Uno che ha capito tutto

“Sento spesso altri giornalisti parlare di «resistenza irachena». Anche giornalisti del Tg1, il servizio pubblico per eccellenza. Ma io in Iraq ho visto altri resistenti. Chi ha fatto la resistenza, in Iraq, è Fabrizio Quattrocchi. È per questo che non ci hanno mai mostrato il video della sua esecuzione: perché lui, morendo, ha fatto la resistenza. Quello scatto di orgoglio, quel gesto di ribellione, quel saper affrontare la morte dignitosamente erano una sconfitta per i suoi boia. I terroristi vogliono sempre esibirci codardi e piagnucolosi, meschinamente attaccati alla vita. Quattrocchi li ha annichiliti, ha fatto la resistenza, li ha battuti”.

(Toni Capuozzo, Libero)
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50 Commenti

  1. io lo adoro, quando i suoi servizi durano più di cinque minuti, mi concilia il sonno come un tavor.

  2. Capuozzo sarà pure un pensante, ma potrebbe stare più attento alle premesse. I terroristi non hanno nessun problema a mostrarci la sua reazione, tant’è che L’HANNO FATTO, consegnando un video integro alla tv araba. La scelta di non mostrare le immagini al pubblico, in particolare a quello italiano, dipende da altri (Al Jazeera? lo stesso Frattini?).

  3. Malgrado quel che dice in questa occasione, Cappuozzo resta uno dei pochi giornalisti sulla piazza. E a dirlo io…

  4. I soldati sono resistenti, le due Simone sono resistenti, i mercenari sono resistenti, i volontari sono resistenti. E’ aperta la campagna “Diventa anche tu resistente”. Per farne parte a titolo onorifico è sufficiente resistere a qualcosa, qualunque essa sia.

  5. Mammamà. Libero è un pozzo senza fondo, mi ricorda sempre che al peggio non c’è fine.
    Non ho resistito a dirlo.
    Accidenti.

  6. Quattrocchi è morto, I terroristi sono vivi e hanno generato terrore… Chi avrà vinto? Forse Capuozzo pensa che le retorica interessi ancora a qualcuno… e sicuramente c’è chi ci cascherà.

    Non l’ho vista, ma l’ultima puntata di Terra mi hanno detta fosse abbastanza vergognosa (un nuovo giornalista in procinto di fallacizzarsi?) Da quello che è scritto qui, sembra dare implicitamente del terrorista ad al jazeera. Poi paragonare Quatrocchi a uno della resistenza è già abbastanza assurdo, in quanto si trattava di un normalissimo MERCENARIO, almeno per chi sa ancora usare un dizionario (cosa che al giorno d’oggi non darei per scontato).

  7. Vedi, Tyler, apostrofare Quattrocchi con disprezzo, chiamandolo “mercenario”, per di piu’ maiuscolo, non fa che rivelare a) quanto tu sia ignorante, b) quanto tu sia ideologico -che secondo me e’ peggio-.

    Per quanto riguarda il punto a), non occorre essere filologi per riconoscere nella parola “soldato” il suono del “soldo”, per cui concludiamo che essere soldati e’ comunque essere mercenari e, pertanto, essere mercenari non e’ poi cosi’ disonorevole, come non lo e’ avere combattuto in trincea contro Hitler.

    Ma la tua insipienza non e’ solo linguistica, ma anche storica: Quattrocchi non era soldato, ma era una guardia del corpo. Particolare su cui tu e molti altri amano glissare.

    E qui veniamo al punto b), l’ideologico: vedi, il trattamento che tu e il coretto di cui fai parte riservano a Quattrocchi morto e’ moralmente ripugnante quanto quello che Libero ha riservato a Baldoni: con la differenza che Libero lo ha fatto con Baldoni in vita, e ha cercato -vanamente e pelosamente- di addolcirsi in morte.

    Le disgustose vignette di Vauro su Quattrocchi, pero’, non hanno scatenato la tua unilateralissima indignazione.

  8. mi piace il filo-logico del ragionamento che conduce a concludere che grazie all’etimologia delle parole, chi ha combattuto in trincea contro Hitler ha lo stesso valore morale di chi fa il butta-fuori aspirante guardia del corpo.
    Effettivamente la semplicità del metro di misura utilizzato è disarmante, come mai non ci avevo mai pensato?
    Immagino che i combattenti buoni siano “soldati” e quelli cattivi “terroristi”.

  9. Le parole di Capuozzo trasudano parecchia insofferenza fallaciana, soprattutto per chi simpatizza in qualche modo per gli arabi. Legittima, per carità, e probabilmente anche motivata.

    Comunque, lontano dal polverone irakeno a me sembra vi sia una grossa differenza tra Al Sadr e i suoi miliziani sciti e i terroristi e i briganti che terrorizzano la zona.

    Il primo a me non sembra un terrorista: sembra più un “resistente” (oppositore, chiamatelo come volete) irakeno uscito allo scoperto che sul campo cerca di opporsi al governo fantoccio degli americani. Potrà piacerci o meno, forse le sue intenzioni non coincidono con le nostre. Ma lui è a casa sua. Non fa attentati, non uccide civili e non rapisce persone per sgozzarle. Le sue milizie sono andate al massacro contro l’esercito americano, al quale ovviamente non pareva vero di trovare un nemico a cui sparare. Come stanno dicendo in molti (Frattini compreso) bene o male con Al Sadr primo o poi si dovrà trovare un dialogo.

    Sui terroristi, quelli veri, nessuna scusa, nessun dialogo. Purtroppo sembra che le forze della coalizione siano più interessante a fermare il primo che i secondi. Forse perché è un obiettivo più facile da bombardare.

    Confondere le due cose non è fare informazione, ma solo propaganda. Definire Quattrocchi (morto senza nessuna colpa come Baldoni e gli altri, a prescindere da quello in cui credeva e non credeva) un “resistente” a me suona parecchio stonato.

  10. Lowres, tutto bello, tutto giusto, se non fosse per il piccolo particolare che la resistenza è inquadrabile come fenomeno strategico, mentre il terrorismo può essere una tattica applicata ad una strategia, oppure una strategia. In Iraq capitano entrambe le cose.

  11. C’era bisogno di tutto questo casino per trovare i resistenti? Più resistenti di noi che continuiamo, nonostante Capuozzo Fede e compagnia bella, a vivere in questo paese di merda sperando di poter migliorare le cose penso non ci sia nessuno. Che vomito!

  12. Capuozzo, prima della bordata di retorica reazionaria del suo servizio di Terra! (pesantissimo, sia esteticamente che concettualmente) si è sdoganato da solo, premettendo che sarebbe uscito – a titolo personale – dal panorama meravigliosamente equilibrato che solitamente contraddistingue la redazione del magazine.
    In sostanza, sostiene che “Un ponte per” doveva per forza avere collusioni con il regime di Saddam, perché altrimenti non avrebbe potuto lavorare per oltre 10 anni in Iraq.
    Muovendoci sulla base di questo concetto, tra parentesi, Gino Strada potrebbe farci avere indirizzo e numero di cellulare di bin Laden (non può essere altrimenti).
    Per il resto, nulla più che gente ammazzata dalle autobomba e sgozzata dai terroristi: sulla base di considerazioni di questo genere, viene semplice capire com’è che tutti gli inviati che hanno osato abbandonare il terrazzo dell’Hotel Palestine, per vedere con i propri occhi quello che succede in giro, abbiano fatto una brutta (od una pessima) fine.
    Che poi i brillanti esportatori di democrazia si stiano comportando esattamente come fecero i nazisti a Boves, rimane solo un fastidioso effetto collaterale, che non è nemmeno degno di essere citato. Anche perché sennò poi Ferrara ti sputtana in pubblico e son cose che fanno male.
    Meglio, molto meglio, mostrare tutto il proprio sdegno scandalizzandosi per gli italiani uccisi dagli iraqueni e presto dimenticati dalla stampa: in un colpo solo, serve per ricaricare il cannone della retorica e per tirarsi fuori dal calderone dei giornalisti pecoroni.

