

Nel libro «La Repubblica delle banane» scritto da Peter Gomez e Marco Travaglio nel 2001, infatti, a pagina 537, così si descrive «Fallica Giuseppe detto Pippo, neo deputato Forza Italia in Sicilia»: «Commerciante palermitano, braccio destro di Gianfranco Miccicché… condannato dal Tribunale di Milano a 15 mesi per false fatture di Publitalia. E subito promosso deputato nel collegio di Palermo Settecannoli». Dettaglio: non è vero. E’ un caso di omonimia tuttavia spalmatosi a velocità siderale su L’Espresso, il Venerdì di Repubblica e La Rinascita della Sinistra: col risultato che il 4 giugno 2004 sono stati condannati tutti a un totale di 85mila euro più 31mila euro di spese processuali; 50mila euro in solido tra Travaglio, Gomez e la Editori Riuniti, gli altri sparpagliati nel gruppo Editoriale L’Espresso.
Cose che succedono, incidenti del mestiere. Il vizio di prendersela coi colleghi querelati (Lino Iannuzzi su tutti) infatti è di Travaglio, non di altri. E’ del giugno 2008 una sentenza per una querela rivolta dalla collega del Tguno Susanna Patruni – sempre ai danni di Travaglio – dopo che il monologante di Annozero l’aveva descritta come una serva di governo che aveva fatto dei resoconti politici a dir poco parziali: «La pubblicazione difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto diffamatorio», spiega la ricerca. Morale: Travaglio, più l’allora direttore dell’Unità Antonio Padellaro e Nuova Iniziativa Editoriale, sono stati condannati al pagamento di 12mila euro più 6mila di spese processuali.
Il 5 aprile 2005, poi, spunta un’altra condanna di Travaglio per causa civile di Fedele Confalonieri contro lui e Furio Colombo quale direttore dell’Unità: Marco aveva scritto di un coinvolgimento di Confalonieri in indagini per ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era inquisito per niente: 12mila euro più 4mila di spese processuali. La condanna non va confusa con quella che il 20 febbraio 2008, per querela ‘stavolta penale di Fedele Confalonieri, il Tribunale di Torino ha riservato a Travaglio per l’articolo Mediaset «Piazzale Loreto? Magari» pubblicato sull’Unità del 16 luglio 2006: 26mila euro da pagare; né va confuso con la condanna in sede civile al pagamento di 79 milioni a Cesare Previti (articolo sull’Indipendente del 24 novembre 1995) e neppure va confuso con la condanna riservata a Travaglio dal Tribunale di Roma (L’Espresso del 3 ottobre 2002) a otto mesi e 100 euro di multa per il reato di diffamazione aggravata ai danni sempre di Cesare Previti, cui dovrà dare anche altri 20mila euro a titolo di risarcimento del danno qualora la condanna sia confermata. Manca niente? Sì: manca – il 28 aprile 2009 – la condanna in primo grado dal Tribunale penale di Roma (articolo pubblicato su L’Unità dell’11 maggio 2007) per il reato di diffamazione ai danni dell’allora direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce. E mancherebbe all’appello, nel 2004, un procedimento penale per diffamazione aggravata a seguito degli articoli «M’illumino d’incenso» e «Zitti e Vespa» (l’Unità, 12 marzo e 6 maggio 2004) dovuto a una querela di Antonio Socci che decise tuttavia di soprassedere dopo le pubbliche scuse di Travaglio pubblicate sull’Unità: «Riconosco di aver ecceduto usando toni e affermazioni ingiuste rispetto alla sua serietà e competenza professionale, e di ciò mi scuso anche pubblicamente con lui, come ho già fatto in una conversazione privata. Gli rinnovo la mia piena stima umana e professionale».

