Meglio fabbro che monsignore (e il 25esimo de I Siciliani)

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Di Padre Concetto Greco ne avevo già parlato qui, quando Fabio D’Urso lo aveva incontrato per Casablanca nell’intervista-reportage: “Meglio fabbro che monsignore“.
Qualche giorno fa Padre Greco è morto, e Riccardo Orioles lo ricorda nella sua Catena di San Libero n. 356. Ricordo che si incrocia con le sue riflessioni per il venticinquesimo anniversario della nascita de “I Siciliani” di Pippo Fava. Buona lettura
.

E’ morto un prete a Catania, che si chiamava padre Greco. Non è una notizia importante e fuori dal suo quartiere non l’ha saputo nessuno. Eppure, in giovinezza, era stato un uomo importante: uscito dal seminario (il migliore allievo) era “un giovane promettente” ed era rapidamente diventato coadiutore del vescovo. Io di carriere dei preti non me ne intendo ma dev’essere qualcosa del tipo segretario della Fgci, e poi segretario di federazione, comitato centrale, onorevole e infine, se tutto va bene, ministro. Comunque lui dopo un anno si ribellò. Che cazzo – disse a se stesso – io sono un prete. E il prete non sta in ufficio, sta fra la gente.
Così, fece domanda per un posto di parroco nel quartiere più miserabile di Catania, al Pigno. Lo accontentarono rapidamente: non c’erano rivali.Lasciò il palazzo del vescovo, e andò a vivere lì: benedicendo, consigliando, aiutando, difendendo la gente – un prete. Questo per quarant’anni. Poi è morto. Il vescovo ha mandato le condoglianze, sul giornale locale è uscito un trafiletto. La gente del Pigno ha pianto. Tutto qui.

Io, quando l’ho saputo, ho pensato d’istinto al segretario del Pci del
mio paese, Tindaro La Rosa. Anche lui, giovane avvocato, aveva piantato
tutto per andarsene a stare in mezzo ai contadini. Anche lui,
quarant’anni di lotte e fatiche in mezzo ai poveri; uno di loro. Anche
lui, come Concetto Greco, era un uomo colto, un intellettuale (padre
Greco è stato uno dei primi lettori della Catena. Seguiva gli
avvenimenti del mondo; scriveva su internet, la sera); sapeva
improvvisare brindisi in rima, citare con proprietà Marx o Croce. Ma
questo eccezionalmente, come riandando un attimo – e non senza
rimpianto – al mondo da cui era volontariamente uscito. Anche lui,
dalla vita, ha avuto un premio solo: i proletari piangevano, al suo
funerale. Come per padre Greco, come per i Licausi o i Torres, per
tutti quei poveri maestri che a un certo punto hanno deciso di mettere
la loro vita là dove mettevano le loro parole.

Questa non è una storia di preti: si parla proprio di noi, di noi
intellettuali. Le stesse gite sull’Etna, gli stessi libri, la stessa
ingenua ambizione e la stessa pietà umana hanno attraversato la
gioventù del ragazzo Concetto e di qualche suo coetaneo “di sinistra”
(ho dei nomi) della Catania di allora. Ma non con lo stesso esito:
nell’uno ha prevalso la “politica”, nell’altro la pietà. Cioè,
marxisticamente, la soprastruttura e la struttura. Di due ragazzi,
così, uno diventa un “intellettuale organico” (al proletariato, alla
classe) cui Gramsci stringerebbe volentieri la mano; l’altro un
mandarino dell’establishment, di destra o “di sinistra” importa poco.
L’illustre professor Barcellona, teorico insigne ma mai visto al Pigno
(o contro i cavalieri) è di destra. Il povero padre Greco (ma lui,
leggendo “povero”, sorride con ironia) è decisamente la sinistra. E il
primo sospira, s’agita, si dibatte (la “crisi del marxismo” e compagnia
bella), il secondo tranquillamente va per la sua strada,

sapendo che altri andranno avanti dopo di lui. E già in questo momento,
nel povero quartiere, ci sono ragazzi che girano, studiano, impaginano
il loro giornale: gratis, tranquillamente, per il puro piacere di fare
una cosa utile alla loro gente. Un giorno, se avranno tempo,
spiegheranno ai compagni “politici” cos’è la rivoluzione. O forse no,
perché teorizzare tutto sommato non gl’interessa.

*

Tutto questo anche per spiegare perché io non me la sento di
partecipare ? ma lo dico senza polemica, affettuosamente ? alle
celebrazioni per il venticinquesimo anniversario dei Siciliani, agli
incontri. Ho avuto degli amici bellissimi ? Elena con la medaglia di
cartone, un giorno che era tornata da una missione difficile,
ritagliata ridendo e appesa solennemente al collo come gioco – ma lei
ed io sapevamo quant’era meritata davvero, fosse stata anche d’oro – e
Miki accanto a Lillo sul camioncino, visi seri e tranquilli, che
portava le copie a Roma ? non sapevamo se il camion sarebbe stato
attaccato lungo la strada ? e Claudio che inghiotte duro e passa i
pezzi ? e Antonio e Fabio e Rosario e Graziella e Cettina e tutti gli
altri. Ma ne ho anche altri nuovi. Coi più dei “vecchi”, siamo ormai
separati da vite assai diverse: non migliori o peggiori; ma differenti.
Graziella è rimasta qui (è grazie a lei che si fa Casablanca), a far le
cose di prima; non so se ha fatto meglio lei a continuare o altri a far
altre cose; intanto è qui.
Non vengo, alle celebrazioni, perché non ci siamo tutti. I Siciliani
erano anche altri, oltre a noi quattro o cinque più conosciuti; ma
troppi sono i “non importanti”, i dimenticati. (Noialtri non siamo mai
stati un “io”, a quei tempi, o una somma di “io”, ma un “noi” umile e
orgoglioso). I Siciliani non siamo stati solo noi ma anche la
generazione seguente (Fabio, Rosalba, Gianfranco, Maurizio, Nuccio,
Rossana, Vanessa e gli altri trenta), e quella dopo; e ancora oggi, in
un certo senso, spuntano nuovi ragazzi dei Siciliani. Non è stata una
storia nostra; è stata “anche” nostra, con molte più articolazioni di
quel che si crede – i Siciliani, l’Associazione Siciliani,
SicilianiGiovani; poi Avvenimenti, l’Alba, di nuovo i Siciliani… – e
la differenza è importante (una storia di tanti non può essere
folklorizzata e digerita).