  13. Ma andate tutti a quel paese con i Vostri distinguo letterali del c…o e con i vostri preconcetti.

    Quattrocchi, mercenario! Capuozzo, fallaciano! Baldoni, resistente e so cos’altro anch’io.

    Una testa tagliata è solo una testa tagliata.

    E’ un atto di barbarie da condannare, sia che avvenga in Cina, in Iraq o in Senegal ad opera di chiunque ed a danno di chiunque, terrorista, soldato o servitore dello stato che dir si voglia.

    I distinguo lessicali servono solo per concettualizzare le idee, per dimostrarsi faziosi e niente più.

    E’ l’uso invalso, la tendenza nazionale …. polemizzare e fare distinguo, mantenere le proprie posizioni e proporre distinzioni concettuali (ovviamente precostituite ad uso e consumo delle proprie idee).

    C’è una sostanza nelle cose.

    A chi ed a cosa servono i vostri distinguo???

    E quelli di Capuozzo???

  14. Chi? Toni Capuozzo, detto il Savonarola con l’esaurimento nervoso?
    La versione femminile della Fallaci?
    L’ex comunista convertito sulla via di Baghdad?
    Colui che (una volta tornato a casa)ha tirato fuori tutti gli scheletri delle Ong a partire dalla mancata denuncia dei crimini di Erode.
    Colui che qualsiasi televisione occidentale avrebbe licenziato IN TRONCO dopo un editoriale/sfogo allucinato e allucinante come quello di “Terra” della scorsa settimana?

    Insomma quello che ha finalmente capito come si fa carriera in Italia?

  15. Vacci tu, a quel paese, caro Paoletto.
    Io mi sento ancora di fare delle classificazioni, (se non altro per poter poi reagire correttamente agli stimoli che mi arrivano dall’esterno).
    Se per te un minchione che pensa di comprarsi casa lavorando un paio di mesi in zona di guerra come “guardia del corpo” è da mettere sullo strsso piano di uno che rischia la pelle per consegnare acqua potabile e medicinali ad una cittadinanza stremata da 15 giorni di bombardamenti da parte del più potente esercito del mondo (e non dalle autobombe), allora mi spiace: non ci sono proprio spiragli di dialogo, tra noi due.

  16. Fare carriera in Italia…di modi ce ne sono parecchi.
    Per esempio andare con una ONG in Iraq con un lauto stipendio,farsi rapire e poi,una volta rilasciati,ringraziare i rapitori per l’ottimo cous cous.
    Vedrai se le due sceme non fanno carriera…Rai3 e l’Unità già attendono…

  17. Caro GB, non essere ingiusto nei confronti degli altri 30mila volontari italiani in giro per il mondo che pur spassandosela non assurgono agli onori della cronaca.
    Per diventare famosi bisogna soprattutto essere rapiti, uscirne vivi e fare incazzare mezza Italia. Tutti gli altri, compresi i morti, dopo una settimana non se li fila più nessuno.

  18. Giordano Bruno e allora vai con un Ong in Iraq lautamente pagato. Anzi, se vuoi una colletta la si fa qui, basta se ci assicuri che vai. E qualche blogger bene introdotto che ti raccomanda per farti entrare in un ong a la page lo si trova.
    Vai, e quando torni non dimenticarti di noi che ti ci stiamo mandando.

  19. Beh, allora ti potrei procurare una possibilità di carriera molto interessante e normalmente trascurata dai media: in Afghanistan cercano disperatamente scrutatori per i seggi elettorali, altrimenti non si potrà votare.
    Può interessare? Anche lì pagano bene e se per miracolo riuscirai a portare a casa la pelle, sai le interviste…

  20. X Giordanobruno
    hai ragione, questo è sicuramente uno dei modi migliori. Tu dici che avranno fatto un corso di formazione? Pensa che ho un amico scemo che invece è andato in Kosovo dove lì non lo rapisce nessuno. Tra l’altro so per certo che anche Baldoni voleva fare lo stesso, ma poi quello che lo raccomandava è caduto in disgrazia….

  21. Tommaso, a far lo scrutatore finisci senz’altro coinvoloto in qualche vero o presunto broglio. Al ritorno in Patria saresti dichiarato “fascista di merda” dai comunisti e “comunista di merda” dai fascisti. Fidati, meglio preparare gli esami a distanza e scrivere sei o sette articoli al giorno per un blog su Internet, evidentemente là non c’è molto altro da fare.

  22. Sul fatto che Capuozzo abbia una capa pensante e sia decisamente sopra la media dei suoi colleghi in quanto a efficienza delle sinapsi, non ci piove. Ma personalmente, al di là della condivisone o meno delle sue opinioni sull’Iraq, non posso dimenticare quando nell’aprile del 2002 lasciò alla chetichella la basilica della Natività, a Betlemme, nella quale era rimasto intrappolato insieme ad altri giornalisti italiani, dopo che un gruppo di 240 palestinesi si era asserragliato all’interno. Ricordate? Dopo giorni di drammatica tensione, durante i quali venne paventata l’incursione delle forze speciali israeliane, la vicenda si concluse con la resa dei palestinesi. Intanto, dalla basilica le notizie venivano diffuse da chi giornalista non era ma aveva avuto il coraggio di restare, a cominciare dai religiosi (oltre 50), per continuare il proprio lavoro, ma soprattutto per offrire un valido motivo di deterrenza ad un’azione di forza che si sarebbe consumata nel sangue. In quel drammatico frangente credo che Capuozzo ed i suoi colleghi si accorsero, loro malgrado, che per essere un grande inviato di guerra non basta essere alle dipendenze di un grande giornale, ci vogliono anche le palle. A suo merito, però, c’è da dire che fu l’unico a denunciare pubblicamente e con gli occhi bassi il disagio che provava per la scelta compiuta, mentre gli altri si affrettarono al trucco ed ai satellitari per la corrispondenza più pelosa che abbia mai letto o sentito.

  23. Ehm… Simon, non per fare il bastian contrario, ma la vicenda non si concluse con la “resa” dei palestinesi, bensì con la loro liberazione.

  24. Resa Tommaso, resa. Resa, in cambio di salvacondotto, dei terroristi armati di Hamas, Jihad Islamica etc. che si erano asserragliati nella chiesa tenendo in ostaggio religiosi e giornalisti. C’è un limite alla faziosità, dovresti saperlo.

  25. Perché avete un mitra sempre pronto a sparare (merda, insulti & co) sul primo che parla o scrive cose diverse dal vostro pensiero? Voglio dire, ci metto tutti.
    La mia opinione (per quanto possa interessare):non penso che in Italia dire le cose che si pensano in tv sia il modo migliore di far carriera. Le bandierine fanno carriera. I sedicenti giornalisti obiettivi fanno carriera. Poi questi ultimi però ce li ritroviamo in corsa per un seggio europeo. Tra Capuozzo e Gruber preferisco il primo. Almeno evitava di chiamare resistenti chi butta bombe in mezzo a bambini che prendevano caramelle dagli americani.

  26. Cara Viscontessa, non ci prendi: pero’ la battua sul filo-logico e’ carina. Argomentavo che “mercenario” non e’ un insulto in se’, altrimenti lo sarebbe anche “soldato”, cosa che coinvolgerebbe anche chi ha combattuto per cause giuste: spesso, bada bene, senza saperlo.

    Per il resto, non mi fare cosi’ manicheo: se la resistenza irakena e’ quella dei tagliatori di teste, non e’ cosa da elogiarsi.

    “Resistenza” o “Terrorismo” sono categorie che si compenetrano, i terroristi spesso resistono a qualcosa (tranne al piu’ quelli alla vaccinara degli anni 70) e chi fa resistenza spesso non disdegna atti di terrorismo (v. via Rasella).

    E’ solo il giudizio storico “a posteriori” a scindere le due categorie.

    Per quello che riguarda me, penso che Saddam fosse un despota sanguinario, che la guerra in Irak sia stata un grossolano errore strategico coperta con bugie miserevoli, che gli interessi sottostanti siano inconfessabili, compresi quelli dei gruppuscoli piu’ o meno musulmani e piu’ o meno indipendentisti che chiedono miliardi e mozzano capocce.

