Miccette e Napalm

Beppe GrilloStanno scaldando i silos, in previsione della campagna elettorale. Fra poco capiremo la loro reale potenza di fuoco, quella che verrà scatenata dagli innumerevoli artiglieri posizionati in questi due anni e passa di governo. Con tutte le carte in mano all’avversario, verrebbe voglia di ritirarsi in anticipo. E siamo in molti ad essere colpiti da una sorta di Crepuscolo degli Zebedei, nel vedere il modo in cui la sinistra d’apparato si prepara ai prossimi confronti d’urna. Ma non possiamo non farlo: ai loro bombardamenti a tappeto opporremo, in mancanza di meglio, i nostri cartuccini, i bengala, le miccette così inefficaci ma così fastidiose. Lascio il cerino a Beppe Grillo, che ho ricevuto e volentieri pubblico. Sarete d’accordo che si tratta di persona con una certa credibilità, se non altro perchè non ha mai fatto passerella per politici o padrini d’altra natura, e ha sempre speso le sue parole dotandole prima di una robusta documentazione. E un ringraziamento a Davide Sapienza e alla redazione di Internazionale.

IL CREPUSCOLO DELL’ITALIA (PARTE II)
di Beppe Grillo

IL SISTEMA FININVEST
Il sistema Fininvest e il sistema Italia per certi versi sono analoghi al sistema Parmalat: molta apparenza, conti falsi, corruzione, poca qualità, futuro in declino. Parmalat aveva conti falsi, ma produce milioni di tonnellate di alimenti che generano benessere reale per decine di milioni di persone in trenta paesi. Fininvest non è una multinazionale, come Parmalat, ma una “ipernazionale”. I suoi profitti provengono quasi esclusivamente dall’Italia e si basano su uno stretto legame con il sistema della politica italiana e della corruzione. La gran parte dei suoi guadagni viene dalla pubblicità obbligatoria, un’attività controversa che crea alla popolazione più danni che benefici. Più che profitti in un mercato competitivo, si tratta di una rendita senza rischi, basata sul monopolio, sullo statalismo, sulla produzione di niente di concreto. Sono miliardi di euro che, con il sistema della pubblicità obbligatoria, Fininvest “preleva dalle tasche degli italiani” quando questi – anche quelli che non guardano le sue televisioni – comprano i molti prodotti resi più cari dalla pubblicità.

Meriti e rischi ne ha pochi, perché il bombardamento pubblicitario è forzato e non è evitabile dai cittadini (altro che Casa delle libertà!), perché la televisione commerciale – privata o statale – è l’unico tipo di televisione in Italia e perché questa rendita pubblicitaria si fonda su concessioni statali di frequenze televisive ottenute corrompendo il potere politico ai tempi di Craxi. Senza queste concessioni statali, in quasi monopolio e in parte illegali, le rendite e il potere di Fininvest crollerebbero. Da due anni inoltre la Fininvest è ulteriormente garantita dalle centinaia di suoi uomini che hanno preso il controllo del governo, del parlamento e della televisione pubblica e che cercano ora di conquistare il controllo anche della magistratura e della banca centrale. La rendita senza rischi di Fininvest è inoltre facilitata dal fatto che molti dei settanta avvocati che Berlusconi ha fatto eleggere in parlamento usano nei processi contro Berlusconi e i suoi uomini le leggi a favore di Berlusconi che loro stessi propongono o approvano come parlamentari. Questi stessi avvocati – per esempio Pecorella, Taormina o Ghedini – sono ospiti frequenti nei talk show televisivi, dove continuano la loro difesa di Berlusconi nel “tribunale” italiano più importante, quello di milioni di telespettatori ed elettori, e spesso parlano in tv per ore senza un avversario al loro livello. Questo tipo di avvocati miliardari, star del foro, della televisione e del parlamento, rappresentano bene la concentrazione che è avvenuta in Italia del potere economico, esecutivo, legislativo e informativo nelle mani di un’unica azienda, la Fininvest. Grazie a una legge di Berlusconi – valida retroattivamente anche per i suoi falsi – il falso in bilancio è stato quasi completamente depenalizzato. Così è restato o è diventato una pratica diffusa non solo per aziende italiane come Parmalat, Fininvest e altre, ma anche per il governo. In Italia il vero rapporto tra deficit e pil nel 2003 non è inferiore al 3 per cento, come dichiarato dal governo, ma sarebbe superiore al 4 per cento se la contabilità creativa del ministro Tremonti – un ex commercialista di Berlusconi – non avesse contabilizzato per il 2003 gli introiti derivanti da enormi condoni fiscali ed edilizi e da vendite e alienazioni di beni dello stato che andrebbero distribuiti si molti anni. Quasi tutti sanno che questa contabilità è una truffa, ma fanno finta di non vedere. Come fingevano di non vedere la realtà Parmalat.

