One and only lonely hearts club band

Poi entrò di corsa negli studi di Abbey Road scansando una piccola folla che attorno all’ingresso stava da sempre e per sempre. George Martin lo guardò e si chiese se davvero facesse sul serio. Paul non era mai stato più sincero: fatto di canapa indiana e sincero. Gli chiese: davvero vuoi la London Simphony Orchestra per questo disco? In abito da sera, sì -rispose Paul. In abito da sera? Già. E voi? Voi come sarete -lo incalzò George? Noi? Noi con i soliti vestiti da idioti di sempre e, George, fa’ portare i cappellini, corriandoli e roba così, ok?


Dovete capire che nel 1967 fare un disco consisteva nel saper suonare, punto. Non c’era nulla, fuorché un registratore i tecnici e il produttore, al di là di te e il tuo strumento. I Beatles decisero che era ora di cambiare. Già essere dotati di un registratore multi traccia avrebbe fatto la differenza, quel disco -quello in corso- ne avrebbe utilizzate 4: quelle che non ce ne erano altre. Oggi su quattro tracce ci mettono la cassa, il rullante e un pezzo di charleston della batteria. I Beatles ci hanno fatto tutto Sgt. Pepper’s Lonely Harts Club Band, spaccando svariati culi a più dell’80% della discografia prodotta nei quarantanni che sono seguiti.

Paul sapeva bene che tutti quanti stavano vivendo un orrendo momento di stanca. La decisione presa l’anno prima di abbandonare i concerti live, George Harrison che dice a tutti “ok, è finita: non sono più un Beatle”, la nuova casa di produzione della quale tutti quanti erano proprietari -Apple Corps. E poi tutte le varie questioni personali, John che era cotto ma cotto tanto. Ringo che era Ringo e bona lì, George completamente schiantato dalle minchiate indiane e lui stesso con Linda che gli frullava in testa già da qualche tempo e lo distoglieva un po’ da tutto. Che fare? Un disco. Ok, un disco ok, ma come farlo? Come intitolarlo? Come cambiare rotta insomma? Nel resto del mondo cominciavano a sbucare fuori gruppi musicali di tutto rilievo che Paul guardava con ammirazione, più per la loro potenza comunicativa che musicale. I Beatles erano fottutamente vecchi e non facevano concerti perché un po’ erano pigri e un po’ avevano preso le mazzate. Una cosa sola sapeva ma la sapeva ben bene: lui e gli altri tre ce l’avevano fatta, erano più famosi di Elvis eppure sono stati i musicisti meno pagati della storia della musica. Per questo si erano messi in proprio e di lì in poi avrebbero amministrato le proprie finanze direttamente. La cosa nel giro di due anni emmezzo li avrebbe completamente sfasciati ma non era questione in quel momento. Paul voleva far resuscitare il gruppo, che era tutta la sua vita porca puttana.

Si infila in studio e tira fuori Penny Lane. Dice, questa è bella George, John ne ha fatta un’altra che è da paura, parla dell’orfanotrofio Strawberry Fields. Facciamo un disco che parla di Liverpool, sì? George Martin gli mise il braccio intorno al collo, paternalmente e gli disse: no, Paul, ci facciamo un 45 giri.

Ma quel che sarebbe stato Sgt. Pepper cominciava a strisciare nella mente di McCartney sempre più chiaramente. La Rivoluzione, quella vera, il colore. La banda dei cuori solitari del sergente Pepe erano loro, erano i fottuti Beatles, forse un po’ fuori moda ma avrebbero ancora una volta saputo garantire qualche sorriso. Il primo pezzo di testo gli venne mentre stava in macchina, guidando da Saville Road agli studios di Abbey Road. Tirava come un treno, il testo. La musica già se la canticchiava in testa da un po’. Saranno stati un paio di giorni. Radunò tutti quanti, fece sentire la prima bozza: chitarra e voce. Da dio. Le altre arrivarono con l’esatta semplicità delle cose che sono un capolavoro prima ancora di cominciare. Whit A Little Help From My Friend, Getting Better, Fixing a Hole, She’s Leaving Home (unico brano non arraggiato da Martin), Lovely Rita, When I’m Sixty-Four… it was so Paul, come ebbe modo di chiosare lo stesso John Lennon. Non che lui si sia tirato indietro. In uno stato a dir poco pietoso partorì brani del calibro di Lucy In The Sky With Diamonds, Being For The Benefit Of Mr Kite, Good Morning Good Morning e l’eterna A Day In The Life. A George lasciarono la sua mensile sega indiana Within You Without You. Nel tempo lo stesso Paul cercò di difendere il brano senza troppo successo.