    Ciononostante, lo strazio che si e’ fatto a destra della figura di Baldoni e a sinistra di quella di Quattrocchi mi danno il voltastomaco. Chiaro?

  27. John Charles, quasi condividevo quasi tutto il tuo ultimo intervento, solo una piccola richiesta di chiarimento:
    che cosa classificherebbe Via Rasella come atto di “terrorismo”?

  28. Beh, John Charles ha perfettamente ragione: spesso i “restistenti” hanno fatto uso di tattiche terroristiche. Dopo, vedendo la storia da lontano si fanno le distinzioni.

    Rimane il mio forte dubbio iniziale: secondo me in Iraq esistono forze che in qualche modo si oppongono all’invasione americana (e questo non è un giudizio di valore sugli uni o sugli altri), e altre forze che giocano un’altra partita.

    fare dei dinstinguo in questo caso può essere vitale per sconfiggere il terrorismo, quello vero: dialogare con i sunniti potrebbe aiutare a ridurre il casino e concentrare le forze sugli obiettivi veri (già ma quali sono? Colonizzare l’Iraq?).

    Ma questo significa fare politica, ci vogliono le palle, molte palle, ma non quelle di cannone.

  29. John, quando si parla di “soldati” si intende normalmente uomini appartenenti all’esercito regolare.
    Non sempre volontari, anche se le cose ultimamente sono un po’ cambiate.
    Per “mercenari” si intende invece coloro disposti, per soldi, ad arruolarsi per un qualsiasi esercito, fosse anche di cialtroni.
    La differenza c’è eccome.

    Cio’ detto, in questo frangente, io non ho simpatia nè per gli uni nè per gli altri.

  30. lo ammetto, sono partigiano, ma ve lo devo dire,
    a Toni Capuozzo gli darei il Pulitzer.

  31. il pulitzer delle fesserie, forse
    io me le ricordo ,le cronache Di Capuozzo dall’Iraq ,subito dopo la fine della guerra
    erano obiettive e imparziali, si
    gli iracheni ci volevano bene
    tutto andava per il meglio
    la vita stava riprendendo serena e felice
    infatti
    ottimo giornalista, come no

  32. 1984 è mica quel libro che anticipava il degenero comunista? Ma qua andiamo talmente bene che Orwell passa per l’inventore del reality-show…

