Rassegna Stampa Calipari – Omissis /9 – il Riformista

IL RIFORMISTA

il RiformistaOmissis - di Francesco Cundari: clicca qui per leggere il PDFOMISSIS. CHE COSA C’È NELLE RIGHE SEGRETATE DEL RAPPORTO USA
Storia di un reparto con regole di ingaggio tutte sue.
Era una blocking position e il Voip non funzionava.

(di Francesco Cundari, il Riformista – 3/5/2005)

Nel documento integrale della commissione di indagine americana, a tutti disponibile dopo che Gianluca Neri ha mostrato come farne riapparire gli omissis grazie a un semplice copia-e-incolla, le «omissioni» erano essenzialmente di tre tipi: quelle dovute a esigenze di sicurezza (dati e circostanze riguardo gli attacchi subiti dalle forze della coalizione, zone a rischio, procedure), quelle dovute a esigenze di “riservatezza” (a cominciare dai nomi dei soldati coinvolti nella sparatoria in cui è morto Nicola Calipari) e quelle dovute ad altre ragioni. Chiunque può oggi verificarlo semplicemente mettendo a confronto la versione ufficiale (con omissis) e quella integrale (senza omissis). Sappiamo così chi era il terzo uomo alla guida della Toyota che trasportava Giuliana Sgrena e Nicola Calipari: il maggiore del Sismi Andrea Carpani. Sappiamo chi erano gli uomini al posto di blocco. E sappiamo chi fu a sparare: Mario Lozano, della Guardia nazionale di New York.

