PSIcoanalisi.

Ci sono alcune persone di uno sparuto gruppo, a sinistra, che alimentano congressi e animano discussioni al fine di alzare la posta di una loro futura ricollocazione politica: costoro si dicono socialisti, parlano un linguaggio assai datato e soprattutto non vogliono perdere i già annunciati treni che dovessero partire per ridisegnare i rapporti di potere a sinistra.

Questo gruppo di persone è percentualmente molto esiguo: esso somma lo 0,3 dei socialisti di Vittorio Craxi, lo 0,7 del partito di Gianni De Michelis (che però si presentò con la Dc di Rotondi) e il 2,6 dello Sdi guidato da Enrico Boselli (che però si presentò assieme ai Radicali). Difficile ipotizzare, senza la tara democristiana e pannelliama, che i suddetti possano superare il 2 o 2 e mezzo per cento.

Detto questo, il segretario dello Sdi Enrico Boselli ha egualmente annunciato un rinnovato “Partito socialista italiano”, e l’ha fatto coi toni resurrezionali di chi intende rapportarsi, attenzione, non a certe maxi-fusioni partitite che altrimenti rischierebbero semplicemente di escluderli, e neppure alla necessità di far fronte a quel bipolarismo che tende a polverizzare ogni minoranza, e tantomeno all’esistenziale necessità di smarcarsi per avere un consenso che consenta loro, in futuro, di meramente barattare qualche poltrona: no, Boselli ha suonato la lira scordata di una “diaspora” che si andrebbe storicamente a ricomporre, ha parlato di costituente, di sezione italiana dell’Internazionale, di movimento operaio, ha parlato con la stessa attualità che potrebbe avere un congresso di socialisti lombardiani del 1975.

Ma circa i destini e le velleità di questo autentico drappello di poveretti, eccezion fatta per Gianni De Michelis, forse non c’è neppure da fare troppa ironia: non è solo il coefficiente di nostalgismo a non convincere, forse non è neppure la patetica recita politica di chi sembra parlare l’idioma di un altro millennio: a non quadrare è proprio la logica, anzi la cronaca.

Riassumiamola.
Il 5 aprile 1992, a Tangentopoli appena iniziata, il Psi fu l’unico partito che sostanzialmente tenne: perse un solo punto percentuale (da 14,6 al 13,6) mentre il resto del pentapartito ne uscì sfracellato. Il Psi, poi, politicamente, fu polverizzato da tre fattori indiscutibili:

1) l’accanimento giudiziario accompagnato da una fortissima campagna mediatica;
2) il suicidevole e penoso fuggi-fuggi della sua classe dirigente;
3) la repentina modernizzazione e americanizzazione della politica che ebbe a precipitarsi nel Paese per mano di Silvio Berlusconi.

Ora: è stato dimostrato in tutte le salse, con sondaggi e controsondaggi, che i voti socialisti che teoricamente erano a sinistra finirono in stragrande maggioranza teoricamente a destra: in Forza Italia, movimento che si profilò interclassista e pluriculturale nonchè destinato a esprimere più e più equilibri, giacchè da puramente conservatore avrebbe quantomeno dimezzato i propri consensi.
Questo contribuisce a spiegare, ma solo in minima parte, il grande equivoco sulla destra e sulla sinistra italiane.
Altri, già traditori di Craxi della prima ora, personaggi come Ottaviano Del Turco e Giuliano Amato ed Enrico Boselli più il trascurabile Roberto Villetti, finirono invece e appunto a sinistra, proprio in quella sinistra dove sopravvivevano le incrostazioni ideologiche che erano e restano la negazione di quel riformismo autonomista che ora Boselli – senza cambiare i compagni di viaggio – vorrebbe rifondare: il popolo dell’egualitarismo pubblico, quello frontista e antiamericano, gli amici della scala mobile, gli orfani di Berlinguer, i forcaioli, i lanciatori di monetine, la sinistra che inopinatamente nel tempo si rivelerà una forza conservatrice e che viceversa, da destra, dovrà incassare il primo serio tentativo serio di riformare il mercato del lavoro.

Domanda: da allora a oggi è cambiato qualcosa, a sinistra? Poco: a dimostrazione che il riformismo, ormai, appartiene solo a chi se lo prende, appartiene a chi le riforme semplicemente le fa o perlomeno ci prova, si chiami Giulio Tremonti o Nicola Rossi.

Non c’è piccola o grande forza politica, per il resto, che non abbia avuto il problema di ridefinirsi. Piaccia o meno, la recente storia del centrodestra dimostra che perlopiù è la società a produrre un idea di sè attraverso dei partiti, non viceversa. Nel centrosinistra, invece e appunto, seguita a prevalere l’idea che una forza debba produrre un’idea di sè nella società: questo calandosi dall’alto.

E’ per questo che a dilaniare i neo-socialisti, e nondimeno il costuendo Partito democratico, ora, sono anzitutto e ancora una volta le formule, le parole, il nome, il pantheon degli antenati dove mescolare Craxi a Berlinguer a Dossetti a Martin Luther King, insomma fumisterie.

Nota: c’è un bella intervista dove Roberto Cotroneo, su l’Unità di domenica scorsa, al direttore creativo dell’agenzia Satchi & Satchi chiede questo: come potremmo fare a rendere il Partito democratico riconoscibile come brand, come prodotto? Risposta: “Le campagne per i partiti chiedono che ci sia un leader riconoscibile”. E l’intervista era praticamente finita, visto che Fassino aveva appena ripetuto che la questione della leadership non aveva nessuna importanza, perchè le idee vengono prima degli uomini.
Il che sembra un’ovvietà, ma d’altra parte è anche la scuola del Pci.
Forse sarebbe bellissimo un mondo del genere, ma non esiste o comunque non esiste più. Vengono prima gli uomini: se possibile con un programma politico decente, e che possano rispettare. Niente a che vedere con la mentalità della sinistra e di parte dei cosiddetti centristi, seconde e terze file della Prima repubblica.

Ecco perchè nei socialisti, e in generale a sinistra, la seduta di autocoscienza prosegue e la rimozione pure.
Enrico Boselli, dal palco del Palafiuggi, è riuscito a ipotizzare una coerenza tra l’esser stato craxiano, aver rifiutato la segreteria quando il Craxi caduto in disgrazia gliela offrì, aver succesivamente tradito Craxi, esser passato nella sinistra che aveva prosciugato il Psi dopo avergli scippato l’Internazionale socialista, aver fondato l’Ulivo assieme ai comunisti, aver stretto alleanza con Rutelli, essersi alleato coi radicali, aver digerito Prodi: e tutto per svegliarsi un mattino, nel 2007, mentre monta il Partito democratico, per annunciare infine che alt, fermi, si torna al 1893, il tempo è venuto, scocca l’ora decisiva, i socialisti saranno riunificati in Italia come in Europa. Col 2 per cento.
Risuona sempre quella frase di Craxi: tutto vorrei, disse, tranne essere riabilitato da quelli che mi hanno ucciso. Tranquillo, Bettino, non faranno in tempo. Tu sei lì, e sei vivo, loro sono qui, e sono morti.

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