La copertina fu un’altra follia. Sino ad allora le copertine degli album erano sempre state “la cosa meno dispendiosa possibile” con dentro un vinile. Questa volta, ovviamente no; venne chiamato Peter Blake artista pop londinese… ci pensò lui. Prese quattro fogli e li consegnò a tutti quanti, disse: scrivete i nomi delle persone che vorreste fossero attorno a voi, ora. John ci mise pure Gesù Cristo e Adolf Hitler: l’ho già detto che John Lennon era cotto come un toro? La Parlophone ovviamente mise il veto. Per anni s’è poi dibattuto se vi fossero o meno piantine di marijuana e la risposta è no. Sul retro, a parte un Paul Mccartney di spalle perché in realtà si trattava di Mal Evans con in dosso i suoi vestiti (il Paul vero stava in America in gita premio da Linda), per la prima volta nella storia della musica decisero di mettere i testi delle loro canzoni. Dice, bella cavolata… bella cavolta adesso quarantanni dopo, all’epoca la cosa venne presa con una certa simpatia. In una doppia tasca della copertina un foglio con all’interno un cartoncino dal quale ritagliare mostrine e baffi finti del sergente Pepe. Tutto chiaro?

Il disco era pressocché finito, mancavano solo gli interventi della London Simphony Orchestra. Fu la sera più idiota della swinging London. Ottanta professori d’orchestra in perfetto abito da sera, le luci accese in tutta la via, gli studi di Abbey Road che rilucevano di un bagliore immanente perché, perdio, nello studio tre c’erano proprio loro: con i loro soliti vestiti da imbecilli. Il primo violino indossava quella sera una manona da orso enorme, i timpanisti si scambiavano pernacchie dal suono di trombetta e tutti ridevano, si accordavano sghignazzando… li sentite anche parlare, non serve stare attenti: il cazzeggio è evidente. Poi, d’un tratto Paul: It was twenty years ago today. Quaranta giusto oggi, a dirla tutta, ma poi il mondo è cambiato e roba così non se ne trova proprio più.

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31 Commenti

  1. Complimenti per il post, ma non posso esimermi dal correggere un’inesattezza: il sostituto di Paul per le foto del retrocopertina non era Billy Preston, bensì Mal Evans.

  2. La Apple Corps nel ’67?
    Good morning good morning è di Paul?
    Boh.

    Il disco lo so a memoria, e tutto sommato è inferiore sia al precedente che al successivo.

    Alla fine, se guardi bene, non c’è nessuno dei pezzi veramente conosciuti dall’universo mondo (e i due più famosi, Lucy e Day in the life, li ha scritti John). Era una fase di stanca mascherata coi lustrini.

    Poi, naturalmente, ogni volta che si fa una lista di 33 giri, tutti asseriscono di amare di più Sgt. Pepper. E’ una cosa rassicurante. Ma She’s leaving Home non è Eleonor Rigby; A day in the life non è Tomorrow never knows; When I’m 64 non è Yellow Submarine. Insomma, basta fare un semplice rapporto. E Fixing a hole è irritante come poche altre canzoni di Paul.

    Mi dispiace, ma il mio hobby è rovinare le feste. Mettete via i cappellini, se volete si festeggia il disco bianco l’anno prossimo. Quello sì che ha retto gli anni.