  33. Ritorno a casa
    Testo toni capuozzo per 2 puntata TERRA! 3 ottobre 2004

    Il ritorno a casa, a volte, è un sollievo amaro. No, non per quello che dichiarano le due Simona. Su questo bisognerebbe essere chiari: hanno il diritto di dire quello che vogliono, ed è persino piacevole sapere che sono tornate a essere quelle di prima, che il sequestro non le ha piegate, non ha cambiato il loro modo di vedere il mondo, o che sono riuscite a sfuggire ai fantasmi aggrappandosi alle vecchie abitudini, come per un riflesso automatico: sono sempre io, sono le stesse di sempre. Non è questione di gratitudine, o di quel mediocre senso dell’opportunità che spinge persino gli eroi della partita, la domenica, a dire che il merito è di tutta la squadra, a ringraziare il mister e l’assist, e l’importanza del risultato. No, dobbiamo essere contenti che siano così, di nuovo, e ripetere, aggiustandola all’occasione, la vecchia frase: non sono d’accordo con quello che dici, ma mi batterò fino in fondo perché tu abbia il diritto di dirlo. A volte, quando parliamo, parliamo di cose diverse: il loro Islam non è il nostro Islam, la loro resistenza non è la nostra resistenza, la loro occupazione americana non è la nostra occupazione americana, e perfino le loro donne e i loro bambini non sono le nostre stesse donne e i nostri stessi bambini: quando noi sentiamo la parola Islam ci scappa di pensare a una sacralità della vita individuale che in quel gorgo di passioni si è persa e sarebbe sleale nei loro confronti non ricordarglielo, non imputargli le loro sviste, non pretendere che si assumano le proprie responsabilità, che riscattino se stessi e il loro mondo. Quando loro parlano di resistenza, noi abbiamo in mente Kenneth Bigley in gabbia. Quando loro parlano di occupazione americana noi abbiamo in mente che quel paese va aiutato a farcela da soli, e se gli americani andassero via sarebbe un macello peggiore. Quando loro parlano di donne, noi abbiamo in mente l’umiliazione della donna come un segnale, a tutti, dell’umiliazione dei diritti, delle diversità, della dignità. Quando loro parlano di bambini, noi abbiamo in mente le caramelle e le autobombe. Ma non è a loro che dobbiamo chiedere di essere normali, o speciali, o rimproverare a loro l’affetto e la pena che abbiamo provato per loro, chiedendole di continuare a essere chissà che cosa. Sono state, per poco più di venti giorni, due figlie d’Italia, e ai figli si finisce per perdonare tutto, e non si può chiedere loro di assomigliarci troppo: alla fine, vanno sempre per la loro strada, e dobbiamo volergli bene per quello che sono, non per quello che vorremmo che fossero.
    Sono altri, quelli che sbagliano. Sono altri, che sotto i faretti delle telecamere rivelano smagliature etiche che si sciolgono come un trucco precario. La loro organizzazione, ad esempio. Non erano campioni di libertà prima. Avevano ingoiato senza fastidio, e con una buona dose di relativismo morale, tutti gli orrori del regime di Saddam Hussein. Passavano davanti ad Abu Graib e guardavano dall’altra parte. Vedevano gli sfarzi della corte e i miserabili tornaconti dei funzionari internazionali, eppure era solo contro l’embargo che puntavano il dito. Scendevano i gradini di un abisso morale, tacendo, e salivano quelli della nomenclatura: distribuivano visti, e mettevano a tacere la propria coscienza scavando un pozzo per la povera gente, facendo un doposcuola, portando medicine: più o meno, come aprire un pronto soccorso in un lager nazista, infermieri buoni e ciechi e sordomuti. Un patto sordido, su cui l’informazione italiana stendeva un velo, in cambio di visti, o con il solo ammiccamento di un sentire comune: l’odio per l’America, più forte di quello per Saddam, piccolo Saladino delle resistenze. E come si fa, quando il tuo passato è questo a dire, che so: hanno tirato dei colpi di mortaio contro la nostra sede, facciamo tornare a casa le ragazze. Era solo un incidente di percorso, via. E nel concordato amichevole ci sta tutto: dire che le ong restano in Iraq, armiamoci e partite. Dire che il sequestro è anomalo, vuoi vedere che c’è lo zampino dell’America, un compagno resistente non può averlo fatto. Dire molte cose, ma dette tutte da Roma, lascia che in Iraq ci vada Scelli, e ci restino i ventiquattro della Croce Rossa, che non è una organizzazione non governativa, che non è un piccolo partito mascherato di bontà, che non ha ideologie, e solo tante piccole competenze professionali, e buona volontà di gente comune, medici napoletani e analisti milanesi, che votano ognuno per conto loro, e non fanno manifestazioni, o le fanno come singoli, gente senza striscioni e con una sola, banale bandiera, un tricolore così, solo per dire siamo italiani. E’ normale, allora, che alla fine della constatazione amichevole scappi detto, nell’ora della gloria: “Sono libere, adesso torni a casa il contingente italiano”. Non una parola per gli altri ostaggi, non una parola per il ricordo di nassirja, non una parola per Fabrizio Quattrocchi, non una parola per Enzo Baldoni, non una parola per chi resta in gabbia. C’ è da aver paura di gente che vuol fare il bene e nutre così tanti rancori, e tutta l’umanità di cui sono capaci è di tornare alle parole d’ordine, alla politica, alla trincea. C’è da capire che quegli occhi socchiusi sulle tragedie dei curdi uccisi dai gas, sull’inferno delle prigioni, sui feddayn di Saddam che allora impararono a usare il coltello sul collo della gente, sui massacri degli sciti, quegli occhi hanno imparato a guardare altrove come un mestiere. Non vogliamo fare grandi discorsi, e le storie piccole a volte sono meglio. C’è un bambino che a scuola, nelle scuole di Saddam raccontò una barzelletta: l’aveva sentita da altri, da qualche adulto. Dunque Saddam decide di liberalizzar ei visti di uscita dal paese, e subito si crea una grande coda. Allora Saddam dice, ci vado anch’io, voglio anch’io il mio visto. Arriva, e tutti se ne vanno. Ma perché, chiede Saddam. Se vai via tu, allora possiamo restare noi, dicono tutti. Non fa molto ridere, ma ha riso una sola volta il bambino che la raccontò: è scomparso per sempre, e i missionari armati di bandiere non hanno avuto modo di aiutarlo. Insomma, prima dei misteri dei venti giorni del sequestro, c’è il mistero di dieci anni di relativismo morale.
    Appunto, il sequestro. Che purtroppo non era opera della Cia, né di comodi criminali comuni. Ma della resistenza. Una resistenza sospettosa e pronta al colpo alla nuca. Ma se tu li convinci, e se non ti sfiorano, e se ti chiedono perfino perdono, e ti assolvono, ecco che perfino il ghigno del terrore, del sequestro delle libertà, diventa un sorriso. E si può scrivere sui muri: liberata la pace. E i camionisti turchi, per loro niente pace. E i fantasmi di Quattrocchi e di Baldoni, e degli americani che non destano pietà sono ombre sullo sfondo: qualcosa che assomiglia alla devozione perduta di quei comunisti che finivano davanti ai plotoni di Stalin, e benedicevano il comunismo, e l’abiezione dell’ideologia li portava qualche volta a confessare colpe non commesse, a fare nomi di compagni di sventura, a morire come si accetta un castigo meritato: chi non lo faceva impazziva, e il regime esigeva le confessioni non per dare una morte che sarebbe venuta comunque, ma per dominare i cuori e le anime, prima che i corpi. Volevano ucciderle, un fuoco amico perché le spie vanno uccise. I camionisti turchi, gente che non va all’estero per salvare il mondo ma per dare da mangiare a una famiglia, gente senza faretti di telecamere e che per bandiera hanno pance da autisti e pantaloni sporchi di diesel, sono stati uccisi nel numero di trenta, finora, senza constatazione amichevole: e senza pietà, non gli hanno regalato neanche una paginetta del corano, né dolci, né scuse. E gli altri in mano ai boia, questi arcangeli vendicatori che usano il velo per mascherarsi, razza di uomini coraggiosi, coltelli spregevoli e vigliacchi. Ma quelli sono altri incidenti, che non fanno statistica, o forse collaboravano con l’occupazione, anche la pietà ha i suoi confini. I sequestratori non volevano soldi, volevano giustizia, a modo loro. E siccome gli sfuggiva che l’argomento riscatto è un dolcetto per le polemiche italiane, si sono arrabbiati con i mediatori, quando la storia è saltata fuori, sospettando un’avidità che stonava con la severità del loro tribunale da inquisizione, con la loro feroce purezza, chiedono scusa anche se solo ti sfiorano una gamba. Tant’è che hanno gestito a modo loro la liberazione, firmandola con la consegna di una pistola, perché i mediatori hanno portafogli, non pistole. Portafogli vuoti, perché la resistenza non si vende, e pistole scariche, perché si uccidono solo le spie, o solo gli ostaggi cattivi, o solo nepalesi e turchi, che non commuovono neanche il cappellano del quartiere.
    I segreti non sono nel sequestro, che è perfino una storia piccola, con qualche casualità, e troppi padri nella vittoria, quando la sconfitta di Baldoni non ebbe neppure una madre. I segreti stanno dopo, in quel mondo che appare semplice, allo sguardo abbagliato di chi solleva il velo, ma anche allo sguardo storto di chi il velo non lo ha mai messo, tocca sempre agli altri, o alle altre.