Per il resto, della ricerca di Zencovich, il gruppo Espresso resta protagonista. C’è di tutto. Il 5 luglio 2005 il Gruppo è stato condannato per querela di Alessandro Cecchi Paone per «commenti aggressivi e connotati da insinuazioni sulla correttezza dell’operato dello stesso, nonché sulla sua mancanza di professionalita` e competenza»: 10mila euro.
Il 23 settembre 2005, poi, già incubava la passione malcelata dell’Espresso: le squillo. Nell’edizione dell’11 ottobre 2002 pubblicavano l’articolo «Tutti pazzi per Mara — il nuovo scandalo delle squillo a Roma» in cui indicavano falsamente un cliente di una certa casa di appuntamenti: 35mila euro.
Il 23 ottobre 2006, ancora, il supplemento «La Repubblica delle donne» fu condannato per aver pubblicato la fotografia di una bambola «Bratz» al fianco di una battona di strada a corredo dell’articolo «Una prostituta in famiglia»: alla Giochi Preziosi andarono 6mila euro, alla bambola non è chiaro.
Sempre il Gruppo Espresso, questa volta su Repubblica, il 27 aprile 2003 riuscì a mandare in bestia anche il grande Lelio Luttazzi: nell’articolo «Luttazzi, 80 anni in jazz» ricordarono la vicenda giudiziaria che negli anni Settanta lo coinvolse  per detenzione e spaccio di droga ma si dimenticarono di dire – sciocchezze – che fu prosciolto in istruttoria perché estraneo ai fatti: 20mila euro.
Una medaglietta, infine, anche per Giuseppe D’Avanzo: il 30 giugno 2008 è stato condannato – assieme a Carlo Bonini e alla Einaudi editore, del temibile gruppo Mondadori – per il libro «Il mercato della paura»  per aver citato più volte un ammiraglio in merito alla vicenda del Nigergate: scrissero che aveva assemblato un falso dossier contenente elementi utili a far supporre l’acquisto dell’uranio dal Niger da parte di Saddam Hussein, materiale che sarebbe poi stato riutilizzato dalla Intelligence statunitense per giustificare la guerra in Iraq. Sciocchezze anche queste. Si legge nella sentenza: «I fatti narrati nel libro non corrispondono al vero». Punto: 30mila euro. Forte dell’esperienza, D’Avanzo avrebbe potuto porsi qualche domanda: invece le pose tutte a Berlusconi.

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34 Commenti

  1. Facci, indovina perché dalla classifica mancano (quasi completamente) il Giornale e Libero (e il Corriere), così come Panorama, mentre la parte del leone la fanno appunto Espresso, Repubblica e Messaggero?

  2. Per Lorenzo: Il conteggio esclude le cause per ‘lesione dei dati personali’ e ‘lesione altri aspetti personali’.

    Per Rufus: le tabelle che riguardano anche tutti i dati sui giornali che citi (meno rilevanti, oggettivamente, tranne quando li ho citati) sono qui:
    http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=NL8WZ

    Per il resto, Rufus – se ti riferisci al fatto che le Giornale e Libero e Panorama hanno sede a Milano – il discorso sarebbe valido per le querele penali, ma il civile è quasi tutto giudicato a Roma.

  3. Per querelare ci vogliono i soldi per gli avvocati. Mica tutti possono ricambiare con un posto in parlamento. E questo è in assoluto l’articolo più vuotamente noioso che tu abbia mai scritto.

  4. Va bene. Ma, mediamente, quanti giornalisti sono stati querelati per aver fatto delle domande, e qual è stato il risarcimento medio?

  5. Ma perchè macchianera si tira la zappa sui testicoli con questi articoli di Facci?

  6. con tanta gente valida proprio Facci ci dobbiamo sorbire?
    che ne dite di un bel calcio nel sedere?

  7. lo chiedo senza fini polemici a filippo facci: quali legami ha con macchianera?
    pensavo si trattasse di un blog di gente che si occupava di trasmissioni radiofoniche.
    ora noto che in main page vi sono molti articoli del filippo stesso, da un pò di giorni a questa parte.
    filippo facci fa parte di uno staff di macchianera o da solamente il suo consenso a macchianera per utilizzare i propri articoli affinchè siano pubblicati e si limita a commentarli?
    non credo, considerando che si tratta di articoli postati direttamente dal facci.

