Interrogatorio Moro /6: Lo scandalo Lockeed

(COMM. MORO, 166; COMM. STRAGI, II 281-282; NUMERAZIONE TEMATICA 6)

Il memoriale Aldo MoroLo scandalo Lockheed è il frutto del 20 giugno, dell’indubbio successo comunista che bilancia l’indubbio successo della D.C. Dico che è frutto del 20 giugno, perché è in quell’atmosfera di maggiore potere della sinistra che matura il proposito di dimostrare che un momento politico è finito e ne comincia un altro. Un altro nel quale la volontà comunista di pulizia e di chiarezza non potrà essere bloccata più dalla volontà della D.C. o, se si vuole essere ancora più precisi, da accordi della D.C. con altri partiti ed in particolare con il Partito Socialista. In realtà il 20 giugno non è soltanto la fine della egemonia della D.C., è anche la fine del suo sistema di alleanze che non si è più ricostituito e neppure si è risolto dopo le intese dalle quali nasce il presente Governo. Cioè nella inquirente non esistono maggioranze politiche atte a bloccare una inchiesta giudiziaria. Salvo per qualche residuo del passato, la D.C. è alle corde ed il Partito Comunista dà la prova della sua forza e della sua intransigenza. Quindi io non ho da dire niente sul processo, sul quale del resto, per alcuni punti, mi sono espresso con forte convinzione. Dico solo che c’è un fatto politico preliminare dietro il caso ed è che i rapporti di forza sono mutati ed il Parlamento di oggi è diverso da quello di ieri. L’oggetto è quindi senz’altro cosa secondaria di fronte a questo fatto politico. Il fatto di cui si tratta, se c’è, per chi c’è è in fondo una cosa minore. E’ scelto quasi a caso nella presumibile boscaglia delle corruzioni in materia di forniture militari, sulle quali dovrebbe far luce l’apposita commissione parlamentare. Non saprei dire che cosa dovrebbe scoprire. Azzardo a caso. Forse uno di questi casi di compravendita, dai quali l’attenzione, tutta tesa al caso Lockheed, potrebbe essere deviata?


(COMM. STRAGI, II 124-126; NUMERAZIONE TEMATICA 6)

Per lo scandalo Lockheed c’è un certo dovere di riserbo essendo in corso il processo dinanzi alla più alta giurisdizione penale italiana. Comunque la prima impressione è che esso nasca in un quadro americano e per ragioni di tensioni interne americane. Per questa impresa aeronautica, che aveva preso molto denaro pubblico e non lo aveva utilizzato per il meglio, non c’era simpatia. C’erano verso l’esterno gelosie e concorrenze, forse risentimenti tenaci e desideri di vendette. In tutto questo si sono innestate ragioni politiche specificamente italiane, credo soprattutto la ferma volontà comunista di dimostrare che con il 20 giugno le cose erano profondamente cambiate, che non v’erano più maggioranze politiche pronte a dare comode coperture, che non vi sarebbero state più indulgenze. L’importante era per loro (e, bisogna riconoscerlo, per l’opinione pubblica) che l’inquirente funzionasse e il Parlamento rinviasse a giudizio. La D.C. convinta fortemente dell’innocenza personale di Gui (del che anch’io sono convinto) non ha capito a tempo che la gente voleva comunque il processo. Vediamo ora cosa farà la Corte Costituzionale, giudice integerrimo. Si può dire che in certo senso il fatto che lo Scandalo, il quale ha acceso le passioni degli italiani, sia emerso casualmente tra altri di eguale ed analoga portata che con ogni probabilità si sono verificati nel corso del trentennio. Francamente mi è difficile immaginare che l’obiettivo, per le connessioni esterne ben note fosse il Presidente della Repubblica o qualche altro personaggio. Si voleva che il meccanismo d’accusa funzionasse, per corrispondere all’attesa di giustizia di tanta parte del Paese. Facendo una giusta autocritica, devo dire che questo aspetto mi è apparso con minor evidenza di quanto esso, psicologicamente e politicamente, meritasse. Preso com’ero dalla convinzione dell’innocenza di Gui, che permane per me molto forte, non ho abbastanza avvertito che nella gente c’era l’attesa che tutto (innocenza o colpa) emergesse da un pubblico dibattito giudiziario. Comunque questa esigenza, accompagnata dalla convinzione di molti, anche non democristiani (Gozzini), dell’innocenza di Gui, ha potuto essere soddisfatta ed è una novità che conta, una novità nel trentennio.
Resta poi da dire ancora autocriticamente, come classe dirigente del Paese per un così lungo periodo, che la fila di quelli che sono chiamati i minori imputati, e la cui lista potrebbe anche essere incompleta, dà quella sensazione di sporco diffuso, di piccolo o medio profitto, di una notevole indifferenza per le esigenze ed i diritti del Paese che contribuisce a dare a questa epoca la caratteristica di un regime che si va corrompendo ed esaurendo, quasi consumato in se stesso dalle proprie irrimediabili deficienze. Anche per questo si è avviliti per quel che è accaduto e per quello che legittimamente se n’è potuto dire. Allora vien fatto di concludere che dispiace, collocandosi in una posizione critica, ma seria del trentennio, sentir dire che erano democristiani importanti che frequentavano il Castello e il Porto privato del Sig. Cruciani e che segnalavano il suo nome per rilevanti incarichi, tra l’altro, nell’Iri, il quale, oltre tutto, assumeva indebitamente la responsabilità e le critiche per scelte che non erano manageriali, ma che non erano soprattutto sue.

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