La Moda come Frontiera comunitaria 2.0

di Giuseppe Genna

Miuccia Prada: “Io l’autunno e l’inverno li eliminerei: i miei clienti più ricchi vivono tutti al caldo”

Vorrei riflettere sul rapporto tra individui, rappresentazione collettiva e Rete in questo passaggio d’epoca tech. Utilizzo due esempi: l’Amazon di Jeff Bezos che impone un modello precomunitario sul Web 0.0; la case-history della community della casa di moda Piazza Sempione. Risponendo a un’intervista fattami da Vogue (Sfilate e letteratura, a cura di Edoardo Acotto), definivo il complesso Fashion System attraverso categorie di “separazione”…
In quanto Spettacolo, la passerella è allucinogena e separata da un pubblico che guarda, mentre chi ci cammina sopra è letteralmente accecato e non vede coloro che assistono; chi sfila, lo fa attraverso una separazione misurata rispetto a chi sfila prima e dopo, presentandosi quindi compattamente in una finta comunità, dedita alla celebrazione del sacerdozio stilistico, con lo/la/gli stilist* in trionfo; i buyer e i redattori di magazine, le stylist e gli avventori vip a qualunque sfilata siedono tra loro in un silenzio liturgico, ma non certo chiesastico. Questo è l’elemento dominante dal vero e uno degli elementi più interessanti della Moda affrontata da vicino, nella sua impossibilità di toccare la carne – dico <span>l’elemento antichiesastico</span>. Dal vivo, la scena è rotta in due: c’è il backstage, che assomiglia a retrovie di una guerra senza vittime ma satura di panico (il tempo manca sempre) e poi c’è la sacertà laicale della passeggiata sotto fari abbacinanti, un rituale meccanico dove domina la colonna sonora, il cantico del rito. Eppure, è chiaro, la folla che agisce dentro questa scena totale (perfino il backstage è una scena) – questa folla non è un’ecumene, non è una comunità. Si tratta di un evidente esito di ciò che i Commentari alla società dello spettacolo di Guy Debord:

Quando lo spettacolare era concentrato gli sfuggiva la maggior parte della società periferica; quando era diffuso, una piccola parte; oggi, niente. Lo spettacolo si è mischiato a ogni realtà, irradiandola.

E’ una descrizione perfetta della Moda, quella che il filosofo Georg Simmel, già comprendendo il conflitto tra individuo e comunità nella metropoli, a inizio Novecento aveva denominato “vita dei nervi”. E’ un’energia elettrica che attraversa il sistema nervoso collettivo che impone o fa decadere una moda. La realtà stessa, qualunque essa sia, anche la più liquida, è di moda ben prima che essere. Nel mondo spettacolare, cioè nel mondo fashion, la comunità è costretta da un recinto invisibile, assai simile a quelli con cui sono contenuti nei campi di allevamento i bovini, grazie a fili metallici su cui scorre corrente a bassa intensità, che dà microchoc all’esemplare che volesse uscire dal cerchio.

Ecco: ora tutto questo cambia.

L’altro giorno, su Facebook, mi stupivo per la configurazione innovativa che una comunità precisa, legata alla moda, stava assumendo in vista di un’adozione di nuovi modelli di comportamento. La comunità è quella del sito della fashion house Piazza Sempione (www.piazzasempione.com). E’ un sito a cui hanno lavorato amici di web agency che conosco e apprezzo (Uto Pio a Siris, l’agenzia Insana). Ho seguito il progetto assai complesso di piattaforma e di resa anche grafica dei contenuti. Già la mobilità del “wall” mi sembra qualcosa di fondamentalmente differente dalle modalità che il broadcasting della Moda ha sempre utilizzato per presentarsi e affascinare quelli che gli stilisti stessi chiamano consumer: cioè le persone. A seconda delle interazioni e delle proposte, tra community e sorgente viene a modificarsi l’ampiezza rappresentativa dei vari argomenti. Ciò è inevitabilmente destinato a incrementare l’attività comunitaria, attraverso inneschi virtuosi – e al tempo stesso a mutare l’identità della comunità stessa.

Faccio un esempio che più virtuoso non si potrebbe. Nel sito Piazza Sempione, il primo elemento che ho cliccato è stato un quadrotto con la foto di due bambini sudorientali. Si accede a una pagina in cui si viene ad apprendere che Piazza Sempione ha organizzato una mostra fotografica sulle attività di una ong (ProgettoSorriso) che la casa di moda ha sostenuto nel suo impegno in Bangladesh. Un charity program che sarebbe comune e non farebbe scalpore: la Moda da sempre è caritatevole verso chi non può permettersela. La nota perturbante, tuttavia, è giunta accedendo alla community – e venendo in contatto con una miriade di utenti digitalizzati che navigano dall’India e dalle zone attigue. Il meccanismo del “mi piace”, una delle killer application di Facebook, funziona anche nella community di Piazza Sempione – con una differenza: gli utenti dall’India si proprongono come nuovi acquirenti. Essi stessi sono protagonisti di una storia, di una narrazione, nel preciso momento in cui l’India emerge come prima potenza demografica al mondo. Si viene collocando così, di fronte a chi crea la moda e a chi ne fruisce, un confine che la mitografia occidentale conosce bene: è la potenza di sogno della frontiera. A maggior ragione se le contraddizioni interne quanto a reddito sono drammaticamente contraddittorie come in India o in Cina. Quelli che Miuccia Prada chiama “new buyers” implicano mutamenti che costringono la casa di moda a rendersi essa stessa un “wall” variabile. Questa dinamicità, questa variazione e questa capacità di attrazione comunitaria da parte di uno stile (che è proprio l’italian style) prelude alla rinascita del contenuto italiano nel mondo. Non certamente un contenuto fisso, cartolinistico: in questo caso, l’ologramma della Torre di Pisa, in mano a uno dei più che cento indiani di una community, è in grado di raddrizzarsi in tempo reale.

Nutro questo sospetto: così come anni fa Jeff Bezos e Amazon, attraverso la vendita on line di libri, imposero un modello precomunitario al Web, oggi è la Moda con le sue narrazioni e le sue strategie di costruzione di icone e leggende che sta per costituire un paradigma forte per le dinamiche web. La cosa viene dall’Italia, per ora: è bene che le case di moda comprendano questo movimento, prima che si trasformi in un Vajont sotto cui rischiano di restare.

Si pensi che a una recente conferenza stampa, a cui inopinatamente partecipavo, la stessa Miuccia Prada si dichiarava propensa all’abolizione delle stagioni per le sfilate: i suoi compratori “nuovi”, infatti, vivono in Paesi caldi. Dietro questo prometeismo c’è una promessa.

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