    Il segreto è una parola d’ordine, una giaculatoria di appartenza, come quelle frasi che sono il cemento delle sette, americane oppure orientali, qui non importa. Dice la formuletta: terrorismo no, resistenza sì. Nel bollettino di guerra forse vuol dire autobomba contro il convoglio americano, ok, il prezzo è giusto, autobomba contro le reclute in fila, insomma vediamo, autobomba contro i bambini e le caramelle, errore, forse succede, sequestro di Quattrocchi, bèh se l’erano cercata, sequestro di civili: se sei innocente ti liberano, certo il sequestro di civili non va. Ora se uno pensa che i terroristi siano quattro gatti, o Zarkawi e altri tre, si sbaglia. Il terrore gode simpatie, in Iraq. Appoggi, complicità. Il terrorismo paga, funziona, vince le sue battaglie. Tu uccidi gli interpreti, e io mi guardo bene dal fare l’interprete. Un solo esempio storico, per i più giovani, tanto per capire come il terrorismo funzioni, e come diventi una maledizione, se lo abbracci come una tattica usa e getta, e invece torna fuori perché il terrorismo è una metastasi che corrompe anche le ragioni comprensibili, che si ribella a essere un mezzo, che diventa un fine, e fine a se stesso. Come credete voi che Arafat sia arrivato al Nobel per la pace ? I palestinesi, dimenticati dal mondo, scelsero il terrorismo, quando voi non eravate neanche nati. Uccisero atleti alle olimpiadi, dirottarono aerei, uno dopo l’altro. E imposero il loro problema, vero e reale, al mondo. Diventarono qualcos’altro: un popolo in esilio a casa sua, una causa rispettabile, palchi e sedie ai convegni, e una rivolta, ragazzini con le pietre contro i blindati, che suscitava la tenerezza che si prova per i ragazzi della via Pal – ma anche quello è un libro d’altri tempi. E dunque, Nobel, e kefia. Poi è tornato fuori, il terrorismo, come un fiume carsico, a dannare e sporcare le ragioni dei palestinesi, perché le condanne del sangue nei bar dei ragazzi, nelle discoteche di Israele, erano condanne di opportunità, e relative: e i nostri bambini, e i nostri profughi, e l’occupazione ? Se uno pensa che le radici del terrorismo siano solo nelle cause, nella povertà o nell’assenza di diritti, e che questo in qualche modo lo legittimi, salvo incidenti di percorso disdicevoli, allora uno ha il velo davanti agli occhi, e sussurra, schizzinoso, terrorismo no, resistenza sì, condannando, con semplicità morale anche qualunque resistenza a perdersi. Perché non si rende conto che una volta che hai sacrificato al fine, nobile e bello, ogni mezzo possibile, hai venduto l’anima, sei perso. Se hai ucciso un camionista qualunque oggi, quale mondo migliore costruirai domani ? Se fai strage di ragazzini con la mano tesa alle caramelle, che scuole farai nel mondo migliore ? Allora accettare la distinzione tra terrorismo e resistenza è un suicidio: la resistenza che accetta il terrorismo è morta, o assassina, che fa lo stesso. Ma se si chiudono gli occhi sulle barbarie di Saddam, si possono anche chiudere gli occhi su altre barbarie, e rifugiarsi nelle certezze sgranate come un rosario. Un rosario arrogante, che non si fa sgranare dalle incertezze della vita. Sono altri, gli uomini semplici, che guardano il mondo e si imbattono nella vita e invecchiano e cambiano, senza docilità, se riescono a invecchiare. C’è l’11 settembre ? Il mio mondo, la mia vita è cambiata. Sono gli Agliana e gli Stefio e i Cupertino che hanno la vita rovesciata, sono gli uomini soli e senza risposte, e con troppi perché,. Loro no, hanno la risposta pronta, lo schemino che spiega il mondo. E spiega la storia e viviseziona i ricordi secondo memoria di comodo, doppie morali, e verità unica. L’Islam delle anime belle, che assomiglia a un esotico the nel deserto, non esisteva quando a morire erano i musulmani di Sarajevo. Quante fiaccolate avete visto ? Chiedete loro, alle anime belle come si chiamavano quei volontari bresciani uccisi per portare medicine in Bosnia, o come si chiamava quel pacifista che andò a morire su un ponte della Milijacka. Non lo sanno, perché, oscurate dal velo, le anime belle avevano scambiato gli assedianti di Sarajevo per la sinistra possibile. Erano sinistri, ma in un altro senso. Chiedete a loro cos’era il ponte per Sarajevo, un ponte in minuscolo, e chiedete quanti uomini d’equipaggio aveva l’aereo che portava coperte a Sarajevo, e venne abbattuto. No, quelli erano morti senza bandiera, solo una divisa e un senso del dovere, i morti da ricordare sono Carlo Giuliani e Ilaria Alpi, già la Cutuli serve poco alla causa. Chiedete a loro, ai santonid ei dibattiti e degli striscioni, perché non stanno in Iraq, adesso. Perché gli amputati da autobomba non hanno diritto a una protesi, i secondi passi sono assicurati solo agli amputati dallo zio Sam. Chiedete non alle due Simona, povere figlie nostre, che hanno diritto di dire quello che vogliono, e persino di diventare europarlamentari, alla prossima puntata, chiedetelo ai confratelli perché non vanno adesso a fare gli scudi umani non diciamo nella cabina dei camionisti turchi, ma a Falluja. Chiedete a loro perché le idee non cambiano, perché se un amico ti tradisce, o uno che conoscevi si rivela diverso tutto resta uguale, nel regno confortante delle ideologia senza dubbi, delle sicumere a risposta pronta: l’occupazione americana, magari scritta con il kappa. Chiedetegli il nome non dico dei diciassette ragazzi e padri di Nassirya, che vestivano una divisa, che sono andati a morire con il senso del dovere con cui a Genova si erano puliti dagli sputi dell’Italia civile che non voleva il G8, chiedetegli il nome dei due civili morti a Nassirya da giornalisti. Per loro niente manifesti. Per loro nessuna indignazione. Fa indignare Terra!, dice l’onorevole vellutato che attacchiamo l’Islam. Non gli passa per la testa che chiedere all’islam di ribellarsi al silenzio, di rispettare, oltre che se stesso, anche noi, è un segno di lealtà, è aiutarli a uscire dalle ambiguità, dalle frustrazioni, dal totalitarismo religioso, dall’ipocrisia che piace tanto ai santini ecumenici. Cari fratelli interreligiosi, che avete pregato con Tareq Aziz, vogliamo spenderla un’ultima parola di conforto, anche per Kenneth Bigley, un’estrema unzione coraggiosa. E voi, generosi e confusi scudi umani, vogliamo andare adesso in Iraq, e offrire i petti sulle case di Falluja, non chiediamo che si mescolino alle reclute in coda ? Non sono domande retoriche, perché le rivolgiamo anche a noi stessi le domande scomode. Chiediamo a noi stessi, noi che non abbiamo verità in tasca, noi che non ci nascondiamo, macchè imbarazzo, ma sdegno per ogni vittima innocente di falluja, noi che non accettiamo che la caccia a Zarkawi abbia danni collaterali, noi che siamo tormentati dai dubbi, ci chiediamo che cosa fare, e non abbiamo risposte pronte, solo l’orgoglio di avere verità confuse, ma anche una morale sola. Noi anime semplici e senza arroganza, che non abbiamo bisogno di eroi e di eroine, noi che non smaniamo per fare del bene, né per andare in Iraq, noi che non inganniamo la generosità dei giovani, noi che non aspiriamo a nessun seggio e a nessun governo del paese, noi che ci annoiamo a qualunque chiarificazione nella sinistra e a ogni dibattito nella destra, noi che ci auguriamo sì che i nostri coetanei di nassirja tornino tutti, dal primo all’ultimo a casa, ma con la soddisfazione di un lavoro compiuto, non con la vergogna di essere stati complici di chissà cosa, noi proviamo solo a immaginare, come se fosse un videoclip, come se fosse una pubblicità, che in una piazza di Bagdad, in un tempo futuro che sa di passato, proviamo a immaginare un vecchio uomo che parla alla folla, iracheni qualunque, che dice che ognuno ha diritto di pensarla a modo suo, e ci si può contare nel voto, e le elezioni sono un modo leale di dirimere le questioni, e di rispettarsi l’un l’altro, chi ama il velo e chi se ne infastidisce, e d’altronde, che altro si può fare, non c’è un’altra scelta. Sì, è un’immagine scippata o sequestrata alla pubblicità, sempre meglio che appropriarsi della parola resistenza per mettere una medaglia al petto dei nazisti dei giorni nostri, Dio è con noi, gli ebrei e i capitalisti di Wall Street governano il mondo, la purezza del velo e i versetti del Corano valgono adesso come gli occhi azzurri e i capelli biondi, e la figlia di un camionista turco sta scrivendo un suo diario che non leggeremo mai, noi siamo stanchi di parole d’ordine e non diremo ora e sempre resistenza, diremo solo siamo a casa, in questa casa disordinata e comune delle due Simona, di Agliana e Cupertino e Stefio. Una casa dalle stanze vuote: i diciannove di Nassirya, , le stanze degli appuntati e dei marescialli, e dei tenenti, ci immaginiamo un cappello sul cassettone, una medaglia e un diploma sul muro, la stanza di Enzo Baldoni che ci piace pensare colorata e innocente, la stanza della casa che Fabrizio Quattrocchi non riuscì a comprare. Lasciamole chiuse, quelle stanze, spegniamo i riflettori dei nostri inviati davanti alle case delle brave ragazze, impariamo il rispetto del silenzio, nelle nostre case con troppi vuoti. All’Iraq nessuna parola d’ordine, solo l’ineffabile ciao da cartolina, da gita domenicale o da fine tappa: ciao ai 24 della crocerossa, ciao ai ragazzi e alle ragazze di Nassirya, non fate caso a quel che si dice qui, continuate tranquilli a dare una mano a quel paese senza fortuna e poi tornate in questo nostro paese senza silenzio.