Informazioni che la procura di Roma ha subito acquisito. Dopo avere spiegato che gli uomini incaricati del blocco stradale erano stati avvisati che l’operazione sarebbe terminata dopo il passaggio del convoglio incaricato di scortare l’ambasciatore americano (John Negroponte), nella relazione si afferma apertamente: «L’ideale sarebbe stato che la scena dell’incidente fosse stata preservata così com’era dopo la sparatoria e l’arresto della vettura». Quindi si spiegano le varie circostanze che impedirono di farlo: «Entrambii mezzi coinvolti nel blocco vennero spostati per trasportare Giuliana Sgrena in ospedale, dopodiché il luogo non fu considerato come il teatro di un crimine, e si cercò di ripulire la strada». Di conseguenza, «la macchina fu spostata dalla sua posizione» e solo in seguito «fu rimessa nella posizione che fu ritenuto fosse quella in cui si era fermata, sulla base di testimonianze oculari e fotografie digitali prese dopo la sua iniziale rimozione». I primi omissis – oltre naturalmente a tutti i riferimenti a ufficiali, soldati e formazioni di pattuglia – riguardano il numero diattacchi avvenuti a Baghdad dal primo novembre 2004 al12 marzo 2005 (3. 306, di cui 2. 400 diretti contro le forze della coalizione) e il problema della strada che collega Baghdad all’areoporto, la famosa Route Irish, che non avendo alternative è divenuta spesso una trappola per i convogli alleati, obiettivo privilegiato degli insorti e dei loro ordigni esplosivi improvvisati («Ied», secondo l’acronimo inglese). L’occultamento era stato deciso anche per una serie di passaggi molto significativi e che potremmo chiamare “di contesto”: «Circa il 66 per cento di tutti gli attacchi notturni lungo la Route Irish avviene tra le 19. 00 e le 21. 00. L’incidente al blocco 541 (quello dellasparatoria, ndr) è avvenuto tra le 20. 30 e le 21. 00 del 4 marzo 2005». Stessa sorte ètoccata a molti passaggi simili dedicati al numero di attentati con ordigni rudimentali o autobomba avvenuti nella settimana dell’incidente. Ancora sotto segreto: «Il Checkpoint 541 è stato teatro di 13 attacchi tra il 1 novembre 2004 e i primi di marzo 2005. Due di questi attacchi coinvolgevano “Vbieds” (acronimo ingleseusato sostanzialmente per autobomba, ndr). Altri attacchi includevano uso di mortai, piccole armi da fuoco e ordigni esplosivi rudimentali». Analogamente, nel testo veniva segretato l’elenco degli attacchi, con armi da fuoco, ordigni rudimentali e autobomba, affrontati dalla prima compagnia del 69esimo reggimento di fanteria («169IN», si tratta ovviamente della compagnia coinvolta nella sparatoria). «Tutte le tredicivittime dell’unità (i caduti in una precedente missione a Taji – a nord di Baghdad come quelli uccisi sulla Route Irish, ndr) sono morti a causa di ordigniesplosivi rudimentali». Si arriva così a quella che è certamente una delle parti più significative del documento, interamente coperta da omissis nella versione ufficiale, salvo l’incipit (pur coprendo sempre, ovviamente, l’identificativo della compagnia): «La task force dell’169 fanteria è stata incaricata di stabilire “traffic controlpoints” e “blocking positions” molte volte in passato». Segue la parte censurata: «Nonostante i termini siano usati in modo intercambiabile, ci sono sottili, ma nette, differenze nel modo di stabilire le due postazioni». La prima, che chiameremo punto di controllo (Tcp in inglese), prevede «1) l’arresto del veicolo, 2) la perquisizione dello stesso, 3) il passaggio autorizzato del veicolo». La seconda, che noi chiameremo posto di blocco, «non prevede la perquisizione del veicolo. In teoria, l’intento sottinteso del posto di blocco implica che non vi sia nessun contatto con il veicolo. In Iraq, l’obiettivo di un posto di blocco è duplice: 1) impedire ai veicoli di avere accesso a zone protette, 2) impedire alle autobomba di arrivare abbastanza vicino da uccidere o ferire soldati o civili». E ancora: come indicato all’169, le pattuglie «devono essere in grado di eseguire posti di blocco rapidi quando richiesto». Questa la definizioneamericana: hasty blocking positions. Tutto quello che segue è il più lungo omissis dell’intera relazione. Nelle regole di ingaggio della 31esima divisione (quella cui appartiene l’169) c’è una sezione espressamente dedicata ai punti di controllo del traffico (Tcp). Non ci sono, invece, «linee guida per postazioni con una blocking mission (per esempio blocking position – quello che abbiamo chiamato “posto di blocco”, ndr). Le regole di ingaggio per i punti di controllo prevedono una linea di allerta, una linea di allarme, una linea di stop, un’area di perquisizione e un’area di supervisione. L’area di perquisizione dovrebbe essere un check point ben illuminato» né dovrebbero mancare «segnali di allerta a una distanza sufficiente da permettere al guidatore di reagire di conseguenza» e «barriere materiali per costringere il veicolo a rallentare». L’equipaggiamento per un Tcp include «segnali di allerta, triangoli, cavalletti…». Prosegue la relazione: «L’169 ha le sue proprie Tactical standard operating procedures dedicate alle operazioni di checkpoint», ma nemmeno queste includono i posti di blocco («blocking position») né la relazione spiega quali siano tali specifiche regole d’ingaggio. Si limita a dire che le procedure per i punti di controllo (Tcp) qui descritte sono «più strette» di quelle dialtre unità. Come abbiamo visto sopra, i punti di controllo richiedono una ricca segnaletica. Ma «sulla base della loro esperienza, l’opinione dei soldati dell’169 impegnati nelposto di blocco 541 era che la segnaletica fossescarsamente efficace… sia nelle operazioni diurne sia in quelle notturne» ragion per cui «sulla segnaletica si è agevolmente soprasseduto». E ancora: «Non ci sono prove che indichino che i soldati fossero stati addestrati a effettuare posti di blocco prima di arrivare sul luogo delle operazioni». (Nelle raccomandazioni si suggerisce comunque una revisione delle procedure con particolare attenzione al posizionamento di «segnali chiaramente visibili, di giorno e di notte», specificando che i soldati devono guardare la postazione «dal punto di vista del guidatore»). Per quanto riguarda la scena dell’incidente, gli omissis sono assai più rari, ma non meno significativi. Ecco l’incredibile racconto della mancata comunicazione con l’unità che stava effettuando il blocco in cui sarebbe morto Nicola Calipari, oltre un’ora dopo che ne era venuta meno l’esigenza (proteggere il passaggio dell’ambasciatore – come abbiamo visto espressamente indicata sin dall’inizio). Il centro di comando dell’176 (impegnata nel blocco insieme all’169) aveva due modi di comunicare con i soldati: ilsistema Voip (Voice over internet protocol), oppure la radio. Secondo la relazione il Capitano «stava utilizzando solo il Voip per comunicare con l’169, ma ebbe problemi con il Voip, perdendo così il suo unico canale di comunicazione con la compagnia, a meno di non passare dalla quarta brigata. Come risultato, il Capitano non fu in grado di passare informazioni aggiornate sulla blocking mission direttamente al 69esimo fanteria o alla quarta brigata. Egli non cercò di contattare la quarta brigata via radio. La quarta brigata, a sua volta, non poté passare le informazioni al comando superiore, la trentunesima divisione. Analogamente, la trentunesima divisione non ebbe nuove informazioni da passare alla seconda brigata della decima divisione di montagna. Quest’ultima, infine, fu così impossibilitata a passare informazioni aggiornate al 69esimo fanteria». E per concludere, non c’è prova che il 76esimo «abbia passato l’informazione sul momento della partenza e dell’arrivo del Vip (Negroponte, ndr) ad alcuna unità». Resta dunque intatta la domanda: per quale ragione il Capitano non utilizzò la radio – che pure la relazione ci dice essere stata a sua disposizione – per avvertire i soldati al posto di blocco?

(di Francesco Cundari, il Riformista – 3/5/2005)
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