Buon Natale

È Natale, non c’è dubbio. Tutti sono più buoni, tutti rinsaviscono. Persino al Foglio si accorgono che qualcosa nel dopoguerra iracheno non ha funzionato:

Il nodo fondamentale, dunque, è che il “check and balance” istituzionale americano, che equilibra i rapporti tra presidenza, esecutivo e Congresso, è ben calibrato per gestire la politica interna, quella estera e per condurre operazioni belliche, ma è inadeguato per affrontare crisi da “nation building”. In tutta l’esperienza americana, questo processo ha funzionato bene solo nel Giappone post 1945, ma perché il generale McArthur, dopo Hiroshima, poté comportarsi da “dittatore” incontrastato. Il modello ha funzionato anche in Germania, ma solo perché esisteva una classe dirigente superstite antinazista e affidabile. In Vietnam e in tutte le altre crisi internazionali, questo è stato il punto più debole delle strategie degli Usa, in un quadro in cui peraltro l’Europa ha ben poco da vantare perché sul terreno del “nation building” ha sempre costruito fallimenti (la Francia in tutta l’Africa francofona, vedi la crisi nella Costa d’Avorio), l’Italia in Somalia e Libia, l’Inghilterra vanta il risultato dell’India, ma anche esiti disastrosi, Pakistan incluso. Il paradosso è stato ed è quello di una supremazia del punto di vista dei militari americani sul terreno della “costruzione” di una leadership civile locale adeguata, in contesti a loro totalmente estranei e sconosciuti, soprattutto se islamici (vedi il disastro del 1979 in Iran). Rumsfeld in Iraq ha portato all’estremo il paradosso, ed ecco tutte le scelte sbagliate del governatore Paul Bremer (dallo scioglimento dell’esercito ai mesi persi nel contrastare con decisione le bande terroriste nel “triangolo sunnita”).

Ovviamente però, quando si sbaglia, la colpa non è del comandante in capo Sig. Cespuglio. Per questa ammissione dovremo aspettare Natale del 2099.

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11 Commenti

  1. Fino alle elezioni di novembre andava tutto bene, chissà come mai…
    adesso Bush e Rumsfeld giocano a poliziotto buono poliziotto cattivo e l’ultimo pagherà per tutti tra un mese, scomettiamo?

  2. tutti saranno più buoni a Natale ma te curati macchiaiolo, uno zerovirgola di obbiettività non te lo ritrovi??

  3. Boh, magari nel 2099 tutto il mondo ringrazierà Bush per essersi opposto con la forza ai terroristi islamici e criticherà come sciocchi e imbelli chi nel 2003 si era opposto. La situazione e il quadro generale sono tali che qualunque previsione vale un altra.
    In una guerra gli errori sono una regola ma nessuno li compie volontariamente. La difficoltà principale sta nel prevedere il minor male possibile nel momento della scelta strategica, ed una scelta per quanto motivata e logica, per i casi della guerra può, col tipico senno di poi, rivelarsi errata. Ad es. Bremer sciolse l’esercito e polizia irachena non essendo in grado di prevenire e reprimere un eventuale e forse probabile ammutinamento armato, e questa è obiettivamente una buona ragione che allora fu considerata superiore a tutte le altre miranti invece a conservare le forze armate irachene.
    La situazione di anarchia che persiste in molte zone dell’Iraq e la lentezza e la difficoltà dell’amministrazione irachena provvisoria nel costruire nuovi quadri militari di sufficente capacità sembra ovviamente inficiare questa considerazione. Tuttavia è difficile prevedere come sarebbe adesso la situazione se ci fosse ancora una guardia repubblicana bene armata e che magari, nonostante epurazioni dei vertici, non conta al suo interno un elevato numero di fans americani.
    Personalmente credo che forse un tentativo selettivo poteva essere fatto, utilizzando lo strumento di pressione più formidabile a disposizione dello stratega per controllare un esercito: la paga giornaliera.

  4. Pius, DOPOguerra. Io non ho criticato la guerra, ma il dopoguerra. E la sua gestione. E fa specie accorgersene oggi.
    E sullo scioglimento di esercito gerarchi e polizia, beh, in Italia avevano fatto diversamente.

  5. Pius, un’altra possibilità è che nel 2099 quei dieci, quindici superstiti staranno sugli alberi a raccogliere banane mutate e non sapranno neanche chi cazzo è Bush. Ricordateci che la realtà ha sempre superato la fantascienza.

  6. Caro Fabrizio, dopoguerra, dici? Quale dopoguerra? La guerra sembra tutto tranne che finita. E credo che pochi altri oltre a Bush ne sono più che convinti. Quanto al resto, è questione piccola il sciogliere o no l’esercito, perdonami, colpa mia. Serve solo a comprendere che nella conduzione di una guerra nulla va mai come previsto. Dovendosi spesso affidare a calcoli di probabilità, gli errori di valutazione sono la regola, una regola di cui si son serviti spesso gli stessi strateghi. E’ vero, in Italia gli Alleati fecero diversamente. In Italia c’era però la resistenza; chissà se qualcuno qui ha mai visto qualche valida immagine o filmato di come Saddam amava trattare la resistenza.
    Temo però che siamo a rischio off-topic.
    L’articolo del Foglio lo leggerò stasera. Io amo leggere il Foglio, embè? Intanto, Auguri. Comunque il Natale più buoni fa diventare, non anche più intelligenti.

  7. Stupefacente qulcuno non sa distinguere la guerra (2 o + eserciti che si affrontano) con il dopoguerra, un esercito è sconfitto e si squaglia. Poi c’è il terrorismo, i cretini che si fanno esplodere per senso di impotenza, ma la guerra non c’è +.