  8. Diamo a Facci quel che e’ di Facci.
    Da quando e’ tornato, questo blog si e’ rivitalizzato: e’ un tonico per i commentatori.

    Personalmente, mi chiedo se ci crede davvero a quello che scrive perche’ a modo suo (anche se fa di tutto per essere antipatico, presuntuoso, prepotente e, a volte, sgradevole) non e’ mica stupido.

    E’ che ha scelto il lato oscuro della Forza. Che spreco.

  9. Ma perchè, eisstono anche le querele civili?
    A me risultava che la querela fosse un istituto di diritto processuale penale…

  10. A Filì perchè fai ancora finta di non capire il senso di tutti questi discorsi. T’hanno segato ormai, puoi iniziare con l’applicare una visione obbiettiva…

  11. lorenzo:
    349+549=849????

    facci:
    Il conteggio esclude le cause per ‘lesione dei dati personali’ e ‘lesione altri aspetti personali’.

    alzi la mano chi ha capito.

  12. sai cosa Facci? sei pesante! ogni volta tento di leggerti ma ogni volta ci do a mucchio. anche se avessi ragione: sei comunque pesante.

  13. Facci, non è vero che “il civile” è quasi tutto giudicato a Roma. Il foro generale (per i meno tecnici: il tribunale dove di solito si fanno le cause) è quello della sede del convenuto (quindi, per Libero, Giornale, Rcs, Mondadori etc, Milano; per Mediaset, Monza; per la Stampa, Torino etc.).
    Poi ci sono altri fori, c.d. alternativi, ad esempio quello del luogo dove è stato commesso o si perfeziona l’illecito, per cui, a volte, anche le cause civili contro Libero & Friends si svolgono a Roma
    Ad esempio, la causa della Rai contro di te, dove si tiene?
    Quindi, sarebbe molto, ma davvero molto interessante vedere l’esame della giurisprudenza di Milano, o di Monza…
    Mi scuso per i tecnicismi (ben pochi, in realtà), però quando si parla di certe cose si deve farlo con cognizione di causa, altrimenti finisce che si strombazzino per verità assolute delle ricostruzioni parziali (nel senso riguardanti solo parte della questione) come quella di Zeno Zencovich, ovviamente perfetta dal punto di vista scientifico, ma limitata al Tribunale di Roma, cioè a meno di 1/10 di tutto l’ambaradan.
    Oppure che si facciano passare per verità corbellerie assolute tipo che la sentenza del tribunale di Milano sia immotivata (140 pagine di motivazione) o ad orologeria (ma li conoscete i termini del processo civile – dico i termini processuali, non i tempi delle cause…) etc. etc.

  14. no, Facci ha utilizzato una analisi scientificamente ineccepibile (Zeno Zencovich è, fra l’altro, uno dei maggiori esperti italiani in materia di diritto dell’informazione, tanto che qualcuno ha, ovviamente con malignità ed invidia, sospettato che sia stato lui a scrivere la legge Gasparri – il quale certo non l’avrebbe potuta scrivere da solo), però limitata appunto alla giurisprudenza del tribunale di Roma, solo del Tribunale (e non, quindi, della corte di appello, per cui non si sa quante delle sentenze citate siano state riformate, in un senso o nell’altro) e solo di Roma (e non, quindi, anche di Milano e Monza, per dire).
    Quindi, il particolare (e ovviamente il particolare che conviene) spacciato per il generale.
    L’analisi c.d. alla Brunetta, invece, richiede che:
    – i dati complessivi siano a capocchia
    – i dati citati siano estrapolati a capocchia
    – l’enunciazione dei dati sia condita da offese al culturame comunista
    – l’enunciatore dei dati rotei nel contempo un nodoso bastone
    – l’enunciazione dei dati sia conclusa dall’intervento di due signori vestiti di bianco che portino via il suddetto enunciatore (quest’ultimo elemento vale solo per i paesi seri)