UN PAESE AL CREPUSCOLO
Se la situazione reale di Parmalat, di Fininvest e dello stato italiano non è all’altezza delle apparenze e della propaganda, la situazione dell’economia e delle società italiane – lo dico con tristezza e rabbia – non è migliore. Purtroppo la realtà dell’Italia non è all’altezza dell’immagine che la Ferrari e Armani diffondono nel mondo. L’Italia è in declino rapido, è un paese al crepuscolo. E’ per questo che il mio spettacolo si chiama Blackout e io entro in scena in una sala al buio, con in mano un candelabro. Faccio l’attore comico, il declino dell’Italia lo percepisco principalmente con gli occhi e le orecchie: vedo la pubblicità e la volgarità dilagare ovunque nel paesaggio, nei mezzi d’informazione, nella vita quotidiana. Dove prima c’erano capannoni industriali, oggi ci sono lunghe file di cartelloni pubblicitari; ritraggono spesso merci che una volta erano prodotte in quei luoghi ma oggi sono importate. Vedo il degrado dell’ambiente e della grandi città, sento il traffico e il rumore aumentare ovunque. Sento la gente: avvilimento, mancanza di prospettive, ignoranza e disinteresse per ciò che succede nel resto del mondo, egoismo, cattiveria e volgarità crescenti, chiusura nei propri affari e nella famiglia, declino del senso civico e della solidarietà. Anche se come artista avrei il diritto di farlo, non mi baso solo sulle mie impressioni. Io – attore vero – non voglio fare come Berlusconi – statista falso – che parla in televisione nascondendo i fatti e le statistiche, evocando sogni, promesse, miracoli e rivoluzioni. Mi piace documentarmi con dati e cifre nudi e crudi, senza lifting. Ai pochi stranieri che volessero ancora investire in Italia e ai molti italiani che volessero votare di nuovo per il sistema Fininvest-Forza Italia consiglio due piccoli libri: “Il mondo in cifre 2004”, una sintetica raccolta di statistiche internazionali curata dall’Economist (e pubblicata da Internazionale) e “Il declino dell’Italia”, un inquietante libro del giornalista economico Roberto Petrini (Laterza). Spendendo meno di trenta euro in questi due libretti, chi si volesse documentare sul crepuscolo italiano può forse schivare ulteriori guai e investimenti sbagliati. Se parlo di crepuscolo dell’Italia, non mi baso solo sulle mie impressioni del presente, ma anche sugli indicatori che ci segnalano il futuro del paese. E questi indicatori mettono tristezza. L’Italia sta diventando un ex paese industriale che ha smantellato o sta smantellando buona parte della sua industria, una volta ben piazzata nel mondo: chimica, farmaceutica, informatica, elettronica, aeronautica, forse presto anche automobilistica. L’Italia è il paese con più persone anziane al mondo e con la minore fertilità tra i paesi industrializzati: da anni le nascite sono meno delle morti. I nostri livelli di istruzione, di cultura, di ricerca scientifica e tecnologica sono tra i più bassi in Europa. Tra i paesi industriali abbiamo una delle più basse percentuali di laureati e il più alto numero di maghi, pubblicitari e guaritori. Invece di investire e lavorare per il futuro stiamo consumando allegramente le ultime risorse che ci rimangono. Nella quota delle esportazioni mondiali in dieci anni siamo scesi dal 5 al 3,6 per cento. Nelle esportazioni mondiali di prodotti tecnologici stiamo scomparendo con un piccolo 2,5 per cento , mentre Francia e Germania sono al 6 e all8 per cento. Esaminando la posizione dell’Italia nel contesto internazionale non c’è da stupirsi se siamo il paese industriale che attira meno capitali stranieri. Gli investimenti delle multinazionali in Italia sono diminuiti dell’11 per cento nel 2001, del 44 per cento nel 2002. Per bocca di due dei suoi ministri più influenti il governo italiano afferma che l’Unione europea è dominata dai “nazisti rossi”. Uno di loro dice che l’Europa è “forcolandia”, che con il fallimento della costituzione europea a Bruxelles “siamo riusciti a fermare l’impero comunista che stava tornando”, che “l’euro è la rapina del millennio. L’hanno inventata i massoni”. Se foste un investitore straniero mettereste i vostri soldi in un paese governato da gente così?