  34. Grazie Toni, ho trovato il tuo pezzo bellissimo. Non avresti anche quello della prima puntata di Terra?

  35. gentile Capuozzo, onestamente, in quale paese questo verrebbe considerato un servizio giornalistico?

    in maiuscolo, i passaggi che ho trovato più sgradevoli (eufemismo)

    Il ritorno a casa, a volte, è un sollievo amaro. No, non per quello che dichiarano le due Simona. Su questo bisognerebbe essere chiari: hanno il diritto di dire quello che vogliono, ed è persino piacevole sapere che sono tornate a essere quelle di prima, che il sequestro non le ha piegate, non ha cambiato il loro modo di vedere il mondo, o che sono riuscite a sfuggire ai fantasmi aggrappandosi alle vecchie abitudini, come per un riflesso automatico: sono sempre io, sono le stesse di sempre. Non è questione di gratitudine, o di quel mediocre senso dell’opportunità che spinge persino gli eroi della partita, la domenica, a dire che il merito è di tutta la squadra, a ringraziare il mister e l’assist, e l’importanza del risultato. No, dobbiamo essere contenti che siano così, di nuovo, e ripetere, aggiustandola all’occasione, la vecchia frase: non sono d’accordo con quello che dici, ma mi batterò fino in fondo perché tu abbia il diritto di dirlo. A volte, quando parliamo, parliamo di cose diverse: IL LORO ISLAM NON È IL NOSTRO ISLAM, LA LORO RESISTENZA NON È LA NOSTRA RESISTENZA, LA LORO OCCUPAZIONE AMERICANA NON È LA NOSTRA OCCUPAZIONE AMERICANA, E PERFINO LE LORO DONNE E I LORO BAMBINI NON SONO LE NOSTRE STESSE DONNE E I NOSTRI STESSI BAMBINI: quando noi sentiamo la parola Islam ci scappa di pensare a una sacralità della vita individuale che in quel gorgo di passioni si è persa e sarebbe sleale nei loro confronti non ricordarglielo, NON IMPUTARGLI LE LORO SVISTE, NON PRETENDERE CHE SI ASSUMANO LE PROPRIE RESPONSABILITÀ, che riscattino se stessi e il loro mondo. QUANDO LORO PARLANO DI RESISTENZA, NOI ABBIAMO IN MENTE KENNETH BIGLEY IN GABBIA. QUANDO LORO PARLANO DI OCCUPAZIONE AMERICANA NOI ABBIAMO IN MENTE CHE QUEL Paese Va Aiutato A Farcela Da Soli, e se gli americani andassero via sarebbe un macello peggiore. QUANDO LORO PARLANO DI DONNE, NOI ABBIAMO IN MENTE L’UMILIAZIONE DELLA DONNA COME UN SEGNALE, A TUTTI, DELL’UMILIAZIONE DEI DIRITTI, DELLE DIVERSITÀ, DELLA DIGNITÀ. QUANDO LORO PARLANO DI BAMBINI, NOI ABBIAMO IN MENTE LE CARAMELLE E LE AUTOBOMBE. MA NON È A LORO CHE DOBBIAMO CHIEDERE DI ESSERE NORMALI, O SPECIALI, O RIMPROVERARE A LORO L’AFFETTO E LA PENA CHE ABBIAMO PROVATO PER LORO, CHIEDENDOLE DI CONTINUARE A ESSERE CHISSÀ CHE COSA. Sono state, per poco più di venti giorni, due figlie d’Italia, e ai figli si finisce per perdonare tutto, e non si può chiedere loro di assomigliarci troppo: alla fine, vanno sempre per la loro strada, e dobbiamo volergli bene per quello che sono, non per quello che vorremmo che fossero.
    SONO ALTRI, QUELLI CHE SBAGLIANO. SONO ALTRI, CHE SOTTO I FARETTI DELLE TELECAMERE RIVELANO SMAGLIATURE ETICHE CHE SI SCIOLGONO COME UN TRUCCO PRECARIO. LA LORO ORGANIZZAZIONE, AD ESEMPIO. NON ERANO CAMPIONI DI LIBERTÀ PRIMA. AVEVANO INGOIATO SENZA FASTIDIO, E CON UNA BUONA DOSE DI RELATIVISMO MORALE, TUTTI GLI ORRORI DEL REGIME DI SADDAM HUSSEIN. PASSAVANO DAVANTI AD ABU GRAIB E GUARDAVANO DALL’ALTRA PARTE. VEDEVANO GLI SFARZI DELLA CORTE E I MISERABILI TORNACONTI DEI FUNZIONARI INTERNAZIONALI, EPPURE ERA SOLO CONTRO L’EMBARGO CHE PUNTAVANO IL DITO. SCENDEVANO I GRADINI DI UN ABISSO MORALE, TACENDO, E SALIVANO QUELLI DELLA NOMENCLATURA: DISTRIBUIVANO VISTI, E METTEVANO A TACERE LA PROPRIA COSCIENZA SCAVANDO UN POZZO PER LA POVERA GENTE, FACENDO UN DOPOSCUOLA, PORTANDO MEDICINE: PIÙ O MENO, COME APRIRE UN PRONTO SOCCORSO IN UN LAGER NAZISTA, INFERMIERI BUONI E CIECHI E SORDOMUTI. UN PATTO SORDIDO, SU CUI L’INFORMAZIONE ITALIANA STENDEVA UN VELO, IN CAMBIO DI VISTI, O CON IL SOLO AMMICCAMENTO DI UN SENTIRE COMUNE: L’ODIO PER L’AMERICA, PIÙ FORTE DI QUELLO PER SADDAM, PICCOLO SALADINO DELLE RESISTENZE. E COME SI FA, QUANDO IL TUO PASSATO È QUESTO A DIRE, CHE SO: HANNO TIRATO DEI COLPI DI MORTAIO CONTRO LA NOSTRA SEDE, FACCIAMO TORNARE A CASA LE RAGAZZE. ERA SOLO UN INCIDENTE DI PERCORSO, VIA. E NEL CONCORDATO AMICHEVOLE CI STA TUTTO: DIRE CHE LE ONG RESTANO IN IRAQ, ARMIAMOCI E PARTITE. DIRE CHE IL SEQUESTRO È ANOMALO, VUOI VEDERE CHE C’È LO ZAMPINO DELL’AMERICA, UN COMPAGNO RESISTENTE NON PUÒ AVERLO FATTO. DIRE MOLTE COSE, MA DETTE TUTTE DA ROMA, LASCIA CHE IN IRAQ CI VADA SCELLI, E CI RESTINO I VENTIQUATTRO DELLA CROCE ROSSA, CHE NON È UNA ORGANIZZAZIONE NON GOVERNATIVA, CHE NON È UN PICCOLO PARTITO MASCHERATO DI BONTÀ, CHE NON HA IDEOLOGIE, E SOLO TANTE PICCOLE COMPETENZE PROFESSIONALI, E BUONA VOLONTÀ DI GENTE COMUNE, MEDICI NAPOLETANI E ANALISTI MILANESI, CHE VOTANO OGNUNO PER CONTO LORO, E NON FANNO MANIFESTAZIONI, O LE FANNO COME SINGOLI, GENTE SENZA STRISCIONI E CON UNA SOLA, BANALE BANDIERA, UN TRICOLORE COSÌ, SOLO PER DIRE SIAMO ITALIANI. E’ NORMALE, ALLORA, CHE ALLA FINE DELLA CONSTATAZIONE AMICHEVOLE SCAPPI DETTO, NELL’ORA DELLA GLORIA: “SONO LIBERE, ADESSO TORNI A CASA IL CONTINGENTE ITALIANO”. NON UNA PAROLA PER GLI ALTRI OSTAGGI, NON UNA PAROLA PER IL RICORDO DI NASSIRJA, NON UNA PAROLA PER FABRIZIO QUATTROCCHI, NON UNA PAROLA PER ENZO BALDONI, NON UNA PAROLA PER CHI RESTA IN GABBIA. C’ È DA AVER PAURA DI GENTE CHE VUOL FARE IL BENE E NUTRE COSÌ TANTI RANCORI, E TUTTA L’UMANITÀ DI CUI SONO CAPACI È DI TORNARE ALLE PAROLE D’ORDINE, ALLA POLITICA, ALLA TRINCEA. C’È DA CAPIRE CHE QUEGLI OCCHI SOCCHIUSI SULLE TRAGEDIE DEI CURDI UCCISI DAI GAS, SULL’INFERNO DELLE PRIGIONI, SUI FEDDAYN DI SADDAM CHE ALLORA IMPARARONO A USARE IL COLTELLO SUL COLLO DELLA GENTE, SUI MASSACRI DEGLI SCITI, QUEGLI OCCHI HANNO IMPARATO A GUARDARE ALTROVE COME UN MESTIERE. NON VOGLIAMO FARE GRANDI DISCORSI, E LE STORIE PICCOLE A VOLTE SONO MEGLIO. C’è un bambino che a scuola, nelle scuole di Saddam raccontò una barzelletta: l’aveva sentita da altri, da qualche adulto. Dunque Saddam decide di liberalizzar ei visti di uscita dal paese, e subito si crea una grande coda. Allora Saddam dice, ci vado anch’io, voglio anch’io il mio visto. Arriva, e tutti se ne vanno. Ma perché, chiede Saddam. Se vai via tu, allora possiamo restare noi, dicono tutti. Non fa molto ridere, ma ha riso una sola volta il bambino che la raccontò: è scomparso per sempre, e i missionari armati di bandiere non hanno avuto modo di aiutarlo. Insomma, prima dei misteri dei venti giorni del sequestro, C’È IL MISTERO DI DIECI ANNI DI RELATIVISMO MORALE.
