Kyoto

Non so quanti di voi si sono smazzati il protocollo di Kyoto. Io non l’avevo letto prima. Ma ne avevo sentito parlare. Su tutto mi aveva stupito la non ratifica degli USA sapendo quanto stanno investendo nei cicli di produzione energetica alternativa. E soprattutto il fatto che l’avversità statunitense era stata iniziata da Gore, noto ecologista.
Poi, capitolo dopo capitolo, si capisce univocamente che c’è una distinzione marcatissima tra i processi di riduzione delle emissioni nei paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. I primi devono essere molto rapidi e precisi nella loro riduzione di emissioni (Art. 3 e 4), i secondi non hanno limiti sulle emissioni (Art 11). Infine c’è il curioso principio che fa sì che la classifica dei buoni e cattivi sia stata effettuata in base alle emissioni pro capite. Per farla brevre, la Cina e l’India, quasi metà della popolazione terrestre, non hanno vincoli sulle emissioni.
Ora, saltando a piè pari la discussione marxiana sul fatto che così si genera un trasferimento industriale ed economico dai paesi ricchi a quelli poveri, ho come il vago sospetto che le emissioni globali aumenteranno. Solo un sospetto.
Magari mi sbaglio.

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10 Commenti

  1. Figurati se ci siamo smazzati il Protocollo di Kyoto! Ci limitiamo a condannare gli USA Bush per quanto sono scorretti a non averlo ratificato e stop. Grazie per averci chiarito questo aspetto

  2. Kyoto e’ il migliore dei risultati possibili dopo anni ed anni di durissime trattative che hanno coinvolto (quasi) tutti i paesi della terra. E’ pieno zeppo di incredibili limitazioni e castronerie scientifiche, risultanti dalla costante necessita’, avvertita chiaramente dai negoziatori, di arrivare ad un qualsiasi compromesso, considerandolo meglio di niente (contro le posizioni delle ONG ambientaliste piu’ radicali, che avrebbero preferito niente a Kyoto, in un empito di trotzkismo ambientalista, un po’ suicida invero).
    Concordo con te sulla constatazione che le emissioni aumenteranno. Ma Kyoto voleva essere solo il primo di una serie di passi gradualmente piu’ restrittivi per spingere i governi ad impegnarsi seriamente sul fronte della riduzione delle emissioni. I dati di partenza sono inequivocabili: i paesi industrializzati (i c.d. paesi OCSE) producono il 75-80% delle emissioni, e quindi un primo impegno serio deve venire da loro. Il protocollo (ma la convenzione prima di esso) riconosce tuttavia anche la responsabilita’ dei Paesi in Via di Sviluppo (cosi’ come quella delle Economie in Transizione, che pero’ rispetto ai livelli del 1990 hanno enormemente ridotto le loro emissioni – complice la caduta del Comunismo e il tracollo dei loro sistemi industriali).
    Svariati gruppi stanno lavorando ad una rielaborazione dei concetti alla base dei negoziati sui cambiamenti climatici, al fine di integrare alcune delle considerazioni che hai fatto. Uno degli sviluppi possibili, che mi sembra degno di menzione e’ quello professato da Global Commons Institute – http://www.gci.org.uk/ – basato sull’idea della “contraction and convergence”, in altri termini dopo la fase iniziale della riduzione delle emissioni (il protocollo di Kyoto) sara’ necessario avviare la fase di “convergence” in cui il livello pro-capite di emissioni (enormemente maggiore per gli abitanti dei paesi OCSE) dovra’ lentamente convergere con quelli degli abitanti del resto del mondo verso livelli comuni.

  3. Carletto dai qualche numero a supporto della tua perplessità di usare il pro-capite come riferimento. Se no come facciamo a discutere?

    Cannonbal: grazie del chiarimento.

  4. Canno’, siamo d’accordo. Però non è vincolante per quei paesi, che a breve prenderanno il comando nelle emissioni planetarie. Mi sembra l’unione logica di un ottimo principio e di una pessima applicazione.
    Toni’, non capisco la domanda. Perchè non mi piace il pro-capite? È una questione che riguarda le quattro operazioni.. :-)

  5. Fabrizio, se dai un’occhiata ai grafici del GCI vedi subito e chiaramente che quei paesi che hai citato non prenderanno il comando delle emissioni planetarie per un bel pezzo, non prima comunque del tracollo completo del nostro ecosistema se non invertiamo la marcia: il tracollo, in quel caso, sara’ una responsabilita’ interamente nostra. Tutto qui.

