Dimenticare l’11 settembre [reloaded]

Sul ricordare l’11 settembre, mi autocito recuperando un post di quattro anni fa.

L'11 settembre visto da Clarence - di GrassilliL’undici settembre, per me, è “quel giorno lì”. Non mi piace che le date significhino qualcosa, non mi piacciono le commemorazioni che fan sentire tutti un po’ più buoni, non mi piace parlarne, e quindi non so perché lo faccio, ma so che non mi piacerà quel che ne verrà fuori.

Io, quel giorno lì, non avevo mangiato, mi ero svegliato da poco, stavo preparandomi per andare in ufficio, avevo appena acceso su Radio Deejay. Non c’era sottofondo musicale. Non c’erano le finte pubblicità demenziali. Ricordo invece Giuseppe, serissimo, con la voca quasi roca, dire ad Albertino: “Non posso credere a quello che sto vedendo: un secondo aereo si è schiantato sull’altra torre. Hanno preparato il palcoscenico per le tv con il primo aereo, e questo è il secondo”. Non era una delle solite gag, si capiva. Sintonizzai la radio su altre stazioni e trovai voci cupe anche su Rtl, sulla Rai, su Radio Popolare. Riuscii a comprendere soltanto che era accaduto qualcosa. Qualcosa di davvero grave.

Ne ebbi la conferma precipitandomi ad accendere la tv: vidi le immagini delle torri gemelle in fiamme e ricordo che non ci potevo credere. Dissi qualcosa di molto banale, tipo: “Neanche nei film americani…”, e devo aver fatto una di quelle facce con la bocca aperta che si vedono, appunto, solo nei film americani.
Quando, poco dopo, giunse la notizia che un terzo aereo aveva squarciato il Pentagono, che probabilmente altri aerei in volo erano stati dirottati, e che, per quanto lo sembrasse, non si trattava del trailer di un film d’azione, ebbi la certezza che da quel giorno – da quel preciso momento lì – il mondo sarebbe cambiato.

Invece il mondo non è cambiato granché. Un po’ si, ma non molto. Voglio dire: guerre per il petrolio se ne sono sempre fatte, senza alcun bisogno di presidenti Repubblicani e grattacieli sbriciolati. Un Democratico ne fece una persino per coprire lo scandalo di un pompino, quindi niente di nuovo.

E poi, si, i mercati sono crollati, il prezzo del petrolio è salito, parecchie linee aeree sono fallite e si è e se si costretti a spendere un po’ più di tempo all’aeroporto non ci si lamenta, perché prendere l’aereo, anche in un giorno qualsiasi, fa un po’ più paura di prima. Banalizzando: tutto qui.

Non saprei dire molto sul perché quel giorno un po’ tutti abbiamo pensato di aver assistito alla cerimonia di inaugurazione di qualcosa di molto simile alla terza guerra mondiale e poi, invece (e per fortuna), ce la siamo cavata con i due paesi mediorientali di turno rasi al suolo. Credo tutto sia iniziato con l’11 settembre che diventava una sorta di marchio registrato, un logo ad uso dei canali “all-news”, qualcosa che – solo per pudore – si è salvato dal merchandising. La documentazione dell’evento (le immagini delle torri colpite, delle torri che cadono riprese da tre o quattro angolazioni) è stata riproposta con cadenza regolare al punto da perdere, per l’immaginario collettivo, la dignità di tragedia per trasformarsi in fiction. Nei primi tempi, quando il dolore era ancora vivo e straziante, le torri sono cadute l’undici di ogni mese. Oggi si limitano a polverizzarsi l’undici settembre di ogni anno.

Per questo motivo non sopporto gli anniversari, non amo le commemorazioni, non mi piace – per quanto, immotivatamente, lo stia facendo proprio in questo momento – sentire parlare di undici settembre. E nemmeno che quella data si presti involontariamente ad essere ingoiata e digerita con il supporto di mezzi molto simili a quelli utilizzati dal marketing. Non ci viene chiesto di scegliere tra Coca e Pepsi per quale delle due ha confezionato la pubblicità più capace di attirare la nostra attenzione. Non è corretto – e non è rispettoso – limitarsi a dedicare ad una tragedia un particolare giorno, come si fa per un santino. Per le vittime di quella mattina (gente che non ci teneva granché a impersonificare sui libri di storia l’eroe da commemorare; che avrebbe preferito continuare a recitare il ruolo di chi, nell’indifferenza generale, sta facendo una cosa banale, qualcosa che si fa tutti i giorni, come viaggiare, o lavorare) non basterebbe un intero calendario.

Non credo che quella sciagura abbia bisogno di una simbologia, di un marchio che resti impresso, per essere ricordata. Sarebbe sufficiente non ricorrere, per una volta, all’automatismo per cui solo un’immagine scioccante, una pubblicità riuscita o un logo ben disegnato si dimostrano capaci di indurci a ricordare. Di ricordare che dobbiamo ricordare.

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5 Commenti

  1. tutto quello che ricordo dell’11 settembre ha lasciato il tempo che ha trovato di quel pomeriggio (da noi) e mattina (a New York City) che ha cambiato la visione del mondo della maggior parte di noi, volenti o no!…comunque sono pienamente d’accordo con te.

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