Je suis Charlie

Mi è capitato spesso, in passato, di cercare di spiegare la satira a chi non la capiva. Spesso quelli a non capirla erano amici anche piuttosto vicini e sicuramente cari, e quel che spiegavo loro è che non dovevano affatto capirla: dovevano lasciarsi stupire. Dovevano pensare, proprio come il Gianluca quattordicenne che leggeva Linus e magari capitava su un disegno – volgarissimo – di Wolinski, “caspita, ma quindi, volendo, queste cose si possono dire? E se si possono dire, se non esiste un limite condiviso per tenere le cose buone e giuste da dire di qua e la cose cattive e sbagliate da pensare di là, significa che viviamo in un paese libero”. Se ci pensate, è un momento bellissimo – e non capita di frequente – quello in cui sei consapevole di vivere in un paese libero.

Quel Gianluca quattordicenne, disturbato da un disegno in un modo che non riusciva a definire, si chiedeva allora che cosa fosse esattamente quella strana sensazione. Ed è riuscito a darsi la risposta solo molti anni dopo: quella strana sensazione era la libertà di un altro.

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