Bamboccioni superficiali

C’è un tale intreccio di insensatezza, in tutta questa faccenda, che una non ne parla perché non sa da che parte cominciare.
Dice: “Spiegami!”
Dico: “A che pro? Io so solo che me ne voglio andare.”
Mi sento naufragare in mare di idiozia che si alza sempre di più, ed io lì a difendermi dall’annegamento armata di cucchiaino.
Affogo, per forza.
Poi lui insiste, io spiego, verso pure due lacrime di sconforto o di tensione che si scioglie, non so bene, e così fino alla prossima volta.
Le occasioni per sentirsi estranea, davvero, non mancano.

Ieri ci scambiavamo sms, io e la collega in Egitto.
Mi diceva che i ragazzi sono furibondi, in università.
E mi sembrava di vederli, ne prevedevo i discorsi, sentivo l’imbarazzo della collega immaginando quello che proverei io al suo posto.
“Apparteniamo a un mondo di una superficialità insopportabile.”
E basta.
Non c’era altro da dire.


C’è qualcosa che noi abbiamo perso chissà quanto tempo fa e che nessuna legge può imporre. Si fa fatica a spiegare cos’è. Quello che pensi è che qui sei costretta a farlo, se vuoi farti capire, mentre là verresti compresa al volo persino dal più sperduto beduino analfabeta del deserto.
Parlo del rispetto gratis, quello che non è soggetto a norme di legge. Della capacità di fermarsi prima di offendere profondamente l’altro, e non perché una norma te lo imponga ma perché, semplicemente, ciò che ti manca è proprio la volontà di offendere.

In una società in cui essere delle persone perbene è un valore, la dimensione che trova spazio è quella dell’intelligenza etica.
Io me la ricordo, sai?
Un tempo ce l’avevamo anche noi.
Anzi: più responsabilità si avevano e più era doveroso possederla.
Sono cresciuta in un mondo in cui era impensabile che la stampa di un continente usasse i precetti religiosi di una civiltà diversa a mo’ di carta igienica solo per dimostrare che poteva farlo. Il punto, nel mondo che rimpiango, era che non lo si voleva fare.
Essere figlia di quel mondo fa sì che io, oggi, non mi sognerei mai di mettermi a esibire disegni di Maometto a mo’ di sfida in faccia a un musulmano, e non certo per paura: perché mi sembrerebbe un’azione stupida e incivile, semplicemente. Perché la mia intelligenza etica me lo impedirebbe. Perché non mi riconoscerei più, se lo facessi. Perché non trovo che potere fare una cosa sia un motivo sufficiente per farla.

Per trovare un mondo in cui cristiani e musulmani convivono da secoli e secoli bisogna, è noto, andare in Medio Oriente. E lì lo vedi con i tuoi occhi, lo senti con il tuo corpo quanto possono cambiare i rapporti a seconda di ciò che prevale, tra l’etica del “potrei ma non lo faccio” e il darwinismo nudo e crudo del “posso e quindi lo faccio”. Mi pare che la semplice osservazione della realtà, la constatazione del perdurare di questa convivenza attraverso la Storia, dimostri che la scelta etica, fragile e costantemente da rinegoziare per sua stessa natura, sia quella che prevale nel sentire collettivo anche e soprattutto dei musulmani, fosse solo per la loro prevalenza numerica.
Vorrei che continuasse ad essere così.
Vorrei che la nostra sciocca superficialità la smettesse di avere come unico antidoto il buon cuore, sempre più pericolante, di intere società la cui esistenza si dipana sotto il nostro mirino, militare o mediatico che sia.
E’ un miracolo che questo equilibrio si mantenga ancora, a dispetto della tenacia dei provocatori e, guarda un po’, della povertà e basso indice di scolarizzazione della maggioranza dei provocati.
No, per dire.
E me li sto immaginando con i capelli ritti, i miei ex studenti cristiani.

Perché è la complessità, poi, ciò che veramente naufraga sotto i colpi semplicistici che assestiamo a quel mondo ogni volta che possiamo. La ricchezza, la fertilità delle contraddizioni non possono resistere alle ricettine beote che la nostra opinione pubblica si è prima bevuta fino al rincitrullimento totale e che adesso spaccia per verità, diritti e libertà, senza accorgersi di quanto appaia vacua, ipocrita e, francamente, vile.
Ci si radicalizza, noi e loro. E’ ovvio.
Così, sulle sciocchezze. Per nostro vezzo pseudolibertario.
Perché abbiamo tanto, tantissimo potere e lo usiamo come il figlio del Cummenda usa il Ferrarino, da fighetti ignoranti.