Ma soprattutto perché i Siciliani non si celebrano: si fanno. Altri
ricordino con nostalgia i “loro tempi”, quando Lotta Continua, quando
quella manifestazione, quando il sessantotto… Noi dei Siciliani non
abbiamo nessuna nostalgia, niente da ricordare. Per noi non c’è un
passato finito, da “ricordare”; c’è un lavoro che sta continuando, un
presente, in cui conta poco il singolo, ma ognuno è un preciso anello
di una catena, qui ed ora.

Così, in questo momento, non sto facendo nulla di sostanzialmente
diverso da venticinque anni fa. Scrivo, organizzo, impagino, cerco di
dare una mano. Nulla d’indispensabile, di “importante”, di “mio”. Ma
utile sì, utile e collettivo. Casablanca ? ovviamente ? non è i
Siciliani. Ma ne è una fase, un anello. Prima ci sono state altre cose,
poi ce ne saranno altre. Tanti esseri umani vi partecipano, vi hanno
partecipato, e vi parteciperanno ancora. E’ riduttivo e perdente
cristallizzare un momento, ridurlo a ricordo nostalgico, gettarlo
ingenuamente fra le mascelle dei media ? che poi lo cacano via a modo
loro. 

*

Il 21, a Catania, “Donne Contro”. Il 22 e 23, “Sbavaglio” numero
due. Prima giornata movimenti, antimafia sociale, voci alternative.
Seconda giornata, “politici” (capeggiati, tanto per intenderci, da una
Lidia Menapace). Se venite, o vi fate sentire, secondo me è buono.
Consigli, idee, giro organizzativo ? fare rete. Quanto a Casablanca, la
situazione è la seguente: isolatissimi nell’ufficialità a Catania (non
so se il prossimo numero lo manderemo ancora qui alle edicole, tanto
non lo si vede), sempre più seguiti e solidarizzati su (non ci montiamo
la testa: sappiamo benissimo che non è che siamo bravi noi, è che bella
la nostra bandiera). Un esempio solo per intenderci: due settimane fa
tagliano la luce; due ore dopo, all’insaputa nostra e del tutto per
caso, arrivano i soldi per pagarla; li manda il fratello di uno dei
nostri giudici uccisi che, avendo saputo che in Sicilia c’è questo
certo giornale e ha bisogno di aiuto, immediatamente fa un bel po’ di
abbonamenti-sostenitore e li manda, e poi si mette in giro per
l’internet a cercarne altri. Né lui sapeva che avevamo tanto bisogno di
lui, né noi sapevamo di poterci contare. Ci siamo semplicemente
incontrati. Così ci siamo ancora. E camminiamo così, senza sapere dove
e con che scarpe, ma sempre avanti, fiduciosamente.

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L’ultima predica di padre Greco

Do’ Vangelu secunnu Luca

Capitàu ‘n sabutu ca Gesù ava trasutu na casa di unu de’ capi raisi
de farisei ppi mangiari e a gente stava ddà a taliarlu. Virennu comu li
‘nvitati s’affuddavunu a pigghiarisi i megghiu posti, ci stampau na
lizioni: “Quannu si ‘mmitatu na ‘n spunsaliziu da corcarunu, non
t’assittari ‘o primu postu, pirchì po’ capitari ca arriva unu cchiù
‘mpurtanti di tia e chiddu ca v’invitau veni a diriti: susiti, ca ddocu
s’assittari st’amicu me. Allura ti finisci d’assittariti all’ultimu
postu, cu’ tantu di mala cumparsa.
‘Nveci, quannu sì mmitatu, si t’assetti all’ultimu postu vinennu u
patruni ‘i casa ti dici: unni ti ‘o mittisti. veni cchiù avanti.
Accussì fai na bedda cumparsa davanti a tutti e ‘mmitati. Pirchì
cuegghiè si senti cacocciula, finisci murtificatu, e cu s’incala,
agghiorna cchiù ‘mpurtanti”. Poi ci rissi o patruni i casa: “Quannu
ammiti qualcunu a mangiari ni tia, no ammitari i to’ amici, o i to
frati, o i to’ parenti, e mancu genti ricca, picchì chissi si levunu
l’obbligu ammitannuti macari iddi. O cuntrariu: quannu fai ‘n fistinu,
ammita puvireddi, storpi, zoppi e cechi, accussi si cuntentu di non
aspittariti nenti di nuddu. ‘gn’iornu appoi ricivi ‘n ringraziamentu
ranni quannu t’assetti cu tutti l’autri galantomini no’ jornu da
risurrezioni”.

Si dici: Parola do Signuri.

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2 Commenti

  1. Mauro, per favore, mi raccomando le tag inutili che incasinano il template (grandezza e dimensioni del font sono già dati dai css, non c’è bisogno di aggiungerli). Avevo dovuto disattivare il post.

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