  3. Onestamente il mio disco è Revolver, e Apple Corps è stata fondata nel 68, mi sa che nemmeno stavolta sono riuscito a fare un pezzo da mettere nei libri di storia. mannaggia :)

  4. Hey, ieri ho incontrato un tizio che non faceva altro che giurare che il miglior album dei Beatles è “Abbey Road”….giuro!

  5. Metrovampe, che c’è di strano? George Martin in persona lo reputa il migliore, e io sono abbastanza d’accordo. Se si parla di reggere gli anni come dice Leo, sicuramente “Abbey Road” è in pole position.

    Anche se credo che i dischi reggano gli anni a fasi alterne. Dipende molto da quali sono i “suoni” del periodo presente.
    Nel ’77 ero in via di concepimento, ma non mi sarei stupito all’epoca se il disco più “moderno” dei Beatles fosse risultato “Please please me”, ad esempio.

  6. Leo, il successivo disco è Magical Mystery Tour che tecnicamente era un doppio EP. Non che io incensi Sgt. Pepper’s, preferisco altra roba, ma non puoi dire che MMT sia meglio.
    Good Morning Good Morning è ovviamente di John, l’unico che prendeva le pubblicità e ci faceva su le canzoni – vedi l’anno dopo Happiness is a Warm Gun.
    Però il White Album non ha retto il tempo, mi spiace. Troppo disomogeneo.

  7. @metrovamp: Abbey Road può essere soggettivamente il migliore o no, ma di sicuro è quello fatto meglio.

    Il più innovativo era Revolver, invece.

    Sgt. Pepper è diventato l’album leggendario dei Beatles più per la grandeur che per il suo intrinseco valore.

  8. La vera opera d’arte è il remake dei Bee Gees dei primi anni 80 con Peter Frampton. Tarantino è d’accordo con me.

  9. Io quella ciofeca di MMT non lo computo nemmeno (anche se c’è dei pezzi bellissimi dentro).

    Dal ’66 al ’69 sono usciti 4 LP: Revolver, Sgt. Pepper, il bianco e Abbey Road. Esagero se vi dico che Sgt. Pepper è in assoluto quello che meno mi viene voglia di ascoltare?

    S’aggiunga che nella stanza di fianco quattro sfigati stavano incidendo the Piper at the Gates of Dawn, che è l’unico disco di quel complessino a meritare ancora qualche interesse.

  10. Leo, hai dimenticato un altro mezzo album :-P
    (non che sia da ascoltare, anche se Hey Bulldog è la suoneria del mio telefonino)

  11. ma…ma…ma.. scusate, i vari OasisTearsForFearsBlurSuede e compagnia suonante, non si son tutti (ri)fatti a SPLHCB??
    e poi, riscusate, discutere se sia meglio Abbey o White o MMT o i Pink Floyd o Jimi…è come dire se sia più gnocca la Bellucci o Jenna Jameson. Il bello dei dischi è che puoi amarli tutti, al contrario delle gnocche di cui sopra…:O)

  12. Sasaki, altre inesattezze: ai tempi di Sgt Pepper a Paul non gli frullava ancora per la testa Linda, la quale gli lasciò il numero di telefono solamente nel maggio 1969, alla festa di presentazione della Apple a New York.
    Inoltre, è improprio attribuire A Day in the Life al solo Lennon. La parte di mezzo (da “Woke up, got out of bed, dragged a comb across my head” fino a “and had a smoke somebody spoke and I went into a dream”, frase che causò la censura della BBC al brano).
    Infine, l’orchestra non era di ottanta elementi. McCartney la voleva così numerosa, ma George Martin dimezzò il numero. Alla registrazione di A Day in the Life parteciparono quindi solamente 12 violini, 4 viole, 4 violoncelli, 2 contrabbassi, 1 arpa, 2 clarinetti, 1 oboe, 2 fagotti, 2 flauti, 2 corni francesi, 3 trombe, 3 tromboni, 1 tuba e 1 percussionista. In totale appena 40 persone.