  6. Vorrei inoltre contribuire a chiarire i principi dietro lo sforzo internazionale per combattere i cambiamenti climatici utilizzando il preambolo della Convenzione sui Cambiamenti Climatici (disponibile qui: http://tinyurl.com/8aoj9 ) di cui il Protocollo di Kyoto costituisce un’appendice “operativa”. In esso si trovano alcune affermazioni chiave (riporto solo una mia personalissima e non ufficiale traduzione):

    “Le parti della presente Convenzione
    […]
    sottolineando che la quota maggiore delle emissioni […] di gas ad effetto serra e’ stata originata nei paesi sviluppati, che le emissioni pro-capite dei paesi in via di sviluppo sono ancora relativamente basse […]
    riconoscendo che la natura globale dei cambiamenti climatici richiede la piu’ larga cooperazione possibile da parte di utti gli stati […] secondo le loro responsabilita’ comuni ma differenziate
    […]
    riconoscendo che tutti i paesi, specialmente quelli in via di sviluppo, necessitano delle risorse richieste per raggiungere uno sviluppo economico e sociale sostenibile e che, percio’, i loro consumi energetici sono destinati ad aumentare
    […]
    hanno concordato quanto segue:”

    Vorrei notaste l’artificio politico delle responsabilita’ “comuni ma differenziate” che mi ricorda tanto le “convergenze parallele” di nostrana memoria. Quindi la responsabilita’ dei PVS e’ chiaramente affermata, come altrettanto affermata e’ la differenza fra loro e i paesi industrializzati.

  7. Canno’, io ho letto di 3 diverse proiezioni (solo sulla Cina). In una superava le emissioni statunitensi prima del 2010. In un altra entro il 2015. E in un altra in 20 anni.
    Siccome io ne faccio una questione di emissione totale, a me sembra che il consesso di India e Cina dovrebbero far parte del protocollo.
    PS: non è che parli con uno scettico, anzi (http://tinyurl.com/zc9nt). Io ho verificato la scientificità del modello climatico. Dico solo che Kyoto non mi sembra adeguato e mi piacerebbero misure più severe e per tutti.

  8. Fabrizio: intendevo appunto fornisci i dati come sta facendo CB, visto che come premettevi pochi si saranno documentati su Kyoto e annessi, se no dobbiamo prenderti sulla fiducia e diventa una provocazione tanto per dire.

    A intuito non mi viene da pensare che un accordo di quel tipo sia ispirato da principi buonisti o di eccessiva generosità verso i paesi meno ricchi. Più che altro trattandosi di compromesso avranno cercato di tenere insieme considerazioni di natura molto diversa, dal diplomatico, all’economico (penso che a nessuno interessi oggi arrestare il processo di crescita asiatica).

  9. Fabrizio, capisco ma non ti seguo su questa strada: estremizzando stai affermando che il Lussemburgo dovrebbe ridurre le emissioni, come valore assoluto, nella stessa misura degli USA, che senso ha? E’ ovvio che le emissioni vanno valutate a livello individuale. Posto che ogni attivita’ umana inquina (respirando produciamo CO2) ogni singolo abitante della terra ha un diritto ad inquinare uguale a quello di tutti gli altri. L’unico modo per bilanciare questo diritto fra tutti gli esseri umani e’ stabilire quanto e’ il tetto massimo che il pianeta puo’ sopportare, suddividere questo tetto fra tutti gli abitanti, e poi stabilire regole per non superare quel tetto. In questo caso il tetto e’ stato superato, percio’ chi sta sopra deve tornare sotto, tutto qui. Tutti gli abitanti dei paesi industrializzati stanno sopra, significa che occupano abusivamente un’area dello spazio ecologico degli altri abitanti del pianeta, li stanno colonizzando a distanza. Noi dobbiamo tornarcene nei nostri confini e loro hanno diritto a prendere cio’ che gli spetta. Stabilito questo, se non cominciamo noi a tornare nei nostri limiti perche’ dovrebbero i Cinesi o gli Indiani fermarsi sul limite?

  10. Fabrizio, il dibattito mi pare la trasposizione ecologista dei vecchi dibattiti tenuti durante le Conferenze Mondiali sulla Popolazione. Da una parte, chi diceva che ogni sostegno economico doveva essere subordinato a piani denatalisti, e dall’altra chi sosteneva che la condizione-prima fosse favorire lo sviluppo con conseguenti adeguamenti armonici della fecondità. Poi il dibattito s’è perso lungo la strada, con gli Stati Uniti che passavano da una parte all’altra a seconda dei più o meno forti condizionamenti cattolici.

    Ora, a me sembra un po’ paraculo chiedere sforzi pari o modulati a PVS e PSA. Non mi risulta che l’attuale asimmetria in termini di sviluppo economico sia frutto di una biologica evoluzione delle società: c’è chi ha più colpe e c’è chi ne ha meno, c’è chi ha più interessi e c’è chi ne ha meno, c’è chi ha una falegnameria piena di scheletri e c’è chi ha qualche scheletro fuori dall’armadio.
    Intendiamoci: alla Cina – che fa comodo prima di tutto agli Stati Uniti – chiederei una marea di cose, prima fra tutte quella d’essere un paese comunista, che evidentemente non è. Pane al pane e vino al vino.

    Per dissolvere il tuo sospetto, forse il protocollo di Kyoto non basta: ma non farebbe male una tassazione sul PIL (e non si sfugge, perché sappiamo che la cooperazione internazionale funziona peggio del sistema di sicurezza sociale nordamericano) nei confronti dei PSA da destinare anche alla riconversione energetica di quei paesi che presto o tardi rappresenteranno una minaccia ecologica al pari degli USA.

    L’isola di Pasqua è vicina.

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