Dice: “Dai! Lanciamo un concorso per trovare disegnatori del Profeta, così facciamo un bel “pappappero” ai musulmani che lo considerano blasfemo”.
E, ovvio, come vuoi che non ne trovino? E con onore di stampa a prescindere, per quanto le vignette siano sciocche, insipide, xenofobe. Certo che ne trovano!
E’ da settembre che i musulmani del mondo cercano di spiegare che non è giusto né bello, leggi o non leggi, che vengano compiuti, a mezzo stampa, atti delberatamente offensivi contro la loro religione.
Lo hanno detto in tutti i modi, usando tutti gli strumenti civili e democratici di cui disponevano.
Niente.
Più loro si offendono e più le vignette vengono pubblicate.
Alla fine si incazzano – a febbraio, esausti; mica a settembre – e i cattivi sono loro.
Pensa.
E così ci ritroviamo col paradosso assoluto di uno Sherif che, a Otto e mezzo, deve spiegare a un Ferrara che fa lo gnorri come mai i musulmani si sentono offesi, per queste cose, mentre alle sue spalle un video gigante proietta un’enorme faccia di Maometto con una bomba al posto del turbante.
E io lo guardavo e gli invidiavo la pazienza, la lucidità assoluta. Ma quanta ce ne vuole?
E quanti possono averla, quanti fighetti occidentali la avrebbero, al suo posto?

Io, dicevo, credo che siamo fondamentalmente sciocchi.
Siamo, di fatto, una società gestita da una generazione – la mia e quella immediatamente precedente – il cui eroismo consiste nell’essersi opposto “a papà”.
“Papà” inteso come famiglia, come istituzione scolastica, religiosa, come autorità e freno a una realizzazione di noi stessi e del nostro piacere che avevamo lì, a portata di mano, e ci è bastato strepitare un po’ e correre davanti a un celerino per farlo nostro.

Non abbiamo fatto guerre, non abbiamo mai veramente sofferto.
Non abbiamo costruito né paci né ricchezze.
Abbiamo ereditato entrambe e ne abbiamo usufruito.
Invecchiando, è noto, non si diventa più eroici: solo così mi spiego questo fermo-immagine così straziantemente evidente nella nostra sinistra, sempre pronta a combattere solo e soltanto le battaglie che ha già vinto.

La libertà di espressione.
La libertà di satira.

L’Italia è, pare, al 74esimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa. Siamo solo “parzialmente liberi”, secondo Freedom House e, del resto, basta uno sguardo ai media per accorgersene.
Però ci si mobilita per lo sfizio di pubblicare la faccia di Maometto.
E si scomoda Voltaire, si tira fuori “il sangue versato per la libertà” e c’è un giornalista tra i miei commenti a cui prudono le dita dalla voglia di disegnare un turbante.
Poi però siamo 74esimi e nessuno si scomoda. Perché, sai che c’è, siamo consumatori. Non protagonisti della nostra storia. E avere avversari lontani, battaglie a noi estranee, improbabili eroismi contro esotiche fatwa indonesiane seduti al pc ci sottrae alla fatica, ai rischi e agli obblighi che deriverebbero dal prendere veramente atto del nostro 74esimo posto.
Difendere la libertà di satira in Danimarca dà più soddisfazione che farlo in RAI.
Combattere solo le battaglie già vinte ci permette di sognarci vincenti a dispetto di qualsiasi realtà.

Solo che gli altri se ne accorgono, questo è il guaio.
La nostra contraddizione è evidente e la nostra ipocrisia è offensiva tanto o più del volto di Maometto riprodotto.
Il nostro atteggiarci a soloni è insopportabile soprattutto per questo: perché siamo incapaci di guardarci allo specchio.
Crediamo di non avere niente da imparare e ci ostiniamo a volere insegnare chissà cosa, beatamente inconsapevoli della disistima totale e crescente che facciamo di tutto per meritarci.
Un miliardo di persone cercano di dirci qualcosa e noi non ci degniamo di ascoltare perché siamo certissimi di non avere nulla da apprendere, nulla da scoprire.
Noi ascoltiamo solo se ci toccano le tasche o l’incolumità.
Siamo totalmente privi di curiosità, come il figlio del cummenda che gira col Ferrarino e fa danni da idiota, perché non ha mai avuto il bisogno di fermarsi un attimo a pensare.

Questo nostro pavloviano bisogno di combattere in eterno le battaglie che ci hanno gratificato a 20 anni è particolarmente insopprimibile quando si tratta di religione.
Solo che allora combattevamo la nostra, mica quella degli altri.
Solo che combattere la nostra voleva dire combattere un’istituzione effettiva e concreta, non il rapporto con il trascendente di popoli di cui ignoriamo tutto.
Solo che allora era l’autorità, il nostro nemico, mentre adesso il potere è tutto nelle nostre mani.
Solo che per noi la religione era uno strumento di oppressione che calava dall’alto, non lo strumento che popoli interi oggi riversano nelle urne elettorali col desiderio di liberarsi da altre, più urgenti oppressioni.
Solo che, soprattutto, noi abbiamo combattuto la religione quando questa non ci è servita più.

Vaglielo a dire a chi si sveglia la mattina senza sapere se arriverà vivo a sera, che dopo la vita non c’è nulla.
Dillo a chi convive gomito a gomito con la morte e non solo, non necessariamente perché lo opprimono, gli sparano addosso o lo bombardano ma perché la morte è presente in tutto ciò che fai, semplicemente.
In tutto.
Nel lavoro, fatto senza uno straccio di sicurezza. Nell’acqua del Nilo che trasmette la bilharziosi e nell’aria di piombo delle grandi città dove finiscono le nostre macchine usate.
Nelle infrastrutture assassine e nella mancanza di garanzie, di protezioni che non siano quelle della famiglia, del gruppo e dell’etica condivisa.