  13. e poi, riscusate, discutere se sia meglio Abbey o White o MMT o i Pink Floyd o Jimi…è come dire se sia più gnocca la Bellucci o Jenna Jameson.

    Personalmente trovavo divertente l’abbinamento dei due concetti.
    “Nel ’67 si doveva essere capaci di suonare, quindi vi faccio vedere come esempio calzante i beatles”.

  14. Mau, menomale che non ha retto il tempo l’Album bianco… e soprattutto menomale che lo decidi tu…

  15. Sasaki, che non lo sai che scampanare fra le gambe ai beatlesiani vien fuori di tutto? :)) Quello che volevo dirti è che ven’anni fa, con LMT, si inventò una specie di sceneggiato radiofonico in onore del Sgt., che venne trasmesso in due parti da Rai Stereonotte il 5 e il 6 giugno 1997. Allora si che erano tuenti irs ago todei. Il documento lo sto recuperando, quel che conta è che da allora Pepper è rimasto mio amico e vive a casa mia: http://www.flickr.com/photos/robertograssilli/tags/sgtpeppers40andlivesinmyhome/ baci, arcobaleni e campane a tutti. R:ob

  16. Ida, grazie per avermi ricordato che non ho alcun diritto di esprimere alcun giudizio.

  17. Un post bello, una ventata di aria fresca, il ricordo dei Favolosi e anche delle loro “pippe”.
    Poteva essere un “diamond in the sky”, e invece, grazie alla pesantezza dei soliti “no, però..”;”in realtà fu solo nel lontano…”;”non sei documentato bene perchè…” ; etc. etc. è diventato un post-farfalla sull’acqua con i pesetti da sub.
    E quando avrete sixty four che c…. diventerete?

  18. (pure a ripescare i numeri di telefono della bonanima Linda)!

    A proposito di bonanime, leggo or ora dell’iniziativa della vedova Harrison riguardo alla vendita on line delle canzoni dei Beatles.
    Dal 2008, sembra.

  19. A stroncare Sergent Pepper ci si sono messi in tanti, perché fa figo – lo hanno fatto molti giornalisti, lo fece Lou Reed, negli anni 70 lo ha fatto lo stesso Lennon per far vedere quanto era “avanti” (e per irritare McCartney, ovviamente). Ma l’unico vero crimine che questo disco ha sul gobbone è che con esso nascono i critici rock. La brutta razza che si mette lì a spiegare cosa vogliono dire IN REALTA’ le canzoni, a proclamare il perché e il percome i Beatles hanno preso un’altra identità, a dire con occhio esperto dove “si sente il lavoro del produttore”, a sproloquiare di sonorità liquide e tappeti acustici, a chiamare Bob Dylan confidenzialmente “mr. Zimmerman”. Se i Beatles avessero continuato a cantare “She loves you ye, ye, ye”, non ci avrebbero inflitto questa piaga.

  20. Non sapevo di essere così figo. Pazienza.
    Ma c’è un’altra possibilità che dovresti considerare: magari lo hanno stroncato in tanti perché non è ‘sto capolavoro.

    Aggiungo che la Bellucci è molto bella, anche se JJ ha un musetto simpatico.

    Ma scusate, voi tutte madonne piangenti per lesa maestà: l’avete mai ascoltato The Kinks Are The Green Preservation Society? No, perché magari vi piace.

    Non è che dovete mangiare fragola e nocciola per tutta la vita, soltanto perché vi piaceva a 12 anni.

  21. no, però giusto un anno dopo si poteva ascoltare qualcosa che VERAMENTE rompeva gli schemi.
    Hai presente i palloni aerostatici di piombo? :O)

  22. dette tutte queste cose, io sono uno che può tranquillamente stare trentacinque minuti di fila ad ascoltarsi Beatles for sale e uscire felice come un bimbo, giusto per rimettere le cose nella loro giusta prospettiva.

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