Lettera di un condannato a morte della Resistenza

Bianca mia amatissima, mio sostegno e mia vita,
il tuo amore e le tue braccia non mi riavranno.
Sii forte e coraggiosa per la pena che ti è data:
Bianca, mi hanno preso, mi fucileranno.

Me ne vado con l’inverno, con la neve che cade,
col freddo che sfodera tutte le sue spade;
me ne vado con l’inverno e il vento che mi schiaffeggia.
Manca poco a quel momento, Bianca cara: albeggia.

Di’ a Cate che è vero: il babbo ha combattuto,
e non era il tipo da nascondersi in collina.
Dille che m’è cara, e si scelga un buon partito,
ché è bella, è tempo, e ormai s’è fatta signorina.

E se d’amore per qualche giovanotto si strugge,
lascia che quel dolore bruci e poi si spenga,
purché sia convinta che ogni scelta le appartenga,
perché la vita è breve e la giovinezza fugge.

Di Maso, il piccolo, mi preoccupa il bisogno
di posare sul mondo gli occhi ancora bambini.
Dorme male, poco, piange per un brutto sogno,
e si placa solo avendo mamma e babbo vicini.

L’ingenuità che ha, lascia che la coltivi,
così come il suo modo di indagare curioso
le piccole cose, il dettaglio noioso:
degli scettici è l’onore, agli altri basta restar vivi.

Permettigli di odiarmi, se un giorno ne avrà voglia:
scoprirà da solo che la vita è anche battaglia:
d’improvviso capirà che amare perdona.
Anche un babbo cocciuto che oggi l’abbandona.

Di’ a Carlo che si affretti a bruciare le lettere:
a questo punto è sciocco correre rischi.
Che si disfi di tutto, fallo promettere.
E digli anche che gli lascio tutti i miei dischi.

Sta’ vicina alla mia mamma: che non perda la ragione
per il figlio adorato che muore in prigione.
Il suo figlio adorato la tiene nel cuore
e muore col rimpianto di darle un dispiacere.

Veniamo alle cose pratiche, ché il tempo è poco:
la Madonna sul letto nasconde quattromila lire,
e altre due ne deve il Cappa, ancora da restituire;
vedi che te le dia, prima di perderle al gioco.

I soldi sai tu meglio di me come spenderli:
ero io quello tra i due con le mani bucate.
Io ero bravo a metterci un niente a perderli,
a carte, in vino, al gioco e un sacco di altre cazzate.

Ora ti trovi sola, con due figli a cui badare,
e non era così che mi ti ero immaginata.
Non ti invidio: io ci metto un secondo a crepare,
tu hai davanti una vita che non ti sei cercata.

Per questo, Bianca mia, ho da dirti una cosa
che non ti piacerà, ma è che ho a cuore il tuo bene:
se il destino portasse un nuovo uomo a casa,
ai ragazzi serve un padre, quindi non ti dare pene.

Sai, ad esempio, quel Manfredi dalle buone maniere,
l’avvocatino magro ma di belle speranze:
l’ho visto farti gli occhi dolci, dirti scemenze,
e ho visto te, lusingata e indignata, arrossire.

Non voglio dire cose trite e chiaramente non vere
tipo “sarò sempre a guardarvi da lassù”:
lassù, lo sai, c’è il niente, e niente da guardare.
Sarò il ricordo di qualcosa che c’era e non c’è più.

Sapervi senza me mi fa esplodere il cuore,
ma tu sei una donna forte, dal fare risoluto:
vivi la nuova vita con felicità e ardore,
e parla ai bimbi del nuovo babbo, non di quello che han perduto.

Io ti ho amata e ti amo anche in quest’ultimo giorno,
ma a che serve l’amore di uno che muore?
Lascia perdere funerale, fiori, messe e dolore,
e invece onorami invecchiando con i tuoi cari attorno.

Bianca mia amatissima, nel cui seno amavo perdermi,
ci rubano l’amore senza che si possa opporci.
Ma muoio innocente, ucciso da porci.
Ti bacio. Eccoli, arrivano a prendermi.

Gianluca Neri


(Liberamente ispirato a “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”
– 1943-25 aprile 1945 – Einaudi – A cura di Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli)

Postilla: Ho scritto la prima parte di questa cosa a 18 anni. Ci feci un tema a scuola. Sul coraggio, se ben ricordo. Ora, una buona ventina d’anni dopo, l’ho ritrovata e finita. Un pezzo alla volta, prima di addormentarmi, nelle notti in cui avevo solo un iPad ma ero fuori da Internet. E siccome è stata scritta perché mi andava e non pensando a dove dovesse essere pubblicata, allora la pubblico qui.

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