E’ facile essere fieramente atei quando i propri bisogni primari sono garantiti e si ha tempo e modo di cercare sulla terra i piaceri che altri rimandano a tempi e vite migliori.
Ed è molto arrogante vantarsi di ciò che ci risulta facile.

L’Islam non è un obbligo calato dall’alto e imposto con la repressione, a punta di fucile. Se tanta gente lo difende è perché – ma è così difficile capirlo? – lo ama.
Perché lo trova bello, importante.
Perché fa stare bene, rende la vita più sopportabile, unisce, dà un senso ad un caos che sarebbe annichilente, altrimenti.

Ma cosa ne sappiamo, noi?
Della moschea come luogo di incontro, di chiacchiera, di sonnellino, di gioco per i bambini. Del proporre a uno sconosciuto di pregare assieme, in un posto qualsiasi, perché pregare assieme è più bello ed importante. Che idea abbiamo della portata emotiva, della serenità, del senso di pienezza che ti può dare un’appartenenza di questo genere?

Io me l’ero sempre chiesto, cosa provasse la gente che credeva in Dio. Mi era sempre sembrata un’incomprensibile stupidaggine, una superstizione per allocchi o una manifestazione di conformismo sostanzialmente disprezzabile.
Credo di averlo capito là, che cos’è.
Di sicuro, ho capito che non ho proprio niente da insegnare, a nessuno. Tanto meno il nostro vecchio slogan di “combattere tutte le religioni”.

Può darsi che sia oppio.
Niente di più probabile, anzi.
Ma l’oppio esiste nella Natura e serve per non sentire dolore.
Mi pare una funzione importante.

Soprattutto, oppiomani lo siamo tutti. Noi più di loro, ché la nostra resistenza al dolore è di gran lunga minore.

E non ci rendiamo manco conto che il nostro oppio, oramai, è la guerra che combattiamo contro un mondo su cui proiettiamo tutti i nostri fantasmi per non essere costretti a farci i conti quando ci guardiamo allo specchio.

P.S. Ah, un’ultima cosa: quelli che difendono il diritto alla libertà di satira dovrebbero ricordare che la satira è uno strumento dei deboli contro i forti.
Quando viene usata dai forti contro i deboli il risultato è più o meno questo:

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Non è che ci sia proprio da esserne fieri.

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18 Commenti

  1. E io che sto a metà tra Lia e Babsi? Sarò normale?

    In sintesi:

    Il diritto alla libertà d’espressione è appunto un diritto. E non ci sono cazzi.
    Meglio troppa libertà (ma esiste un simile concetto?) che troppo poca.

    EPPERO’ dico anche che quelle vignette non erano vignette satiriche.
    No no. E’ inutile e anche vigliacco dire che i musulmani si sono incazzati per delle vignette satiriche.
    Lo scopo del concorso per i vignettisti era fare qualcosa che si sapeva essere dichiaratamente offensivo per qualcuno.
    E allora quel qualcuno s’è offeso. Che c’è pure da stupirsi?

    Solo che sulle proteste io comprendo il punto di vista, ma non lo condivido e nemmeno condivido i metodi.

    Penso anche che chi ha iniziato tutto questo l’abbia fatto deliberatamente per provocare e questo denota un po’ di superficialità.

    In sintesi: non dico e non dirò MAI che quelle vignette non dovevano essere pubblicate.
    Però dico che chi l’ha fatto sta usando la libertà d’espressione come paravento per un atto di deliberata offesa.

  2. Si capisce la differenza tra una vignetta che raffigura un prete con un fallo enorme che chiede scusa ad un chierichetto con le braghe calate perchè la morale cattolica non amette l’uso del preservativo… e una che invece raffigura Giovanni Paolo II (possibilmente che si alza dalla bara) con un fallo enorme che chiede scusa ad un chierichetto ecc ecc. Beh se si capisce allora si fa a meno di fare i difensori della libertà di espressione… bestemmie in prima pagina non se pubblicano, neanche qua. Se poi è un problema di reazioni: i nostri “bigotti” sarebbero senz’altro più civili… beh, finchè si parla di religione, provate a parlare di calcio!!

  3. “mi aspetto – che le persone perbene che si identificano con la causa di Israele prendano le distanze da questi metodi intimidatori, mafiosi e delinquenziali.”
    (Lia, 10 Gennaio 2006,
    http://www.ilcircolo.net/lia/000958.php)

    Signora Lia, non era lei che ci ha chiamato tutti a raccolta, bambocci e beautiful minds, affinchè le dichiarassimo la nostra solidarietà e prendessimo le distanze da chi voleva tapparle la bocca, in senso non figurato, a seguito di un suo post intitolato “L’assasinio più amato dai media”? Non era lei che si è sbalordita e anche, giustamente direi, spaventata dalla pubblicazione della sua identità su Internet sempre e solo a seguito di quanto aveva scritto?

    Ed io, come un bamboccio qualunque, senza la Ferrari però, son corso subito a prendere le distanze, fesso che sono stato, me ne rendo conto ora, a “battermi” affinchè lei potesse continuare a fare l’ambasciatrice della nuova inquisizione islamica mollemente adagiata tra la puzza della libertà di espressione.

