Borders – Sogni

Visto che alcuni di voi la volta scorsa hanno gradito.

“Una madre israeliana che ha perso il figlio prova lo stesso dolore di una madre palestinese”.
“A 19 anni sono stato chiamato nell’esercito israeliano, ho rifiutato e sono finito in prigione”.

Sono due delle dichiarazioni raccolte in 5. Sogni, quinta e ultima puntata di Borders, il documentario che Enrico Giovannone e Ivano Casalegno hanno realizzato l’estate scorsa in Palestina, e che hanno messo a disposizione del sottoscritto e dei suoi colleghi per Teleblogo. Questo è l’archivio dei documentari. Qui c’è sempre il podcast.

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4 Commenti

  1. …e poi tra un film e l’altro su sky ti becco che parli del tuo cortometraggio… :)

  2. “Una madre israeliana che ha perso il figlio prova lo stesso dolore di una madre palestinese”.
    Non sono del tutto d’accordo. In palestina come in molti altri paese a forte impronta islamica fondamentalista si trovano “madri” così come “padri” che hanno un po’ sacrificato il naturale istinto protettivo ed il legame affettivo nei confronti dei propri figli, in onore e nel nome di un fanatismo becero e mortale che vive sulla retorica e sul facile populismo in situazioni disagiate, complice anche l’ignoranza e l’assenza di una cultura liberale e/o democratica sostituita dalla propaganda di massa vestita di ideali di vendetta e religiosi, che sicuramente non stimola intuizioni e riflessioni non di regime ma individuali come accade nella maggior parte dei paesi occidentali, anzi, in tutti.
    Questa povera gente, però, sacrifica non tanto la propria intelligenza o la propria libertà (anche di pensiero), ma istinti primordiali, in nome di un fanatismo religioso impietoso e frustrante che conduce solo all’odio, vendetta, ritorsione, al gusto dell’imporre il male e la sofferenza del prossimo quale fuga delle proprie mancanze ed ingiustizie.
    Così in Palestina ci sono “madri e padri” snaturati (per questo le virgolette), che anzichè proteggere i propri figli come natura chiede (se a chiederlo non addirittura il cuore e la sensibilità umana)li istigano alla morte, al suicidio per la causa.
    Quale causa può mai giustificare una madre od un padre così snaturato da aizzare i propri figli perchè vadano sotto le linee nemiche a provocarli fino a restare uccisi o addirittura a svolgere quel macabro rituale del kamikaze che conduce solo alla morte? Quale madre o padre normale non direbbe al proprio amato figlio di restare al sicuro, lontano dai guai in una situazione di pericolo? A che serve l’ipocrisia del pianto disperato quando non si è fatto nulla per proteggere la sua vita nemmeno con le parole?
    E questo dopo aver visto tanti figli morire così, nella consapevolezza quindi. Quale madre o padre degno di tale nome può piangere la morte di un figlio amato quando è proprio lui che l’ha educato e condotto per mano alla morte?
    Si tratta di un processo di disumanizzazione, di snaturizzazione, che contravviene anche agli ancestrali input della natura che vuole che apprensione, cura e amore protettivo siano dati dai genitori ai propri figli, così come ogni mammifero fà con i propri cuccioli. Una società balorda, quella del fondamentalismo che è in lotta con il mondo e contronatura.
    La rabbia che provo per la disgustosa ipocrisia di questi genitori che portano i loro bambini sulle spalle davanti al fuoco ed alla morte e poi piangono le loro morti non mi impedisce di pensare che ci sono madri e padri sinceramente addolorati. Ma non sono quelli che li portano a morire per mano. E forse piangono in silenzio e non in piazza strumentalizzando il martirio in una grassa scenografia di massa populista e artefatta.
    Credo al dolore di coloro che hanno la cultura della vita, soprattutto quella dei loro figli, non al pianto popolare di propaganda.
    Non credo a coloro che insegnano e lasciano che ai loro figli sia insegnata la cultura della morte, del suicidio, della distruzione, dell’odio.
    Di ieri l’attentato del kamikaze palestinese.
    Il bilancio: nove morti, sei feriti in condizioni gravissime, circa 60 feriti. Tutti civili. Ovviamente morto esplodendo l’autore di questo crimine barbaro, la cui appartenenza è stata rivendicata dalla Jihad islamica legata all’Iran ed applaudita da Hamas.
    Il kamikaze aveva 21 anni.
    La faccia di un adolescente. La faccia di un figlio anche se ha compiuto un gesto da figlio di puttana, aveva la faccia di un figlio.
    La colpa non può essere solo sua, ma anche della società della morte in cui era immerso, ma soprattutto, cosa tristissima, dei suoi genitori snaturati che non hanno protetto la società ma nemmeno il proprio figlio e che forse ora lo rivendicano orgogliosamente come martire.
    Non sono madri nè padri. Sono assassini questi genitori palestinesi contronatura negli aspetti più istintivi e elementari.
    Non amano i figli degli altri, portatori di morte tra loro. Ma nemmeno i propri figli. In nome di allah e dell’odio, non amano ed hanno odio feroce e disumano.
    Guardando quella faccia da ragazzino ed il frutto mortale del suo attentato, arriva quell’odio anche a me. E’ per quella cultura odiosa, per quei genitori infami, è per chi approva e difende quei criminali e disumani.
    Ma al loro non ferisce il mio odio, non arriva perchè anzi ne traggono forza, giustificazione.
    Non arriva perchè non hanno cuore. Nemmeno quello di una madre per il loro figlio.
    Povere le madri tra loro che ancora amano i loro figli, ma sono sempre meno e sempre più sole a piangere un dolore umano, sinceramente, senza l’ipocrisia delle masse in piazza e bandiere bruciate. Forse sono quelle che piangono in silenzio, che non vediamo. Ancora più sole.

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