E’ uscito Hitler (si spera per sempre, dalle nostre vite)

hitler_romanzo_genna.jpgApprofitto spudoratamente dell’opportunità che Gianluca Neri concede ai suoi adepti: quella di praticare marchette gratuite. Lo faccio invocando pietà: acquistate, così io mangio. Acquistate anche con lo sconto di 4 euro (qui), ma fatelo, pensate ai miei succhi gastrici.
La pauperistica premessa è per annunciare che è in tutte le librerie l’ultimo romanzo pubblicato dal sottoscritto: si intitola Hitler ed è il primo romanzo al mondo sulla vita petecchiale del più grande carnefice della storia umana, dalla maledetta culla al benedetto bunker. Sul mio sito (che è ospitato sempre da Gianluca Neri, ma ciò non vuol dire che abbiamo un DICO in corso, io e lui) c’è un’abbondanza imbarazzante di riflessioni su come è nato ed è stato steso il libro, in una sezione appositamente dedicata (anche perché, se l’avessi dedicata casualmente, sarei un cretino, il che non esclude che comunque non lo sia).
Qui di seguito, il primo capitolo, che pubblico su Macchianera con una mossa geniale di marketing virale.
Un particolare ringraziamento a Gianluca, al quale ricordo che ho dimenticato le mutande sotto il letto, passo io stasera a riprenderle…

* * *

Lambach (Austria), marzo 1897

Confrontatevi con lui.
Considerate se questo è un uomo.

hitlercovermedia.jpgÈ scatenato nei cieli, immenso, invisibile, entra nel tempo e ne riesce, digrigna i denti giallastri, immensi, i suoi occhi di brace illuminano tutte le notti future.
È il lupo della Fine, si chiama Fenrir.
Gli antichi nordici sapevano che un giorno avrebbe rotto il vincolo. Fu allevato nella terra dei giganti, fu fatto rinchiudere da Odino e serrati i suoi arti con una catena che i maghi prepararono con rumore del passo del gatto, barba di donna, radici di montagna, tendini d’orso, respiro di pesce, saliva di uccello – alla vista e al tatto sembrava un nastro di seta, ma in realtà nessuno avrebbe potuto spezzare quella catena. E in attesa della fine, il lupo Fenrir è rimasto recluso, a ululare, a sbavare, a tentare di spezzare il vincolo.
E ora è riuscito.
Da fuori del tempo cala nel tempo e nello spazio, percorre ciclopico i vasti cieli europei, annusa i confini e marca il territorio, urina piogge acide sulle frontiere della Germania, ulula e stride, stalattiti di ghiaccio pendono dal suo ventre unto, le zampe cavalcano l’etere, velocissimo, non sa nulla, ispeziona con le narici dilatate, è il mostro dell’avvenire, il portatore dell’apocalisse.
Apocalisse significa: rivelazione. Rivelerà a chi?
Gira a vortice, a spirale, sull’Europa pronta al disfacimento. Sulle case borghesi. Sui patriarchi che tengono alla propria onorabilità. Sulle mogli accantonate. Sui molti bambini cresciuti a bacchettate. Sulla natura iridescente del pianeta che si prepara al degrado.
Di tutto ciò, il lupo Fenrir non vede nulla: sono forme che ai suoi occhi accesi evaporano. Il tempo è una breve distrazione tutta umana.
Ed ecco che l’olfatto capta.
Intercetta l’odore ricercato. Ecco la traccia. Avverte la presenza della non-persona. A lui si legherà, perché entrambi sono niente, e cresceranno insieme, e il lupo Fenrir apprenderà dal non-umano, si riempirà, si gonfierà di liquami e tradimenti e orrori non suoi, scaturiti da quello zero che non è una persona, e l’odore di quella annusa nell’aria e dunque precipita. Verso l’Austria, a capofitto, lasciandosi cadere attraverso i gradi multicolori dell’arcobaleno, perforando l’aurora, l’alba, le fasi del tempo umano, le ore trascorse.
È qui.