  15. Per Rufus: parlavo de ‘il civile’ che riguarda giornali e giornalisti, che è giudicato in maggioranza a Roma perché a Roma sono scritti la maggior parte degli articoli di politica e anche giustizia, tutto sommato: comprendendo cioè anche le sedi locali del giornali milanesi o d’altre città. E’ vero che la ricerca è parziale, figurarsi: tuttavia è ben più significativa di «un decimo» (per le suddette ragioni) e comunque permette una comparazione con dati raccolti nella stessa sede. Anni fa – e Zencovich lo sa – feci una ricerca personale anche a mIlano – sul penale – perché è lì che venivano giudicate la maggior parte delle querele del Pool. Ed è interessante, ma è un lavoraccio. Comunque, circa il metodo:

    «La presente ricerca e` la quarta in ordine di tempo effettuata sul quantum risarcitorio nelle cause per lesione dei diritti della personalita` decise dal Tribunale civile di Roma. Rispetto alle precedenti rilevazioni si deve segnalare che le 320 sentenze analizzate costituiscono un campione di quelle effettivamente rese. Per ragioni organizzative, infatti, non e` stato possibile attingere, come per gli
    anni precedenti alla base di dati del CED della Corte d’Appello di Roma, e si e` quindi dovuto ricorrere ad un reperimento casuale presso l’Ufficio Copie del Tribunale.
    Si tratta, peraltro, di un campione estremamente ampio, ben 321 sentenze nell’arco di sei anni, con una media, quindi, di circa 60 sentenze l’anno, pari a quella della rilevazione precedente. L’attendibilita` del campione appare dunque elevata, anche alla luce del
    raffronto con le decisioni di rigetto — anch’esse individuate a campione — che assommano a 549».

  16. facci sei penoso
    qui a elemosinare attenzione per un libro
    tra definiti “mentecatti”
    la dignita’ questa sconosciuta.
    un ladro difeso da un ladro

    uno spalatore di merda
    avrebbe + rispetto di se
    ma tu la tiri la merda

    orgoglio di madre!

  17. Facci, no, insisto, anch’io parlavo esclusivamente delle cause civili inerenti le diffamazioni a mezzo stampa.
    Il fatto è che, trattandosi di illeciti a mezzo stampa, quindi perpetrati di fatto dappertutto, ognuno finisce per scegliersi il giudice che più gli conviene, quanto meno per vicinanza fisica.
    Quanto alla nota di metodo, va benissimo: solo che doveva essere messa come preambolo dell’articolo (di tutti gli articoli che si sono occupati della questione, non solo del tuo), non citata dopo una discussione tecnica. E, conoscendo perfettamente materia, tribunale e numeri dei contenziosi trattati dalla sezione deputata (la prima civile), posso dirti che il campione è molto poco significativo, ad occhio (ma senza pretesa di scientificità, e comunque con una approssimazione assolutamente per eccesso), non più di 1/5 dei numeri reali.

  18. Che il campione sia poco significativo è un’opinione, che sia il più significativo a disposizione non lo è.

  19. Non mi sono spiegato
    Il campione non è poco significativo in termini numerici, ma in termini scientifici.
    E’ lo stesso Zeno che, in fondo, lo dice: queste sono le 320 sentenze che ho trovato, su queste ho fatto il mio esame (e, preciso, Zeno rappresenta un buon numero di soggetti – sempre gli attori, mai i giornali o i giornalisti – in questo tipo di cause, quindi è abbastanza probabile che buona parte delle sentenze su cui basa l’esame lo vedano come legale dell’attore).
    E’ come dire: non ho tutti i dati per vedere quali sono i dischi più venduti, però ho visto i dischi che ho comprato io e ho chiesto ai miei amici quali hanno comprato loro, e così ho fatto la mia hit parade.
    Ripeto, va benissimo, e Zeno nella ricerca lo ha specificato.
    Tu, e tutti quelli che hanno ripreso la ricerca, no.
    E questo va meno bene

  20. pardon, non 320 sentenze (quelle sono le condanne), ma 849.
    e a questo proposito aggiungo: le oltre 500 sentenze di rigetto, quali giornali / giornalisti riguardavano?
    anche questo sarebbe un dato interessante.

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