Le Stagioni di Fellini

fellini2.jpgOggi fa un brutto definitivo. Con tutta questa pioggia la città di Federico Fellini si appresta ad omaggiare il suo Grande Mago locale con incontri di alto livello, e con un museo che apre per la prima volta il suo portone rosso.

Io, immigrato, e forse per questo più sensibile ai piccoli cambiamenti d’atmosfera, sento l’odore di una stagione che finisce. Ma attenzione, da queste parti non si parla di “stagione” così, in maniera oziosa, come capita altrove. “LaStagione, per i rivieraschi, è ovviamente quella balneare, cento giorni che non possono chiamarsi semplicemente estate, dovrebbero avere un nome a parte, un appellativo che sa di ipertrofico e prepotente.

La Stagione” qui si mangia tutte le altre, e quando finisce lascia nella sabbia le vasche sotto sequestro, le assi inchiodate sulle porte degli alberghi, una quantità di uomini e donne nei caffè del centro che apparentemente non fanno nulla: a metà mattina si gustano un Montebianco caldo con la pasta e il giornale locale e hanno un’aria soddisfatta. I basettuti appoggiano il gomito alla tavola da surf immaginaria che sempre li accompagna e guardano le onde con facce da limoni dimenticati fuori dal frigo. Teresa Hagliocchisecchi non è con loro,
e purtroppo non possiamo più chiedere sue notizie a De Andrè. Titta e Baygon, c’è da giurarlo, stanno facendo da zero a dieci sull’arenile, scomettendo su quali bagnini prenderanno la multa. (leggi il resto)


Hanno costruito gli idromassaggi lì sulla spiaggia, perchè i turisti sennò scappano in Croazia, ma si poteva? Non si poteva?. Da più di cento anni Rimini fa la muta dell’esoscheletro ogni sei mesi, si rivolta sulla pancia d’estate, s’aggomitola e si ritira di là dalla ferrovia d’inverno, lontana dai gelati e dalle bandiere. Rimini che mi circonda da qualche tempo, ma solo da tre lati, perchè alle città di mare ne manca sempre uno.

Vivo quindi in un luogo con una sponda mentale in meno, un impasto di vite che verso est finisce di botto, davanti al vecchio mistero del mare.
Qui non si può, come in altri luoghi, come nella pianura da cui vengo io per esempio, immaginare che oltre quelle ultime case e quei pioppi ci sia ancora qualcosa, e qualcosa, e qualcos’altro che non conosciamo perchè indolenti e perchè non ci serve, tanto, inesorabilmente, lui continua a esserci. Fellini diceva che da lì arrivano i mostri, da quel lato mancante pieno di Adriatico.
Lui invece arrivava da Roma raramente e con il mal di pancia, perchè i suoi mostri li aveva domati nei capannoni ermetici di Cinecittà e sapeva che qui, invece, circolavano ancora liberamente. Se oggi vivesse ancora, si arrenderebbe forse all’abbraccio tabaccaio e un po’inquietante della sua città. Conclusa la sua lunga trasferta scontrosa, perdonato il bidone della casetta sul porto, (il regalo promesso dalle Autorevolezze Locali e mai ricevuto), si aggirerebbe in Piazzetta delle Poveracce con la Masina, lui sempre nervoso, lei trasparente, due vecchioni venerati.
Il Museo dedicato a lui, che inaugura proprio oggi vicino alla stazione, avrebbe messo in sicurezza da tempo i suoi famosi mostri, custodendoli con cura per tutti gli esploratori dei sogni del futuro.

Non conosco nessuno come i miei amici di Rimini, nessuno altrettanto soddisfatto di vivere nel luogo in cui è nato. E credo che Fellini fosse profondamente riminese, perchè dalle sue parole dedicate al borgo natìo esce sempre un senso di lontananza non pacificata, non del tutto elaborata, evidentemente, dal transfer operato su pellicola. Peccato che il regista si sia allontanato per sempre prima di aver scritto questo capitolo della sua antologia, le pagine in cui sarebbe probabilmente tornato alla sua Itaca cementificata.

A me viene da pensare che Federico Fellini, fermo incastonato nel tempo da un decina d’anni, sia stato finalmente raggiunto dalla sua città.
Che oggi ne apprezza in pieno la figura, se la gioca e se la studia e forse ha smesso anche di considerarla troppo grande per se’.
Chiusa dunque anche la stagione dell’indifferenza, il più famoso regista italiano da oggi risiede stabilmente fra queste persone, le sbircia, non visto, poi corre in via Clementini, nel suo museo, a buttar giù la loro caricatura.

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