  4. Habebe, tu hai descritto una vignetta che potenzialmente offende i cattolici, giusto?
    Ti piacerebbe se qualcuno di loro ti aspettasse sotto casa e ti prendesse a bastonate dopo averla bruciata?
    Se la risposta è si allora hai ragione tu.
    Se la risposta è no forse hai capito il concetto di libertà di espressione.

  5. Pietro, le vignette ironico-offensive io le avrei evitate proprio perchè ci tengo ad non offendere nessuno (il mio voleva essere un esempio: non girano in occidente vignette così offensive sulla nostra religione!!! )
    Poi, se proprio insisti io quando vado a bestemmiare sul sagrato di San Pietro non mi aspetto mica
    che questo “mio diritto ad esprimermi” venga accolto e rispettanto… e magari qualche buon cattolico si potrebbe esibire anche in mazzate, che mi piaccia o no!

  6. Si, ho proprio un vicino poco incline al rispetto delle norme igieniche.
    Me ne sono appena accorto stamane, mentre giocherellavo con uno dei miei cani. Dal suo giardino il vento portava un putrido fetore; nauseabondo, insopportabile.
    Questa storia dura ormai da molto tempo. Ho deciso di prendere le mie precauzioni, di fargli notare che questa situazione non poteva andare oltre.
    Avevo tre semplici scelte:

    1. Cagare nel suo giardino scrivendo con mirabile perizia: “Pulisci il tuo giardino”
    2. Optare per una scelta più soft ed aristocratica, quasi dandy, come una salutare pisciatina a riferire lo stesso messaggio.
    3. Lasciargli una simpatica cartolina con un bel disegnino che recita “Pulito è bello!” e un mio invito a pulire il giardino.

    Tutte le tre opzioni mi sembrarono buone, la prima specialmente avrebbe colto nel segno: mi sembrava abbastanza brutale, antipatica, significativa. Avevo pensato alle sue possibili reazioni (sia a quelle giustificabili che non) e con buona pace superai il problema dicendomi: “Ma che importa, tanto ho ragione io!” Ho pieno diritto di esprimermi come meglio di pare, sopratutto per quanto riguarda gli errori e gli orrori chiari e palesi di qualcuno.”

    Decisi di utilizzare l’opzione cagata (ottima anche per esprimere il mio giudizio sulla mia idea e su tutto quanto stò scrivendo).
    Ma poi mi soffermai a pensare come l’avrebbe presa, se davvero quel mio gesto avrebbe colto nel segno meglio dell’avvertirlo o del semplice chiedergli di pulire il giardino.
    Mi fermai un attimo a riflette, fu meno di un attimo: “Ma noo, io ho un diritto ad esprimermi fondamentale, una libertà che prima che diritto è un valore sacrosanto fondante (insieme ad altri) l’essere stesso dell’uomo come libero cittadino! Una sua possibile reazione, il pensare a come la prenderà, anche il solo semplice fatto di chiedermi io stesso LIBERAMENTE (anche per paura di urtare la sensibilità di un altro), cosa fare è una limitazione al mio diritto (e non già se compiere il gesto di mettergli in evidenza la sua mancanza di pulizia è quello il mio vero diritto che non dovrei mai mettere in dubbio, ma il modo con cui esprimerlo deve essere vagliato bene)è una palese limitazione di questo mio diritto ad esprimermi, un diritto illimitato e illimitabile, un diritto che nemmeno un piccolo dubbio ipotetico che nasce da me stesso può mettere all’angolo! Ma che importa, lui ha torto io ragione, l’importante è far trionfare il giusto, e chi si è visto si è visto!”

    Infine mi sono chiesto: “Si, è verò, ho il diritto di esprimere come mi pare è mi piace una critica al mio vicino di casa, un invito a migliorarsi. Il fatto che io sia un uomo migliore mi permette di dimostrare agli altri quando siano peggiori loro. Usare qualsiasi mezzo è la dimostrazione della mia libertà ad esprimermi, non già il cercare il migliore tra i modi di esprimermi. L’importante è che raggiunga il mio obiettivo: cagandogli in giardino, pisciando, semplicemente scrivendo o ballando un pessimo Tango. Non posso chiedermi quale sia il miglior modo o il più consono ad esprimere un’idea l’importante è esprimerla, il solo pensare alle possibili soluzioni è una limitazione di una mia libertà, ma credo anche che chiedermelo è una dimostrazione di grandezza morale ed etica. Il mettere in dubbio una possibile soluzione che esprima una mia critica, a faovore di un’altra soluzione che però non modifichi il mio intento, è un qualcosa da mettere in considerazione. E non limita il mio diritto ad esprimermi, ne lo mette in dubbio.”

    Ho scelto la mia opzione, attendo la reazione. Spero però soltanto che anche il mio vicino vagli bene quale dei suoi valori sacrificare (anche il sacrificare un valore a favore di un altro è una libertà forse più importante del realizzarli tutti indiscriminatamente) per un dialogo civile da entrambe le parti.

