Fine secondo tempo

Ecco cosa capita quando s’inciampa in una persona che va dalla parte opposta. Comincia un film, motore, azione. Dentro le nostre teste succede un finimondo elettrico. Dentro i nostri corpi, è tutto un rimescolarsi di budella, sangue e sperma. Per qualche scena attraversiamo attimi e giriamo angoli sovrappensiero. Camminiamo leggeri, senza sapere dove stiamo andando. Ci rovesciamo il caffè addosso, sorridiamo ebeti guardando il cielo o un palo. Ci ritroviamo in due. Noi due.


Guarda cosa faremo, cosa stiamo facendo, cosa abbiamo fatto. Abbiamo ascoltato i ticchettii e i battiti di questo universo rovesciato sotto i nostri occhi. E adesso siamo al cinema sotto casa, davanti a una storia che già conosciamo. La storia di un amore si srotola al contrario da bobine già archiviate, pellicole già viste, battute già sentite. Questo amore, stavolta, è il nostro. Oltre gli inizi e i finali, che poi si assomigliano tutti, c’è tutto quello che ci abbiamo ficcato in mezzo. Dici tutto e ti resta niente. Guardalo, guardiamolo ancora una volta. Guardalo, com’è ridotto. L’abbiamo incastrato in un frammezzo della nostra vita. Ci abbiamo messo tempo e impegno. Ci siamo ritagliati una dimensione, fatta di cieli aperti, campi lunghi, tagli stretti per lasciare fuori dal quadro quel pezzo di verità che ti disturba tanto. I tecnici, i microfoni, i trucchi, le corna. E poi ci siamo svegliati morti, noi due. Prima tu, forse. Morti di noia, ogni sera, davanti allo stesso film. Il nostro. La tua voglia di cambiare scena e la mia di voltarti indietro, per farti sentire ancora una volta un pezzo della colonna sonora. Ma non senti niente. Non si sente più nessun rumore, nessun battito o ticchettio. Il nostro amore è morto, suicida forse. Oppure l’abbiamo ucciso noi senza sapere come. Al diavolo le storie di celluloide e di cellulosa. Quelle non le ammazza nessuno. Sono storie eterne, raccontano amori assoluti. Il nostro no. Il nostro è stato un amore vero, relativo, imperfetto. Abbiamo diluito l’attesa e ridimensionato l’aspettativa. L’attesa di scoprirci, volerci e adesso dimenticarci. L’aspettativa, invece, non è altro, da sempre, che un lungo fermo immagine sulla scena finale. Eppure la gente continua a guardare lì, come se il senso di tutta una storia dipendesse da come andrà a finire. Finirà, certo che finirà. Lo sapevamo che sarebbe finita. Usciremo dal cinema, ti dicevo, e sarà finita. Tu andrai di qua e io di là. Finiremo noi e comincerà qualcos’altro. Ma durerà pochissimo e ci ritroveremo, perché sarà destino. E perché la strada dei nostri errori, tutto sommato, è circolare. Andremo a buttarci in un’altra sala, insieme, dentro allo stesso buio. E guardando dalla stessa parte, aspetteremo sotto il tendone ed ecco, la luce. Ecco il trapezio, il pagliaccio, la tigre che salta nel cerchio di fuoco. Ecco il buffone, ecco qualcuno ride. Siamo ancora noi, guardaci! Coriandoli, lustrini. E’ Natale. Se sapessimo almeno, la prossima volta, come andrà a finire. Se tu sarai ancora tu, e io me. E se invece ogni volta fosse solo il passaggio a occhi chiusi, verso un altrove che sempre inseguiamo e che ci insegue? Se ci fermassimo a raccogliere pezzi di noi a ogni traguardo, la nostra meta si sposterebbe ancora. E i desideri miei e tuoi continuerebbero a rincorrersi all’infinito. O solo fino alla prossima interruzione, alla prossima ultima cena, al prossimo viaggio che abbiamo già fatto, al prossimo figlio che non vogliamo. Fermiamoci qui, allora. O andiamo avanti sapendo di perderci irrimediabilmente il presente e viviamo proiettati in un futuro sempre prossimo, sempre lì, senza afferrarlo mai. Facciamo come l’asino con la carota. E il passato ci troverà ancora insieme, da capo. Il futuro ci prenderà per i titoli di coda e ci scaraventerà di nuovo dentro al primo tempo. E sarà bello, proprio come un film. Ogni tanto, comunque, potresti anche lavarli tu i piatti. Eccheccazzo.