I due bambini hanno sette e otto anni e si sono staccati dal gruppo. Fa sera, cala buio, seppure le giornate stiano tornando ad allungarsi. I padri severi, così anziani e brutali, nelle case ordinate e pulite del piccolo paese di Lambach, li puniranno a cinghiate. Tutto il pomeriggio hanno giocato agli indiani, il bambino di otto anni era scatenato, ordinava e gestiva il gioco, e poi di un tratto ha detto all’altro bambino: «Andiamo nei boschi. Esploriamo la giungla africana».
E adesso che la tenebra cala, e il fondo del bosco è a tratti soffice e in certe zone melmoso, loro calpestano, lievi, le foglie marcite dell’inverno trascorso. Conoscono il bosco, cercano la radura ombrosa, nel semibuio.
Scostano rami gemmati, aggirano i sempreverdi. L’aria è pungente, ammoniacale.
Ecco la radura.
«Tu fai il negro» dice il bambino più grande «e io il cacciatore bianco e ti sparo.»
L’altro bambino protesta, urla che il negro non lo fa, ride, inizia a correre indietro gridando, a perdifiato, si graffia tra i rami, cade nelle marcite del sottobosco, si rialza, non ha voce, esce dal fitto degli alberi, corre nella strada polverosa bianca, ora è buio, vede la sua casa, entra spalancando la porta, e suo padre urla e estrae la cinghia, la scena drammatica famigliare ha corso, la madre cerca di interporsi tra la cinghia e il suo piccolo figlio, il padre urla, il bambino va recluso nella stanza.
Stasera non mangerà.

Il bambino più grande è rimasto solo nella radura buia. L’erba è fosforescente.
Dice tra sé: “Io ero il bianco”. Pensa: “Vado a casa”. Pensa che prenderà cinghiate dal padre.
Non fa in tempo a muovere un passo.
Come un nero asteroide, fatto di basalto illuminato dalle gocce di condensa, appare improvviso il lupo: gigantesco, alto più di un umano adulto. Puzza. Cola bava dalle fauci mostrate. Ringhia: un rumore continuo, non animale ma geologico, sembra che si scuotano le fondamenta della terra. I suoi occhi accesi di rosso fuoco fissano il bambino di otto anni.
Il bambino è immobilizzato dal terrore. È paralizzato. Fissa gli occhi fissi nelle pupille di brace dell’enorme lupo. Belva che puzza di cadavere umano. Mosche, moltissime, ronzano attorno al suo corpo colossale.
Sono immobili e si fissano.
E il lupo, all’improvviso, parla – una voce fatta di spilli e di sisma, il bambino fatica a restare immobile, e il lupo Fenrir dice: «Tu sei ciò che sei. Imparerò da te, perché io sono niente».
E all’ultima sillaba l’animale aziona la macchina dei suoi muscoli titanici, è titanio per aria, balza nel cielo notturno chiaro, a velocità sorprendente, e il bambino riesce a stento a cogliere la scia luminosa che scompare senza traccia.
È fermo sulle sue gambe magre, fragili.
Sta iniziando a scordare il lupo, come un sogno, come l’allucinazione che vaticina.
Senza paura si muove. Dà le spalle alla radura, ripercorre il tratto di bosco fino alla strada chiara che sembra fosforescente nella sera di Lambach. Si dirige alla casa dove suo padre ha portato la famiglia a vivere, chissà per quanto, dopo tanti trasferimenti.
Il padre che odia.
Il bambino apre la porta. Sa che è tardi. Si attende la punizione. Qualunque bambino se la attenderebbe.
Con voce monocorde dice: «Ho visto il lupo Fenrir».
E suo padre si alza da tavola, estrae la cinghia, la madre cerca di trattenerlo, il padre urla: «Adolf Hitler, hai passato ogni misura!» e la cinghia si abbatte sul bambino, come si abbatte su tutti i bambini in questi anni umani che preludono ai disastri.
La cinghia non fa la differenza.

