Interrogatorio Moro /5: Il Fondo Monetario Internazionale finanzia l’Italia

(COMM. MORO, 127; COMM. STRAGI, II 396-397; NUMERAZIONE TEMATICA 5)

Il memoriale Aldo MoroIl prestito fatto dal fondo monetario internazionale all’Italia era in negoziato da tempo e procedeva con grandi difficoltà. Le condizioni richieste al Governo, che io presiedevo con l’On. La Malfa, erano così onerose, da farne apparire non realistica l’accettazione in quella forma. I nostri successori accettarono modalità che a non lunga distanza di tempo apparvero irreali e dovettero essere, in un modo o nell’altro, modificate. Ma retroscena vero del prestito è il viaggio del Presidente del Consiglio in America, caratterizzato dalla valorizzazione della semipresenza comunista. Gli Americani volevano significare in vari modi, ed anche con la stipulazione del prestito, che, purché i comunisti restassero fuori dal governo e dessero l’aiuto ritenuto necessario per il risollevamento del Paese, gli americani realisticamente non avrebbero posto questa o quella obiezione. Invece per l’ingresso al Governo non c’era accordo. Concedendo il prestito, in sostanza, si dava un avallo a quello che c’era già, ma implicitamente si chiedeva la garanzia che non si andasse in là verso una collaborazione di Governo. Questo, nella situazione, fu osservato. Vennero poi i fatti nuovi sui quali il giudizio americano credo sia ancora estremamente riservato.


(COMM. MORO, 165; COMM. STRAGI, II 277-280; NUMERAZIONE TEMATICA 5)

Il prestito all’Italia del Fondo Monetario Internazionale ha una lunga storia, perché cominciò ad essere negoziato, quando io ero ancora Presidente del Consiglio con la vice Presidenza dell’On. La Malfa. Vi fu a Roma, a tal fine, il Segretario al Tesoro, Simon. La trattativa fu lunga, ma inconcludente, perché vi era da parte americana incomprensione della reale situazione dell’Italia ed in conseguenza delle richieste così rigide, che noi ritenemmo di non poter accettare. E ciò malgrado il grande valore, morale più che materiale del prestito, come apertura di credito anche politico all’Italia. Giustamente lo ha messo in luce più volte il Ministro Stammati; rigoroso ed intelligente tecnico; cui però sfuggiva sul piano politico che le cifre del disavanzo non tornavano, come non sono tornate dopo, quando si sono fatti i conti con il Presidente Andreotti. Ora è evidente che la stipulazione del prestito ha il retroscena di essere stato contratto dalle due parti per ragioni politiche. Il prestito che giungeva alla sua conclusione dopo tante vicissitudini e nelle circostanze di tempo alle quali si fa riferimento è il segno di un semi gradimento da parte americana del fatto nuovo della non sfiducia comunista al Governo italiano, la quale andava evolvendo in quelle circostanze, non senza traversie, verso un accordo di programma, una intesa sulle cose, ma un’intesa positiva. Si voleva significare che tutto ciò ormai era accettato o quanto meno tollerato e che, pure nelle nuove circostanze, non sarebbe mancato per l’Italia un apprezzamento americano. Per parte italiana il prestito, era come si diceva, un fatto morale più che economico, il segno di una schiarita politica, la fine del “rischio Italia”, la semiaccettazione del modus vivendi con i comunisti. Per questo non si andò molto per il sottile e si ricorderà che, nella data nella quale doveva essere approvato il bilancio, si dette la cifra del deficit soltanto, come un rituale, per la somma, ricordo a memoria, di circa 14 mila miliardi.
Che questa cifra non stesse in piedi, come si è visto chiaramente dopo, non sembrava interessare né il Governo, né la D.C., né, grosso modo, qualche altro partito.
Ma per comprendere bene questa vicenda, anche in tema di garanzie politiche, bisogna riandare un momento al viaggio del Presidente Andreotti negli Stati Uniti. In quel Paese egli giunse e stette come trionfatore, per aver risolto dopo tanto tempo, dopo tanti vani tentativi altrui, l’equazione politica italiana. In sostanza l’On. Andreotti era complimentato con somma enfasi dal Presidente americano per essere riuscito ad utilizzare per il meglio i comunisti, tenendoli fuori dalla porta. Ma molta stampa italiana dava ad intendere che la valorizzazione dei comunisti, il realizzare la concordia nazionale, il far fronte all’emergenza erano cose buone in sé e che gli americani consideravano nel loro giusto valore. Ne vennero una serie di cose contraddittorie, l’apprezzamento per i comunisti e la dichiarazione di Andreotti che tra i comunisti ed il governo c’erano di mezzo le elezioni. E ciò per compiacere il Senato americano. In definitiva quindi si può dire che il (piccolo) favore espresso con l’accordo monetario (perché di investimenti non si è parlato seriamente né prima né poi) significa il tentativo di recupero dell’Italia nell’ambito di una limitata ed esterna presenza comunista nella gestione del potere. E’ questa la posizione nella quale si sono assestati gli americani, fin quando non è avvenuto il fatto nuovo e traumatico della richiesta comunista di partecipare al Governo di emergenza. Questo apre un capitolo nuovo ed incerto della politica americana verso l’Italia negli anni ottanta.

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