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25 Commenti

  1. Scrivi bene,
    ma quel doppio volo pindarico Fine della storia/Circo
    e Circo/Natale,
    sarebbe troppo anche per Pindaro

  2. “budella, sangue e sperma” fa troppo Isabel Allende, James Ellroy, Easton Ellis, per dirne tre, strano che non hai aggiunto “merda”. Ma in complesso non è male.

  3. Niente male.
    Purtroppo, anche il tuo è un film.
    La realtà è fatta di responsabilità, colpe, episodi sgradevoli.
    Una storia non finisce per semplice consunzione. Non ci credo.

  4. Partiamo dal presupposto (e lo dico sinceramente) che la tua sia una prosa assolutamente attuale e moderna, e sia un limite mio non comprenderla. Sappiamo che va di moda frullare le frasi o stuprare la punteggiatura, ritenendo che questo renda la complessità e la profondita di un pensiero/sentimento/ricordo. Ma a quel punto, dove si riconosce l’abilità o meno di uno scrittore nel trasmettere al lettore, se l’esercizio della scrittura è mettere insieme un accrocchio di immagini slegate che meno si capiscono e meglio è?

  5. ‘cudighél, ce l’avevo praticamente fatta, ma poi mi sono perso sull’asino e la carota.

  6. Miseria, se e’ difficile capire che hanno in testa le donne.
    Ma possibile che dovete per forza tirarvi ste’ paranoie mentali, ogni volta, in ogni storia?
    Comunque il film doveva essere una palla incredibile, sopratutto il pezzo del trapezio, del pagliaccio, e della tigre che saltava nel cerchio di fuoco.

  7. Sarò malfunzionante io, però a me i post di G.G. piacciono.

    @Roberto: hai ragionissima sulla moda di frullare le frasi. Sarà colpa dei blog?

  8. “..morti, noi due. Prima tu, forse. Morti di noia..”
    come non capire questo povero ragazzo.

  9. Leggendo i commenti, ho un solo commento:
    uccide + l’invidia o la cellulite?

    Faccio fatica anch’io a leggere i pezzi di questa donna, ma perdersi nelle sue parole è comunque un gran piacere.

    Arancione

  10. Nessuna invidia, cellulite quel tanto che basta per rendermi bella e umana. :o)))

    Perdonami, Gaia, e non me ne volere: lo trovo terribilmente pretenzioso, e personalmente molto irritante, narcisistico fino all’osso. T’ avviti attorno al tuo talento e non ne esci fuori… l’hai scritto ascoltandoti mentre lo scrivevi e beandoti delle assonanze, delle allitterazioni un po’ardite e gratuite (cellulosa-celluloide). E non è questione di stile o punteggiatura, bensì di musicalità stridente, enfasi contrabbandata per lirismo e soprattutto, banalità profusa a piene mani. Non è neanche questione di perdersi nella trama (?): si perde ciò che non si trova, ma cosa si cerca, qui? Boh… non l’ho ancora capito, e forse sarò tonta io…

    Lo stream of consciousness non fa per tutti: è un’arte difficilissima dove si parte con Joyce, (magari Ellis, toh) e si finisce per scimmiottare la Mazzantini, la Fallaci di “Un uomo”. O, peggio, Liala…

    “attraversiamo attimi e giriamo angoli sovrappensiero. Camminiamo leggeri, senza sapere dove stiamo andando”
    (…)

    con qualcosina di Guccinian-gozzaniano…
    “E i desideri miei e tuoi continuerebbero a rincorrersi all’infinito”. (…)

    … Perché bisogna sempre attraversare gli attimi?
    … Perché bisogna non sapere mai dove si stia andando?
    … Perché non dobbiamo mai sapere com’è morto il nostro amore?
    (… adesso che c’è Csi, magari, qualche dubbio in meno…)

    Consiglio non richiesto:
    più Bulgakov, Borges, Shakespeare, Stevenson, Mann, Camus, Malraux, Sartre per sfrondare, essenzializzare, ridare alla parola la sua forza eversiva e potente senza disperderla in mille rigagnoli privi di senso. Riprovaci.