  7. babsi si è offesa parecchio perché quella l’ha chiamata bambocciona. in effetti la satira ha un limite, cazzo.

  8. Babsi: ma come fai a dire che introduci “il rivoluzionario concetto che si chiama “causa-effetto”” subito dopo averlo fatto a pezzi?

    1. Fino a quando le vignette sono state pubblicate solo da un giornale danese e uno norvegese nessuno ha bruciato ambasciate. Le proteste sono state assolutamente civili e assolutamente legali.

    2. Quando – e solo quando – la stampa di tutti i paesi europei ha deciso di riprendere le vignette è divampata la protesta che sappiamo. Il rapporto causa-effetto, quindi, è stato l’esatto contrario di quello che presenti.

    Nel frattempo qualcuno aveva hackerato il sito del giornale? Me ne dolgo, ma se la solidarietà tra giornali europei consiste nell’andare a offendere un miliardo e trecento milioni di persone per protestare contro un hacker o due svitati io ne deduco che abbiamo un problema di percezione. Rimane il fatto che la protesta, fino a quel momento, è stata pacifica. Ha preso la forma che sappiamo solo dopo. Dopo che io ho scritto il post di qui sopra, addirittura.

    Io mi rendo conto che c’è qualcosa che impedisce di comprendere PERCHE’ si sono incazzati tutti i musulmani del mondo, e credo di essere spaventata da questo, più che da qualsasi altra cosa.
    Perché davvero non è difficile da comprendere, mi pare, e la libertà di espressione – e soprattutto di satira – non c’entra nulla.
    Nulla.
    Nulla.

    Ricapitoliamo.
    I musulmani hanno chiarissimo – ben più di noi – che il nostro Dio è anche il loro. A nessuno è mai venuto in mente di chiederci di smettere di raffigurarlo in tutte le salse e in tutte le vignette. Eppure, lo ripeto, è lo stesso Dio loro.
    Cristo è una figura, presente nel Corano, che un musulmano non raffigurerebbe. Non per questo si è mai pensato di chiedere a noi di non farlo.
    Ti dirò di più: quando, qualche tempo fa, si cercò di montare un caso attorno ad Adel Smith e all’affresco di san Petronio a Bologna che raffigura Maometto all’inferno, i primi a smontare il caso definendolo una cazzata furono proprio i responsabili dei centri islamici italiani.

    La nostra libertà di espressione, quindi, non è mai stata in pericolo per colpa dei musulmani. Non c’era nulla da difendere perché nessuno la stava attaccando.

    Cosa è successo, invece?
    E’ successo che un giornale di destra danese, un bel giorno, ha constatato che in Europa non veniva raffigurato il volto di Maometto.
    Non a causa degli immigrati.
    Non per paura.
    Perché non lo si faceva, e basta.
    Nemmeno 10 anni fa.
    Nemmeno 20 anni fa.
    Nemmeno quando il mondo arabo era assai più laico di oggi e di terrorismo islamico non si parlava.

    Non lo si faceva per quella sorta di implicito patto tra gentiluomini che marca, normalmente, la convivenza tra esseri umani che non vogliono farsi del male a vicenda.
    Lo stesso implicito patto che muove milioni di musulmani nel mondo arabo a volere convivere tranquillamente con i loro cristiani e le loro immagini e il loro Allah in versione cristiana raffigurato nel figlio e nello spirito santo.
    Quel senso di civiltà lì, quello che nessuna legge può imporre.

    Lo avrai notato anche tu, Babsi: è da qualche anno che assistiamo a un imbarbarimento dei rapporti che sta travolgendo baluardi di civiltà che credevamo solidissimi e che, invece, vengono giù come burro sciolto appena qualcuno gli assesta una pedata.
    Dalla Fallaci che spopola sui giornali dando del “figli di Allah” ai musulmani per parafrasare il “figli di puttana” all’uso spudorato della tortura e di tutto ciò che credevamo di non dovere vedere – ma soprattutto fare – mai più dalla seconda guerra mondiale in poi. E tu sai bene quanto me che ciò che stiamo travolgendo sono innanzitutto le remore morali, etiche, che credevamo di avere finalmente imparato ad avere.
    Pagandole anche care, per inciso.

    In Danimarca, quindi, scoprono una nicchia di autoinibizione etica, morale, che in Europa persiste ancora.
    Il Profeta raffigurato.
    Lo dice il giornale stesso: i disegnatori si autocensurano.
    Sì, lo fanno. Lo hanno sempre fatto. Ma non per paura, non per Van Gogh ucciso da uno squilibrato in questi tempi folli: perché non lo hanno mai fatto, perché è una sacca di resistenza etica, per quello che, l’altro giorno, definivo “rispetto gratis”.
    E così si decide di lanciare addirittura un concorso per rompere un “tabù” che, per inciso, non mi risulta venisse sentito come un’insopportabile oppressione.