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14 Commenti

  1. periodi lunghi, lirismo e abbondanza di aggettivi altisonanti (tra cui segnalo due “fosforescente” in dieci righe, che ci sia una cava di fosforite nella zona?); senza dubbio un approccio originale al tema delicato del personaggio storico. la bella copertina dell’edizione mondadori e il titolo aiuteranno le vendite ma io lo comprerei solo per criticarlo fino in fondo.

  2. Non parlo del libro, però l’umorismo così scontato – che non avete un DICo e la storia delle mutande sotto il letto – non dispone bene. E’ bene sempre separare l’autore dalle sue opere.Qui commeno lo scrivente, molto poco spiritoso – e non voglio neanche aprire la polemica e dire che finché esisterà questo umorismo inutile sul fatto che due uomini faccio cose assieme e debbano sempre farci sorridere sottolineando che..ecc fino a che ci sarà questo mi verrebbe da dire, Hitler sarà pure uscito, ma s’è tagliato i baffetti e aspetta fuori la porta. Però non lo dico, no. Dico..che dico? Sto zitto che è meglio.

  3. Finchè continueremo a cercare in Hitler, pur allegoricamente, una natura diversa da quella umana (il Maligno nella sterminata letteratura o il Lupo nel caso di specie), non riusciremo a lasciarcelo alle spalle.
    Accettare l’inaccettabile verità che la nostra stessa specie possa produrre simili abomini è il primo passo da compiere perchè epoche simili restino relegate alla Storia.

  4. E’ dai tempi della Pelle del drago che non mi lascio scappare Genna. Francamente preferisco spendere gli euri piuttosto che aspettare le eternità dell’ibs

  5. Anzitutto: grazie a David!
    Poi: un messaggio per C:\arlo: la tua analisi è indefettibile, concordo pienamente e il tentativo del libro è proprio quello che indichi. Dalla lettura del primo capitolo può apparire che io usi Fenrir come Mailer ha usato il Diavolo in THE CASTLE IN THE FOREST. Tuttavia non è così, è proprio il contrario. Il Lupo discende e dice a Hitler che è vuoto, che si riempirà di quanto farà Hitler stesso. Viene negata la mitizzazione, non c’è invasamento mitologico. Concordo davvero totalmente con la tua opinione, è il fulcro del lavoro: demitizzare l’antimito, che è comunque mito.

  6. Leggere Giugenna non è facile. Lui stesso è un lettore difficile. Qualunque cosa scriva è zeppa di riferimenti, citazioni, lemmi evoluti all’ennesima potenza esposti puntigliosamente a schiaffeggiare – involontariamente, certo – l’ignoranza del lettore medio. Né la sua scrittura è priva di nessi medianici o richiami esoterici. Dopo La grande Madre Rossa e Medium non penso leggerò Hitler, dev’essere un macigno ‘sto libro. Il primo capitolo messo generosamente on line è già una mazzata.
    Tuttavia l’ex ragazzo prodigio, apparso timido timido in tv da Dariuccia Bignardi non molto tempo fa, dà l’impressione di essere diventato un uomo prodigio. I media si stanno finalmente interessando a lui, e la sua precoce e infinita capacità di studio e di analisi che sfocia in uno sterminato estuario culturale in continuo aggiornamento potrebbe lanciarlo e farlo permanere, attenzione ora strafaccio e predico e stradico, nell’olimpo dei più grandi pensatori e scrittori italiani di questo nuovo secolo. Augh!

  7. Beppe, mi stai simpatico. Il capitolo uno mi prende bene. Ti compro il libro, valà. Basta che non usi i miei euri per andare a puttane. Promettilo.

  8. Grande Beppe! Non c’è nessuno che riesce a eguagliare la tua capacità descrittiva.Il primo capitolo promette bene.Corro a investire gli euri…

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