    APPUNTO, IL SEQUESTRO. CHE PURTROPPO NON ERA OPERA DELLA CIA, NÉ DI COMODI CRIMINALI COMUNI. MA DELLA RESISTENZA. UNA RESISTENZA SOSPETTOSA E PRONTA AL COLPO ALLA NUCA. MA SE TU LI CONVINCI, E SE NON TI SFIORANO, E SE TI CHIEDONO PERFINO PERDONO, E TI ASSOLVONO, ECCO CHE PERFINO IL GHIGNO DEL TERRORE, DEL SEQUESTRO DELLE LIBERTÀ, DIVENTA UN SORRISO. E SI PUÒ SCRIVERE SUI MURI: LIBERATA LA PACE. E I CAMIONISTI TURCHI, PER LORO NIENTE PACE. E I FANTASMI DI QUATTROCCHI E DI BALDONI, E DEGLI AMERICANI CHE NON DESTANO PIETÀ SONO OMBRE SULLO SFONDO: QUALCOSA CHE ASSOMIGLIA ALLA DEVOZIONE PERDUTA DI QUEI COMUNISTI CHE FINIVANO DAVANTI AI PLOTONI DI STALIN, E BENEDICEVANO IL COMUNISMO, E L’ABIEZIONE DELL’IDEOLOGIA LI PORTAVA QUALCHE VOLTA A CONFESSARE COLPE NON COMMESSE, A FARE NOMI DI COMPAGNI DI SVENTURA, A MORIRE COME SI ACCETTA UN CASTIGO MERITATO: chi non lo faceva impazziva, e il regime esigeva le confessioni non per dare una morte che sarebbe venuta comunque, ma per dominare i cuori e le anime, prima che i corpi. Volevano ucciderle, un fuoco amico perché le spie vanno uccise. I camionisti turchi, gente che non va all’estero per salvare il mondo ma per dare da mangiare a una famiglia, gente senza faretti di telecamere e che per bandiera hanno pance da autisti e pantaloni sporchi di diesel, sono stati uccisi nel numero di trenta, finora, senza constatazione amichevole: e senza pietà, non gli hanno regalato neanche una paginetta del corano, né dolci, né scuse. E gli altri in mano ai boia, questi arcangeli vendicatori che usano il velo per mascherarsi, razza di uomini coraggiosi, coltelli spregevoli e vigliacchi. Ma quelli sono altri incidenti, che non fanno statistica, o forse collaboravano con l’occupazione, anche la pietà ha i suoi confini. I sequestratori non volevano soldi, volevano giustizia, a modo loro. E siccome gli sfuggiva che l’argomento riscatto è un dolcetto per le polemiche italiane, si sono arrabbiati con i mediatori, quando la storia è saltata fuori, sospettando un’avidità che stonava con la severità del loro tribunale da inquisizione, con la loro feroce purezza, chiedono scusa anche se solo ti sfiorano una gamba. Tant’è che hanno gestito a modo loro la liberazione, firmandola con la consegna di una pistola, perché i mediatori hanno portafogli, non pistole. Portafogli vuoti, perché la resistenza non si vende, e pistole scariche, perché si uccidono solo le spie, o solo gli ostaggi cattivi, o solo nepalesi e turchi, che non commuovono neanche il cappellano del quartiere.
    I segreti non sono nel sequestro, che è perfino una storia piccola, con qualche casualità, E TROPPI PADRI NELLA VITTORIA, QUANDO LA SCONFITTA DI BALDONI NON EBBE NEPPURE UNA MADRE. I segreti stanno dopo, in quel mondo che appare semplice, allo sguardo abbagliato di chi solleva il velo, ma anche allo sguardo storto di chi il velo non lo ha mai messo, tocca sempre agli altri, o alle altre.
    Il segreto è una parola d’ordine, una giaculatoria di appartenza, come quelle frasi che sono il cemento delle sette, americane oppure orientali, qui non importa. DICE LA FORMULETTA: TERRORISMO NO, RESISTENZA SÌ. NEL BOLLETTINO DI GUERRA FORSE VUOL DIRE AUTOBOMBA CONTRO IL CONVOGLIO AMERICANO, OK, IL PREZZO È GIUSTO, AUTOBOMBA CONTRO LE RECLUTE IN FILA, INSOMMA VEDIAMO, AUTOBOMBA CONTRO I BAMBINI E LE CARAMELLE, ERRORE, FORSE SUCCEDE, SEQUESTRO DI QUATTROCCHI, BÈH SE L’ERANO CERCATA, sequestro di civili: se sei innocente ti liberano, certo il sequestro di civili non va. Ora se uno pensa che i terroristi siano quattro gatti, o Zarkawi e altri tre, si sbaglia. Il terrore gode simpatie, in Iraq. Appoggi, complicità. Il terrorismo paga, funziona, vince le sue battaglie. Tu uccidi gli interpreti, e io mi guardo bene dal fare l’interprete. Un solo esempio storico, per i più giovani, tanto per capire come il terrorismo funzioni, e come diventi una maledizione, se lo abbracci come una tattica usa e getta, e invece torna fuori perché il terrorismo è una metastasi che corrompe anche le ragioni comprensibili, che si ribella a essere un mezzo, che diventa un fine, e fine a se stesso. Come credete voi che Arafat sia arrivato al Nobel per la pace ? I palestinesi, dimenticati dal mondo, scelsero il terrorismo, quando voi non eravate neanche nati. Uccisero atleti alle olimpiadi, dirottarono aerei, uno dopo l’altro. E imposero il loro problema, vero e reale, al mondo. Diventarono qualcos’altro: un popolo in esilio a casa sua, una causa rispettabile, palchi e sedie ai convegni, e una rivolta, ragazzini con le pietre contro i blindati, che suscitava la tenerezza che si prova per i ragazzi della via Pal – ma anche quello è un libro d’altri tempi. E dunque, Nobel, e kefia. Poi è tornato fuori, il terrorismo, come un fiume carsico, a dannare e sporcare le ragioni dei palestinesi, perché le condanne del sangue nei bar dei ragazzi, nelle discoteche di Israele, erano condanne di opportunità, e relative: e i nostri bambini, e i nostri profughi, e l’occupazione ? Se uno pensa che le radici del terrorismo siano solo nelle cause, nella povertà o nell’assenza di diritti, e che questo in qualche modo lo legittimi, salvo incidenti di percorso disdicevoli, allora uno ha il velo davanti agli occhi, e sussurra, schizzinoso, terrorismo no, resistenza sì, condannando, con semplicità morale anche qualunque resistenza a perdersi. Perché non si rende conto che una volta che hai sacrificato al fine, nobile e bello, ogni mezzo possibile, hai venduto l’anima, sei perso. Se hai ucciso un camionista qualunque oggi, quale mondo migliore costruirai domani ? Se fai strage di ragazzini con la mano tesa alle caramelle, che scuole farai nel mondo migliore ? Allora accettare la distinzione tra terrorismo e resistenza è un suicidio: la resistenza che accetta il terrorismo è morta, o assassina, che fa lo stesso. Ma se si chiudono gli occhi sulle barbarie di Saddam, si possono anche chiudere gli occhi su altre barbarie, e rifugiarsi nelle certezze sgranate come un rosario. Un rosario arrogante, che non si fa sgranare dalle incertezze della vita. Sono altri, gli uomini