    Non è sorprendente che questa “battaglia di libertà” sia stata lanciata da un giornale di destra.
    C’è una carica di violenza nell’esibirti l’immagine del tuo Dio solo e soltanto perché tu non lo disegneresti mai, che non è propria delle battaglie della sinistra.
    C’è un malcelato desiderio di umiliare, nascosto a stento dalla foglia di fico della libertà di espressione, che è parente stretto della mentalità per cui i detenuti musulmani vengono offesi sistematicamente sul loro senso religioso, usato come punto debole, come nervo dolente.
    Strana battaglia libertaria, proprio mentre ne perdiamo a ripetizione in tutto il continente.
    Una lo sente a pelle che qui c’è un senso della libertà diverso da quello che, chessò, spinse mio nonno a farsi spedire al confino pur di non giurare fedeltà al fascismo.
    E, di fatto, il puzzo dei nasi adunchi della satira di regime fascista lo abbiamo sentito in parecchi.

    Di sicuro, lo hanno sentito i musulmani.
    Avevano già la sensibilità più che all’erta, del resto, e come dargli torto?
    Il fatto che si siano mossi persino gli ambasciatori – e gli ambasciatori arabi ce ne mettono, prima di muovere il culo – mi pare sintomatico dello scenario che gli si è aperto davanti agli occhi: lo sdoganamento dell’ultimo freno inibitorio, Maometto che oggi ha una bomba in testa e domani chissà, una valanga di mobbing religioso destinata a diffondersi nella superficialissima inconsapevolezza dei più.
    Guarda quanta gente dice: “Ma noi il Papa lo rappresentiamo!”
    La maggior parte della gente non ha la minima idea di cosa sia questa questione, è evidente. E questo è sparare senza conoscere il calibro dei tuoi proiettili, non vorrei dire.

    E qui si apre la questione tra sensibilità e diritto, appunto.
    Mi ci sto sgolando da giorni e giorni: il tasso di libertà di un popolo ha molto a che fare con la sua capacità di autoregolarsi. Con la sua civiltà, quindi.

    Quando io ero piccola, sugli autobus di Napoli c’era scritto “Vietato sputare”. Se ora quei cartelli sono scomparsi, non è perché gli sputi in autobus siano stati legalizzati ma perché la gente ha smesso di sputare al punto che non c’è più bisogno dei cartelli.
    Se non c’è scritto da nessuna parte che è vietato andare a offendere altri popoli sul loro sentimento religioso, non è perché il legislatore abbia deciso che farlo sia cosa buona e giusta. E’ perché, normalmente, non c’è bisogno di scriverlo. La gente ci arriva da sola.
    Ci arrivava, anzi.

    E’ da quando è iniziata questa storia che mi sgolo a ripetere che ci sono cose che nessuna legge può garantire.
    A me pare ovvio che sarebbe un disastro, se i comportamenti della gente si basassero esclusivamente sul concetto di legalità/illegalità. I casi sono due: o non vivremmo più, o la legge sarebbe costretta a diventare spaventosamente invasiva per permettere a tutti di vivere.
    Hai idea di quante cose facciamo, ogni giorno, senza che nessuna legge ci costringa a farle?
    Nessuna legge mi impedisce di scoppiare a ridere di fronte all’impaccio di un’alunna grassa e di rovinarle la vita così facendo. Nulla mi vieta di bocciare chi mi è antipatico usando il mio potere per mettergli 3 quando voglio. Cosa mi impedisce di distruggere la figura dei colleghi davanti ai ragazzi, di fare discorsi inopportuni, di avere una valenza educativa da criminale, più che da insegnante?
    Nulla, assolutamente nulla. Se non il mio buon senso, la mia etica, la mia coscienza.

    Alcuni prof lo fanno, certo.
    Del resto, chissà quanti fascistoidi l’avevano già pubblicato sui vari siti, Maometto in tutte le salse.
    Ma la scuola si regge sul fatto che i pochi che lo fanno vengono isolati, godono di totale disistima, si cerca di beccarli in errore per provvedere disciplinarmente.
    Nessuno si sognerebbe di mettersi a scioperare per difendere il comportamento del collega dannoso e irresponsabile in nome della sacra libertà di insegnamento.
    Eppure, te lo assicuto, poche cose mi sono care come la libertà di insegnamento.
    E’ una libertà protetta dalla Costituzione.
    E’ sacra, inviolabile.
    Proprio per questo, se qualcuno la usa come arma per fare male, lo si isola.
    Perché sai cosa succederebbe se non lo isolassimo o se, peggio, ci mettessimo tutti a lavorare ragionando in meri termini di legalità/illegalità?
    I casi sono due: la scuola ne uscirebbe distrutta o, come alternativa, ci ritroveremmo tutti a insegnare davanti a un guardiano del nostro comportamento.
    Nessuna delle due possibilità mi affascina.

    Quale mondo avete in mente, voi che avete deciso di pubblicare delle stupidissime vignette perché un principio che non corre alcun pericolo vi pare immensamente più importante del sentire (della “morale universale”) di un miliardo e trecento milioni di persone?
    Cosa vi aspettate che accada, ancora?
    Ci avete pensato?
    Vi importa?

    Io ci ho pensato.

    Potremmo sconfiggerli per stanchezza: prima o poi non ne potranno più di bruciare cose e, del resto, la polizia di là non va per il sottile.
    Dopo tot morti, tot desaparecidos, tot pestaggi e così via, chineranno il capo e si rassegneranno a vedere il Profeta raffigurato in tutte le salse, così come abbiamo deciso noi.
    Avremo ucciso una cosa che è stata considerata importante per mille anni, ma chissenefrega.
    Noi abbiamo da tutelare la foca monaca, che è più importante.