    … e meno Allende o Ellis (che pure son bravini, via) s.v.p…

    con stima,

  11. Emozionante (soggettivo) o impegnata nel tentativo di esserlo, sicuramente.
    Certo son parole che toccano chi le ha scritte.
    Però, se non ricordo male, qualcuno di recente ha massacrato un libro di Elkann.
    Per molto meno, mi permetterei di aggiungere…

  12. “per sfrondare, essenzializzare, ridare alla parola la sua forza eversiva e potente senza disperderla in mille rigagnoli privi di senso” non penso basti leggere altri libri o autori, ci vuole il “ciccio”, ci vuole la sostanza, ci vuole sapere ciò che vuoi dire prima di dirlo, in seguito analizzare e capire se quello che vuoi dire è almeno minimamente originale e interessante, infine pensare alla forma che esalti il “ciccio” di cui sopra. la forma è il mezzo, non il fine. qui si sfoggiano paroloni per dire un ca**o. a sto punto preferisco vasco (che non sopporto abitualmente) che in metà delle sue canzoni tratta gli stessi argomenti di cui sopra ma facendo arrivare il messaggio, seppur misero. “la nostra relazione..”
    scusa lo sfogo, ma mi viene da dentro.

  13. … Brutale ma efficace, Ove!;o))
    Non basta, certo che sì, ma serve, eccome… aiuta moltissimo ad affinare la tecnica espressiva, e non sai quanti ne avrebbero un disperato bisogno. Per chiunque aspiri ad esprimersi con un minimo di originalità e -impresa ancor + ardua – di poesia, anche la forma ha il suo indiscutibile peso, oltreché contribuire a caratterizzarne lo stile. Mi pare che questo sia il caso dell’autrice. E che il suo tentativo sia riuscito o meno, beh… lascio a te e a voi ulteriori commenti…

    A volte mi piacerebbe sottoporre tutti coloro che vorrebbero cimentarsi nella scrittura all’esercizio che m’impose la scuola di giornalismo: esprimi lo stesso concetto prima con venti parole, poi con dieci, poi con cinque e infine con tre…

    In ogni caso, prima di stroncare in via definitiva un aspirante (a meno che non sia clamorosamente inetto) gli concederei una seconda chance… forse tu non sei dello stesso parere!:o))))

  14. In 20 parole: Comincia un film. Pellicole già viste, battute già sentite. Finirà, certo che finirà. Finiremo noi e comincerà qualcos’altro. Eccheccazzo.

    In 10 parole: Comincia. Finirà, certo che finirà. E comincerà qualcos’altro. Eccheccazzo.

    In 5 parole: Finirà. E comincerà qualcos’altro.

    In 3 parole: Comincia. Finirà. Eccheccazzo.

  15. Signorina Giordani, la parola “eccheccazzo”, sebbene sia una parola sola, é il risultato della fusione di ben tre parole (“e”, “che” e “cazzo”, per l’appunto): lei ha percio’ utilizzato rispettivamente ventidue, dodici, sette e cinque parole per esprimere il concetto del suo post.
    Mi creda, se continua cosi’ non imparerà mai a scrivere.

    P.S. Alcune lettere le accento male non perché non conosca l’utilizzo degli accenti ma perché la mia tastiera ne é priva.

  16. gaia,ti stimo.Ma..tipo..se lasciassi perdere le caricature senza filtro della non ancora postuma Santacroce?Sventrerei il sipario di parole che occulta un sospetto vuoto,per aprirlo su quell’eccheccazzo finale con cui ti sei redenta e lasciarlo in olimpico isolamento dominare l’atto unico di una pagina bianca mancata.Rinnovo la mia stima e lunga vita alla Santacroce,quantomeno lei è convinta.Non gradisco gli imitatori dei piccoli.Troppo facile.

  17. “Eppure la gente continua a guardare lì, come se il senso di tutta una storia dipendesse da come andrà a finire.” questo mi piace molto. e la chiusa mi ha restituito sollievo – però amaro, ma vabè.
    però lo ammetto, commento per i commenti. sembra il cortile del mio palazzo con le comari e la portiera sedute fuori a punzecchiare come zanzare tutti i passanti. fortuna che sono buffi senza sapere di esserlo.

    andrea.

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