semplici, che guardano il mondo e si imbattono nella vita e invecchiano e cambiano, senza docilità, se riescono a invecchiare. C’È L’11 SETTEMBRE ? IL MIO MONDO, LA MIA VITA È CAMBIATA. SONO GLI AGLIANA E GLI STEFIO E I CUPERTINO CHE HANNO LA VITA ROVESCIATA, SONO GLI UOMINI SOLI E SENZA RISPOSTE, E CON TROPPI PERCHÉ,. LORO NO, HANNO LA RISPOSTA PRONTA, LO SCHEMINO CHE SPIEGA IL MONDO. E SPIEGA LA STORIA E VIVISEZIONA I RICORDI SECONDO MEMORIA DI COMODO, DOPPIE MORALI, E VERITÀ UNICA. L’ISLAM DELLE ANIME BELLE, CHE ASSOMIGLIA A UN ESOTICO THE NEL DESERTO, NON ESISTEVA QUANDO A MORIRE ERANO I MUSULMANI DI SARAJEVO. QUANTE FIACCOLATE AVETE VISTO ? CHIEDETE LORO, ALLE ANIME BELLE COME SI CHIAMAVANO QUEI VOLONTARI BRESCIANI UCCISI PER PORTARE MEDICINE IN BOSNIA, O COME SI CHIAMAVA QUEL PACIFISTA CHE ANDÒ A MORIRE SU UN PONTE DELLA MILIJACKA. NON LO SANNO, PERCHÉ, OSCURATE DAL VELO, LE ANIME BELLE AVEVANO SCAMBIATO GLI ASSEDIANTI DI SARAJEVO PER LA SINISTRA POSSIBILE. Erano sinistri, ma in un altro senso. Chiedete a loro cos’era il ponte per Sarajevo, un ponte in minuscolo, e chiedete quanti uomini d’equipaggio aveva l’aereo che portava coperte a Sarajevo, e venne abbattuto. NO, QUELLI ERANO MORTI SENZA BANDIERA, SOLO UNA DIVISA E UN SENSO DEL DOVERE, I MORTI DA RICORDARE SONO CARLO GIULIANI E ILARIA ALPI, GIÀ LA CUTULI SERVE POCO ALLA CAUSA. CHIEDETE A LORO, AI SANTONID EI DIBATTITI E DEGLI STRISCIONI, PERCHÉ NON STANNO IN IRAQ, ADESSO. Perché gli amputati da autobomba non hanno diritto a una protesi, i secondi passi sono assicurati solo agli amputati dallo zio Sam. CHIEDETE NON ALLE DUE SIMONA, POVERE FIGLIE NOSTRE, CHE HANNO DIRITTO DI DIRE QUELLO CHE VOGLIONO, E PERSINO DI DIVENTARE EUROPARLAMENTARI, ALLA PROSSIMA PUNTATA, CHIEDETELO AI CONFRATELLI PERCHÉ NON VANNO ADESSO A FARE GLI SCUDI UMANI NON DICIAMO NELLA CABINA DEI CAMIONISTI TURCHI, MA A FALLUJA. CHIEDETE A LORO PERCHÉ LE IDEE NON CAMBIANO, PERCHÉ SE UN AMICO TI TRADISCE, O UNO CHE CONOSCEVI SI RIVELA DIVERSO TUTTO RESTA UGUALE, NEL REGNO CONFORTANTE DELLE IDEOLOGIA SENZA DUBBI, DELLE SICUMERE A RISPOSTA PRONTA: L’OCCUPAZIONE AMERICANA, MAGARI SCRITTA CON IL KAPPA. CHIEDETEGLI IL NOME NON DICO DEI DICIASSETTE RAGAZZI E PADRI DI NASSIRYA, CHE VESTIVANO UNA DIVISA, CHE SONO ANDATI A MORIRE CON IL SENSO DEL DOVERE CON CUI A GENOVA SI ERANO PULITI DAGLI SPUTI DELL’ITALIA CIVILE CHE NON VOLEVA IL G8, CHIEDETEGLI IL NOME DEI DUE CIVILI MORTI A NASSIRYA DA GIORNALISTI. PER LORO NIENTE MANIFESTI. PER LORO NESSUNA INDIGNAZIONE. FA INDIGNARE TERRA!, DICE L’ONOREVOLE VELLUTATO CHE ATTACCHIAMO L’ISLAM. NON GLI PASSA PER LA TESTA CHE CHIEDERE ALL’ISLAM DI RIBELLARSI AL SILENZIO, DI RISPETTARE, OLTRE CHE SE STESSO, ANCHE NOI, È UN SEGNO DI LEALTÀ, È AIUTARLI A USCIRE DALLE AMBIGUITÀ, DALLE FRUSTRAZIONI, DAL TOTALITARISMO RELIGIOSO, DALL’IPOCRISIA CHE PIACE TANTO AI SANTINI ECUMENICI. CARI FRATELLI INTERRELIGIOSI, CHE AVETE PREGATO CON TAREQ AZIZ, VOGLIAMO SPENDERLA UN’ULTIMA PAROLA DI CONFORTO, ANCHE PER KENNETH BIGLEY, UN’ESTREMA UNZIONE CORAGGIOSA. E VOI, GENEROSI E CONFUSI SCUDI UMANI, VOGLIAMO ANDARE ADESSO IN IRAQ, E OFFRIRE I PETTI SULLE CASE DI FALLUJA, NON CHIEDIAMO CHE SI MESCOLINO ALLE RECLUTE IN CODA ? NON SONO DOMANDE RETORICHE, PERCHÉ LE RIVOLGIAMO ANCHE A NOI STESSI LE DOMANDE SCOMODE. CHIEDIAMO A NOI STESSI, NOI CHE NON ABBIAMO VERITÀ IN TASCA, NOI CHE NON CI NASCONDIAMO, MACCHÈ IMBARAZZO, MA SDEGNO PER OGNI VITTIMA INNOCENTE DI FALLUJA, NOI CHE NON ACCETTIAMO CHE LA CACCIA A ZARKAWI ABBIA DANNI COLLATERALI, NOI CHE SIAMO TORMENTATI DAI DUBBI, CI CHIEDIAMO CHE COSA FARE, E NON ABBIAMO RISPOSTE PRONTE, SOLO L’ORGOGLIO DI AVERE VERITÀ CONFUSE, MA ANCHE UNA MORALE SOLA. NOI ANIME SEMPLICI E SENZA ARROGANZA, CHE NON ABBIAMO BISOGNO DI EROI E DI EROINE, NOI CHE NON SMANIAMO PER FARE DEL bene, né per andare in Iraq, noi che non inganniamo la generosità dei giovani, noi che non aspiriamo a nessun seggio e a nessun governo del paese, noi che ci annoiamo a qualunque chiarificazione nella sinistra e a ogni dibattito nella destra, noi che ci auguriamo sì che i nostri coetanei di nassirja tornino tutti, dal primo all’ultimo a casa, ma con la soddisfazione di un lavoro compiuto, non con la vergogna di essere stati complici di chissà cosa, noi proviamo solo a immaginare, come se fosse un videoclip, come se fosse una pubblicità, che in una piazza di Bagdad, in un tempo futuro che sa di passato, proviamo a immaginare un vecchio uomo che parla alla folla, iracheni qualunque, che dice che ognuno ha diritto di pensarla a modo suo, e ci si può contare nel voto, e le elezioni sono un modo leale di dirimere le questioni, e di rispettarsi l’un l’altro, chi ama il velo e chi se ne infastidisce, e d’altronde, che altro si può fare, non c’è un’altra scelta. Sì, è un’immagine scippata o sequestrata alla pubblicità, sempre meglio che appropriarsi della parola resistenza per mettere una medaglia al petto dei nazisti dei giorni nostri, Dio è con noi, gli ebrei e i capitalisti di Wall Street governano il mondo, la purezza del velo e i versetti del Corano valgono adesso come gli occhi azzurri e i capelli biondi, e la figlia di un camionista turco sta scrivendo un suo diario che non leggeremo mai, noi siamo stanchi di parole d’ordine e non diremo ora e sempre resistenza, diremo solo siamo a casa, in questa casa disordinata e comune delle due Simona, di Agliana e Cupertino e Stefio. Una casa dalle stanze vuote: i diciannove di Nassirya, , le stanze degli appuntati e dei marescialli, e dei tenenti, ci immaginiamo un cappello sul cassettone, una medaglia e un diploma sul muro, la stanza di Enzo Baldoni che ci piace pensare colorata e innocente, la stanza della casa che Fabrizio Quattrocchi non riuscì a comprare. Lasciamole chiuse, quelle stanze, spegniamo i riflettori dei nostri inviati davanti alle case delle brave ragazze, impariamo il rispetto del silenzio, nelle nostre case con troppi vuoti. All’Iraq nessuna parola d’ordine, solo l’ineffabile ciao da cartolina, da gita domenicale o da fine tappa: ciao ai 24 della crocerossa, ciao ai ragazzi e alle ragazze di Nassirya, non fate caso a quel che si dice qui, continuate tranquilli a dare una mano a quel paese senza fortuna e poi tornate in questo nostro paese senza silenzio.

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