– “Cos’è che non ti piace di Livorno?” – “Tutto”

(Il post che segue è una mia personalissima recensione che scrissi di getto una notte dopo aver visto il film di Virzì, e che poi è rimasta nel limbo, ovvero in quella cartella dove svernano pezzi non finiti, spunti imprecisi o troppo personali per essere pubblicati. E ora che il film è stato candidato a rappresentare l’Italia alle nomination degli Oscar, ho preso coraggio e ho deciso di pubblicarlo. Tutto a vostro rischio e pericolo).

Ciò che mi unisce a Paolo Virzì e a Francesco Bruni (regista e co-sceneggiatore di “La prima cosa bella”) è il sentimento di profondo odio/amore nei confronti di Livorno, con la differenza – non da poco – che io questo sentimento lo manifesto borbottando tra me e me in qualche conversazione con amici o in post senza capo né coda come quello che mi appresto a scrivere, mentre loro lo trasformano in magnifiche storie e in film che fanno struggè .

“La prima cosa bella” è un film profondamente italiano, che parla di cose universali, come l’amore e gli affetti. Sullo sfondo c’è la provincia italiana e, sopratutto, c’è Livorno, che non ha un ruolo da protagonista come in “Ovosodo”, ma che nel mio personalissimo modo di leggere il film è più che centrale. Provo ora a spiegare il perché e intanto sconsiglio la lettura a chi non ha visto il film, anche perché qui sotto si minaccia la “spoilerata”.

Con Virzì e Bruni condivido anche l’esperienza di essersi levati di ‘ulo da Livorno in età più o meno matura. Anche Bruno Nigiotti – nel film interpretato da Mastandrea – scappa da Livorno dopo aver finito la scuola. Ad una prima lettura sembrerebbe che il protagonista fosse fuggito dalla madre: in effetti lui è il primo è a crederlo e probabilmente lo ha sempre pensato, ma quando torna a Livorno per recarsi al di lei capezzale, si riaccendono più vividi che mai i ricordi – i flashback del film – che oggi però riesce a leggere in modo diverso. Oggi si rende conto che quella madre così ingombrante non era poi sbagliata, ma semplicemente era una donna con tanto – troppo – amore da dare. In fondo non era lei quella eventualmente da colpevolizzare. Forse la responsabile era proprio Livorno, la gretta provincia giudicante. Livorno, dietro quella patina di simpatia e di città burlona, sa essere crudele come poche, chiusa, incapace di riconoscere i veri talenti, una città che non ha voglia di crescere o di migliorare, ma al tempo stesso capace anche di grandissima generosità, specialmente da parte del popolo. Anche quest’ultimo è un tema che ricorre spesso nei film livornesi di Virzì, un tema che sulle prime potrebbe sembrare una superficiale e faziosa critica sociale, ma che nasconde una verità: c’è infatti una profonda differenza di animo e di sensibilità tra i ceti più bassi e la media alta borghesia labronica che Virzì dipinge spesso come ipocrita ed egoista.

Bruni e Virzì raccontano Livorno splendidamente, come è normale per chi ci ha vissuto per oltre 20 anni, e lo raccontano attraverso alcuni personaggi. Ecco allora ecco il personaggio del Nesi, che lo vorresti continuamente abbracciare, il medico della madre con la voce rosi’ata dai ponci e dal libeccio che riesce ad essere al tempo stesso franco e diretto ma anche rassicurante (chi lo interpreta non ha fatto fatica a recitare, è infatti davvero il dottore che opera nell’Unita Cure Palliative Hospice di Livonro), il negoziante del negozio di pesca segretamente innamorato di Anna o il logorroico marito di Valeria. Abbracciarli forte e volerli bene.

Così, in una sorta di somma algebrica del cuore, Bruno prova a fare i conti con Livorno, e alla fine che combina? Decide di andare a fare il bagno in mare. Il mare che è la grande culla, la madre generatrice e centro nevralgico della vita e dei pensieri dei livornesi ma che, al tempo stesso, è anche capro espiatorio di tutte le inefficienze e complice del compiaciuto declino della città “’mporta una sega.. tanto ci s’ha ‘r mare”.

Anch’io sono scappato da Livorno per un bel po’ di tempo, poi per i casi della vita – essendomi nel frattempo sposato e moltiplicato – abbiamo provato a tornarci a vivere, abbiamo desistito e ora la osservo e la vivo in quella che stoltamente penso sia una “giusta distanza”.

E così succede che un film, la semplice storia di una famiglia lontanissima dalla mia, ti fa rimettere tutto in discussione.

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8 Commenti

  1. ho visto il film solo l’altro ieri e ne ho scritto un breve cenno sul blog, ma il tuo articolo mi ha dato un’altra chiave di lettura. Non avevo fatto caso al fatto che Livorno fosse così presente e me ne sono accorto solo alla fine, quando ne ho visto il mare.

  2. da qui anche l’abilità di Virzì ad aver fatto recitare in modo credibile (e non macchiettistico) tutti attori non livornesi (cosa che purtroppo non verrà presa in considerazione fuori dai confini italici).

  3. Chissà perchè, scappano tutti per altri lidi criticando, e non rimane nessuno per cercare di cambiarla, migliorarla.
    Poi c’è la nostalgia, la tristezza, la voglia, il volergli bene, ma sempre e solo con la mente e il corpo da un’altra parte.
    Tu pensi che le città si cambino da sole, oppure che si interroghino e si perplimano perchè te ne sei andato riconoscendoti come elemento dal valore irrinunciabile?
    Ma si… c’importa una sega che tanto c’abbiamo il mare e non è poco di questi tempi.

    Riccardo.

  4. Cari Livornesi,
    perdonatemi se parlo bene di voi, per motivi di lavoro ho a che fare con molti popoli italici, ebbene, a mio avviso, nessuno è come i Livornesi: gentili, educati, sinceri, affabili, cordiali, onesti e intelligenti. A nord si avvicinano a Voi i parmensi e a sud i leccesi.
    Augh, ho detto.
    Poi arrvio in città e mi becco una secchiata di merda ;-)

  5. Della mia città di nascita, trasversalmente dal ceto sociale di riferimento, posso riassumerne l’anima più becera del presente periodo (anche dopo averne scorto molti lati buoni, soprattutto per merito di miei parenti ed amici-colleghi di sports della mente) , essenza già scoperchiata un decennietto fa da qualche saggio cabarettista locale come herr Bagnoli o dame Pasqui, riportando la seguente, assai condivisa, verità: <>.
    distinti saluti,
    Vostro Lucas
    (*nel senso più letterario: “si trasforma in”)

  6. La verità, che sul commento stranamente non è apparsa, era: (riferito alla corsa a riparo dai rischi contagio Covid) d’improvviso un labronico su tre si fa* Sgarbi o Brigliadori, nonostante fino a ieri ne avesse sempre detto strafalcioni…

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