    Oppure potremmo non sconfiggerli, potrebbe divampare un incendio infinito, potrebbe rompersi qualsiasi convivenza interreligiosa in Medio Oriente, potrebbe succedere un’iradiddio che non ho voglia di prevedere.
    Però avremo salvato un principio, e pazienza se il principio non te lo voleva toccare nessuno, si chiedeva solo del rispetto e del buon senso.

    O pensate di esportare la libertà di stampa, dopo la democrazia? No, perché tutto può essere.
    Nulla mi stupisce più.

    Sai, Babsi: se mi leggi da tempo, saprai che la cosa che più amo dell’Egitto è che sa essere, come ho scritto un milione di volte, un “mondo gentile” come nessun altro.
    E che la cosa a cui meno mi adatto, da quando sono tornata, è la durezza di qua.

    Ricordavo un episodio della collega in treno, questa mattina.

    Ci toccavano queste tre ore di treno, per raggiungere la cittadina dove insegnavamo, e il treno era spesso affollato e spesso non si riusciva a prenotare il posto e, ancora più spesso, noi eravamo stanche morte, al ritorno.
    Quella volta, la collega vide un posto libero e, pur sapendo che dalla fermata dopo quel sedile era prenotato, ci si sedette e si addormentò di sasso.
    Si svegliò più di due ore dopo, quasi alle porte del Cairo.
    Si alzò stiracchiandosi e fece per raggiungere lo spazio tra i vagoni dove è permesso fumare. E, mentre andava, un signore con la prenotazione in mano le chiese: “Le dispiace se adesso mi siedo un po’ io o il sedile le serve ancora? Sa, non volevo svegliarla.”

    Sai, io sono europea.
    Vengo da un mondo dove, se hai la prenotazione, ti siedi e basta e chissenefrega se c’è una tizia che dorme al posto tuo. Che si svegli.
    Perché, se hai la prenotazione, hai il diritto di sederti.
    Di conseguenza, non sono mai riuscita davvero a abituarmi a questa gentilezza spiazzante e gratis, a quest’attenzione non necessariamente dovuta, e non c’è nulla che io ami di più, nel mondo arabo, di questi doni di cortesia che nessuno è obbligato a fare ma che ricevi mille volte al giorno.
    Quando facevamo formazione interculturale, tra prof stranieri, questa era sempre la prima cosa che veniva fuori: “Come sono i nostri studenti?” “Disarmanti, santo cielo.”
    Non era possibile non vederlo.

    Sto spendendo un sacco di soldi al telefono con l’Egitto: mi rassicura sapere che la collega sta bene e mi faccio dare notizie di prima mano.
    “Ma i ragazzi che dicono?”
    “Están dolidos”.
    La collega è spagnola.
    “Dolidos?” chiedo. Vuol dire “addolorati”.
    “Ma sì, non lo capiscono. Mi chiedono come abbiamo potuto farlo. Perché. E’ una cosa incomprensibile”.
    “Sai, qui in Italia pure la sinistra parla di libertà di stampa etc.”
    “Non capiscono. Applicano schemi occidentali e non capiscono.”

    Non ci capiamo.
    Chissà a cosa cazzo serve, la libertà di stampa, se non permette alla gente di capirsi.

    Vorrei dare qualche informazione, già che ci sono, ché ho già visto un mare di balle sulla nostra liberissima stampa.

    1. Che le vignette le hanno viste tutti, tanto per cominciare.
    I giornali di lì le hanno mostrate, Al Ahram le ha pubblicate nello stesso modo in cui le ha pubblicate El País, ovvero attraverso la foto del giornale che le pubblicava.
    Perché, mentre la nostra stampa diffonde l’idea di bamboccioni che scappano davanti a una figura, quello che lì succede è che stanno contemplando più che altro la nostra VOLONTA’ di offesa.
    Come con il Maometto di San Petronio, qualsiasi musulmano non fuori di testa sa benissimo che quello delle immagini non è “Maometto”, ma la rappresentazione che, in questo caso, i giornali occidentali ne fanno al solo scopo di ferirli.

    2. Che l’iter della faccenda (proteste civili, poi boicottaggio, poi diffusione inarrestabile delle vignette e infine violenze) è chiarissimo a tutti.
    Ho letto sciocchezze madornali sui manifestanti che “in realtà non sanno nulla”. Sanno tutto perfettamente, e lo hanno seguito con enorme attenzione.

    3. Che la stragrande maggioranza della gente non brucia nulla, ovviamente, e trova che manifestare violentemente sia una pessima idea. Però è incazzata lo stesso. Sono LORO i nostri intelocutori.

    4. Che, tanto per dire, nella cittadina in Alto Egitto dove insegnavo ci sono almeno 20 internet café, sempre affollati. Se anche i giornali non le avessero mostrate, le vignette, sarebbe bastato un click a chiunque per vederle.
    Con buona pace delle cazzate che scrive La Stampa: http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/girata.asp?ID_blog=25&ID_articolo=401&tp=C

    Io non mi sto divertendo, in questa storia.
    Ho una stanchezza e uno sconforto addosso che non riesco più ad esprimere.
    Non è questo, il mondo che volevo lasciare a mia figlia quando la misi al mondo.