  8. Piu’, quindi il discorso di Bush sulla portaerei? La guerra in senso stretto e’ finita. Punto.
    E ne dopoguerra si sono fatte una marea di caxxate gestionali. Se ne accorto pure il Foglio, cerca di convincertene anche te.
    Eppoi io nel post non parlavo di intelligggiiieenza, ma di rinsavimento. Effetti della visione della cometa, o giu’ di li’.

  9. Caro Fabrizio, “guerra in senso stretto”? Non ha senso. A parte il fatto che mancano tutte le condizioni che ci si aspetterebbe di vedere a guerra finita, che so, almeno una cessazione degli scontri armati (dopo Falluja meno frequenti in verità) e degli assalti suicidi, se non proprio una ripresa della vita normale e dei commerci, mi pare che permangano tutte le ragioni di conflitto preesistenti all’invasione dell’Iraq: l’america è letteralmente odiata da gran parte del mondo arabo e quei pochi che non provano un sentimento cosi grevemente intenso, stanno attenti a non esporsi troppo. Osama Bin Laden è probabilmente vivo, e non credo che se anche morisse le cose magicamente andrebbero tutte a posto. L’odore del conflitto, dell’incomprensione e dell’ostilità non è mai stato così forte e non solo in Iraq, purtroppo. Se si riflette un secondo e si prova a descrivere in modo per così dire scientifico la “guerra in senso stretto” in Iraq, affermare che si è trattata di un invasione militare durante la quale un esercito ne ha sconfitto un altro non pare sbagliato e tu stesso Fabrizio, mi pare, alludi a questa situazione. Un tale “meccanismo” tuttavia, lo si è già visto nella storia, e il fatto che un esercito ne sconfigga un altro conquistando un paese, non è mai stato un segnale della conclusione di una guerra, anzi. Benché realmente mi ripugni usare un simile paragone, basta pensare a quando i tedeschi invasero la Francia nel ’40, o i giapponesi conquistarono la Manciuria e buona parte del sud est asiatico, polverizzando gli eserciti alleati e cinesi e mi fermo qui, ma gli esempi sono molti. Capisco che il fatto che gli USA abbiano dichiarato la “Missione compiuta” all’indomani della caduta di Saddam possa far ritenere che, almeno per gli americani, la guerra in Iraq sia finita. Ma da allora ogni atto o discorso dell’Amministrazione, ogni evento e ogni notizia ci dicono che la situazione non è di guerra finita.
    Le minacce che gli stati uniti volevano eliminare sono tutt’ora ben presenti e forse addirittura aumentate. Sembra ormai certo che nel giro di qualche mese, al minimo, o pochi anni al massimo, l’Iran avrà l’arma atomica. Ma attualmente solo gli USA avvertano la minaccia. Certo fa pensare che un paese come l’Iran abbia investito costanti risorse economiche e umane, abbia trattato più o meno segretamente con altri paesi, non per dotarsi di infrastrutture moderne o intraprendere programmi sociali, ma per costruire l’arma più potente del mondo, e chiedersi se vogliano costruirla per poi non usarla è ovviamente una domanda sciocca. Così come è sciocco pensare che gli USA, di fronte a una minaccia così terribile e concreta, manderanno ancora una volta migliaia di uomini in Iran a morire per la democrazia. Secondo me utilizzeranno qualche cosa di più radicale e forse ha ragione un nostro collega qui nel prevedere che nel 2099 i rappresentanti dell’umanità saranno delle scimmie.
    Chiamare dopoguerra quello che sta avvenendo in medio oriente non è solo sbagliato dal punto di vista logico, è addirittura ridicolo, e arrocarsi sulla convinzione che con la conquista dell’Iraq e la caduta di Saddam illuminino la fine della guerra è estremamente riduttivo e fuoriviante. Certo nel marasma di anarchia e violenza in Iraq e nelle tensioni in tutto il mondo medio orientale, un primo grande risultato la strategia americana sembra comunque averlo ottenuto; secondo il principio strategico cardine degli USA espresso dalla frase “not in my backyard” , molte risorse umane e materiale dei terroristi di mezzo mondo, piuttosto che impegnate nel progettare altri stragi di innocenti in pacifiche città, sono ora dirette contro l’occupazione americana in Iraq, dove tuttavia ci sono uomini armati che rischiano la vita per lavoro e non degli innocenti disarmati che attendono in pace alle occupazioni giornaliere. Inoltre il tiranno Saddam è caduto e, a meno che non ritorni, il mondo è appena un po’ migliore senza lui.
    Ma a parte tutto, a te Fabrizio pare che la “guerra al terrorismo” possa dirsi conclusa? E secondo te gli USA sono tranquilli e convinti anch’essi che sia finita (posto che l’espressione “guerra al terrorismo” non significa una cippa, essendo il terrorismo null’altro che una modalità di azione, uno strumento tattico o strategico, che viene usato alla bisogna secondo necessità, esattamente come un cannone, una mitragliatrice o una trincea)? Insomma, fa comodo, retoricamente, vedere i fallimenti del “dopoguerra”: si spara ancora, il terrorismo è più forte che mai, gli americani non porteranno la democrazia e tutto quello che accadrà nei prossimi anni in Iraq avrà gran peso nella politica internazionale e nella situazione di conflitto esitente. Se però provi a guardare “la grande immagine” quello che si vede in Iraq non è la gestione di un dopoguerra; piuttosto è la gestione di un momento particolare, di una situazione ancora fluida e mutevole all’interno di un conflitto più grande. Parafrasando Churchill l’Iraq più che la fine sembra “l’inizio dell’inizio”.

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