Li chiamavano “cazzari”. Di mestiere.

Succede questo, e lo avrete già letto quindi non sto qui a dilungarmi. Siamo a qualche giorno dalle elezioni politiche a Cuba, nell’Aula Magna dell’Università di Scienze Informatiche, quando alcuni ragazzi pongono domande precise, nette, aspre, senza vuoti diplomatismi: a quell’età si fa così, se non ve lo ricordate. Lo fanno anche perché c’è Ricardo Alarcón, presidente dell’Assemblea Nazionale del Poder Popular.
Qualche giorno dopo il video dell’incontro viene caricato su YouTube, e qualche giorno dopo ancora se ne accorge el nuesto Corriere della Sera che – con sforzo giornalistico – non contesta il palinsesto della TV di Stato cubana che pure non ha mandato in onda il video (solo a Cuba certe cose, che diamine).
Le questioni critiche mosse da Alejandro Hernandez ed Eliécer Ávila Cicilia, colleghi dello statunitense Andrew Meyer, sono di quelle calde nel paese, non estranee a precedenti dibattiti pubblici. (Chiunque abbia la voglia di leggere qualche saggio di ricerca di studiosi cubani residenti a Cuba, troverà non meno ammonimenti di quanti ne possa ricavare dagli studi dei colleghi italiani). Alarcón risponde, nel merito, con più o meno successo, e direi molto meno.
Ora, servirebbe un libro per discutere compiutamente delle critiche avanzate – che per quel che serve non condivido, di più: Cuba merita quelle domande perché merita lo sforzo decisivo d’evolvere sulle proprie fondamenta – quindi lasciamo stare, l’editoria è in difficoltà già di suo. E poi il punto è un altro.

Balenava ieri l’ipotesi (travestita da notizia figlia delle soliti
fonti attendibili, le stesse per cui Fidel era morto di cancro e con lui mezza
Cuba per un’epidemia di dengue) che Eliécer Avila Cicilia potesse
essere stato arrestato pochi giorni dopo la pubblicazione del video, il
9 febbraio, e finanche trasferito dal municipio di Puerto Padre (Cuba
Orientale) all’Havana (Cuba Occidentale).
Speculazione su speculazione, la stampa spagnola scriveva di timori circa possibili rappresaglie sulla popolazione studentesca.

Nemmeno il tempo che el nuestro Corriere fotocopiasse le speculazioni, e Eliécer Ávila smentisce tutto, pure con la pacatezza non richiesta di chi trova
normale – dacché ricorrente da quelle parti – star lì a spiegare che un terzo della stampa ha scritto fesserie interessate, un terzo le ha fotocopiate e solo
l’altro terzo – il più sveglio – è stato zitto per quel vizietto
obsoleto del giornalista che verifica le notizie, contro il quale
proporrei una modaiola moratoria, che le incrostazioni del passato
vanno superate.

Siamo al limite del ridicolo, ma è una Colonna d’Ercole che si muove, quindi ce n’è di strada ancora. Avanti pigri viaggiatori.

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