    Lo ripeto: siamo sciocchi. Siamo superficiali. Siamo smemorati al punto di non ricordare nemmeno come eravamo fino a pochissimi anni fa.
    Stiamo combattendo una battaglia contro le ombre, senza senso e senza motivo, in difesa di qualcosa che non correva pericolo e a scapito di tutto ciò che è pericolante.

    Siamo sciocchi o, forse, siamo ormai in grado di ragionare solo in termini talmente astratti da essere inservibili.
    Dei pensatori ciechi, dei parlatori allo specchio.

    O, forse, degli aspiranti eroi privi di una causa vera.
    “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”, si dice.
    Trovo che sia un detto inadeguato alle circostanze.

    “Beato quel popolo che, quando la voglia di eroismo si fa insopprimibile, trova una causa autentica su cui sfogarla”, piuttosto.
    Anziché inventarsela.

  9. Ma insomma, non si vuole capire che qui (come ovunque) si continua a ragionare sempre e solo nei termini del tutto e non della parte? Se mi attacchi per una mia idea me la prendo perchè attacchi tutto di me, quando invece basterebbe capire che si vuole attaccare solo un dato aspetto? Dire che le vignette sono brutte, negative, inutili non significa attaccare la libertà di opinione o il diritto all’espressione. Nè attaccare una parte del “falso Islam” significa attaccare tutto l’Islam. Non ci pensiamo nessuno, lo diamo per scontato. Viviamo in un mondo fiabettistico, dove esiste il male e il bene. Dove il bene deve per forza vincere e il male soccombere, dimenticando che non tutto il male è da una parte e non lo è neppure il bene. Pensiamo basso mi viene da dire. Bah, lasciamo stare….

  10. Ma insomma, non si vuole capire che qui (come ovunque) si continua a ragionare sempre e solo nei termini del tutto e non della parte? Se mi attacchi per una mia idea me la prendo perchè attacchi tutto di me, quando invece basterebbe capire che si vuole attaccare solo un dato aspetto? Dire che le vignette sono brutte, negative, inutili non significa attaccare la libertà di opinione o il diritto all’espressione. Nè attaccare una parte del “falso Islam” significa attaccare tutto l’Islam. Non ci pensiamo nessuno, lo diamo per scontato. Viviamo in un mondo fiabettistico, dove esiste, come un’idea fanciullesca, da una parte tutto il male e dall’altratto tutto il bene. Dove il bene deve per forza vincere e il male soccombere; perchè? Insomma perchè il bene siamo noi (Islamici o occidentali che siano) e gli altri il male (Islamici o occidentali che siano), dimenticando che non tutto il male è da una parte e non lo è neppure il bene. Pensiamo basso mi viene da dire. Bah, lasciamo stare….

  11. Risposta e stanchezza

    Quella che segue è una risposta a Babsi Jones e, visto che ci siamo, a un po’ di altra gente. Non sapevo bene dove metterla. Tra l’altro sono anche avvilita. (Ah, quasi dimenticavo di mettere il testo della vignetta:…

  12. Lia, ti ringrazio per aver fatto tutta questa fatica per rispondere. Io, come ho scritto sul mio blog nell’update, “mi fermo, per due ragioni: ho detto tutto quello che avevo da dire, e il passo successivo sarebbe la reiterazione degli stessi dieci concetti (no, “provocazione” e “libertà di stampa” son cose diverse, no, “la sensibilità” non c’entra, no, non sono fascista, no, il Vov è finito, sì, l’Articolo 19 per me è più importante anche del Vov), e perché qualcuno – da una parte e dall’altra – sta sul limite dell’immaginario, per cui le semplici opinioni diventano “certezze documentate”. Quando accade questo, lunga pausa, respiro profondo, e si scrive di altro.” Anche per evitare che i miei lettori si addormentino prima della dodicesima riga. Di solito alla tredicesima arrivano. Inutile che io ti dica che non sono d’accordo – quasi tutto quel che hai scritto lo trovo nuovamente contestabile, ma non insisto, perché i temi sono quelli, li abbiamo ampiamente illustrati. Tu chiedi: a cosa serve la libertà di stampa se non aiuta a capirsi? Io ti rispondo: può servire a capirsi, si spera che ci si capisca. Ma serve anche quando non ci si capisce, Lia. Il senso della libertà (e non solo di stampa e di opinione) non è dato dal livello di comprensione reciproca raggiunto :)

  13. Ma con quale principio ci si lamenta della libertà di stampa e poi si dice “L’Italia è, pare, al 74esimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa”?? Cioè quando la satira prende per il culo Berlusconi, o Ratzinger o chi ci fa comodo va bene, sennò no? Perfavore… certi articoli non sono solo campati in aria. Sono anche tristi…
    Devo ancora capire se l’italiano medio soffre di complesso di inferiorità, di sensi di colpa, oppure semplicemente di una inguarbile visione di parte (politica) del mondo…

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