INDICATORI DESOLANTI
Se osserviamo la posizione dell’Italia in alcune classifiche internazionali può sembrare quella di un paese fortunato: settimo pil al mondo, quarto posto tra i grandi paesi per numero di automobili e di telefonini per abitante. Ma se analizziamo gli indicatori che danno un’immagine più completa dell’Italia e soprattutto delle sue opportunità per il futuro, allora siamo al crepuscolo. In una ventina dei principali indicatori internazionali che delineano il futuro e la dinamica di un paese, l’Italia si trova tra il ventesimo e il quarantesimo posto. Gli stati che più spesso ci accompagnano in queste classifiche sono paesi in via di sviluppo (Colombia, Namibia, Sri Lanka, Cina, Brasile), paesi dell’Europa dell’est in transizione (Slovenia, Estonia, Slovacchia) o nel migliore dei casi i meno sviluppati tra i paesi europei (Spagna, Portogallo, Grecia). La differenza preoccupante tra l’Italia e questi paesi è che loro da anni stanno salendo nelle classifiche internazionali, noi invece stiamo scendendo. Ogni anno ci incontriamo con loro sui pianerottoli della scala internazionale: li vediamo salire e noi scendiamo di un’altra rampa. (.)

FINE DI UN’ERA
E’ incredibile la profondità del declino italiano. Nel rinascimento siamo stati un faro della cultura, della scienza, dell’innovazione e della finanza in Europa. Nella musica e nella tecnica bancaria ancora oggi molti termini tecnici in tedesco e in inglese sono parole italiane (sonata, adagio, fortissimo oppure aggio, incasso, sconto, lombard) a testimonianza dei secoli in cui eravamo il paese di riferimento in quei campi. Più tardi abbiamo inventato l’elicottero, l’aliscafo, il batiscafo, il telefono, la radio. Oggi però non inventiamo quasi niente, l’Italia ha meno premi Nobel del solo Politecnico di Zurigo, il nostro export si basa su prodotti di bassa tecnologia che presto vedranno la concorrenza dei paesi emergenti, mentre nei prodotti ad alta tecnologia non possiamo competere con le nazioni più avanzate. I nostri manager in compenso vogliono orientarsi per i loro stipendi agli Stati Uniti e per quelli dei loro dipendenti alla Bulgaria o alla Cina. Il numero dei laureati italiani che lavorano all’estero è sette volte maggiore del numero dei laureati stranieri che lavorano in Italia. Per decenni buona parte della grande industria e dell’export italiano hanno prosperato grazie alla benevolenza dello stato e dei partiti e alle periodiche svalutazioni della lira. Oggi che questo non è più possibile, il declino italiano si accelera. Paghiamo il prezzo delle modernizzazioni che non abbiamo fatto negli ultimi anni. Al crepuscolo industriale, tecnologico e culturale dell’Italia si aggiunge il declino sociale con un rapido aumento della ricchezza dei ricchi e l’estensione e l’approfondimento della povertà. Nella disuguaglianza dei redditi abbiamo superato perfino gli Stati Uniti: in un decennio (1991-2001) il 20 per cento degli italiani è diventato più ricco, l’80 per cento più povero. Il reddito del decimo di italiani più ricchi è cresciuto del 12 per cento, mentre il reddito del decimo di italiani più poveri è sceso del 22 per cento. Otto milioni di italiani vivono sotto la soglia di povertà e altri quattro milioni vivono appena sopra. Molti di questi poveri e quasi poveri hanno un lavoro o due o tre, ma non gli bastano per vivere decentemente. Lo stipendio medio di un tranviere a Zurigo (5500 franchi) è quasi il triplo di quello di un tranviere di Milano, ma il costo della vita e dei biglietti del tram a Zurigo è solo il 50 per cento più alto che a Milano. Stipendi reali sempre più bassi e lavori sempre più precari fanno crescere la conflittualità selvaggia – come quella dei guidatori di tram e autobus – che frena ulteriormente la qualità della vita e lo sviluppo del paese.

LA RESA DELLA SOSTANZA ALL’APPARENZA
Il declino della Fiat è forse uno dei migliori indici del declino italiano: dieci anni fa Fiat vendeva in Italia un’auto su due, oggi una su tre. L’immagine più forte del crepuscolo italiano è stata per me quella della carovana di limousine scure che in una sera del 2002 – al culmine di una crisi della Fiat che sembrava mortale – ha portato l’intero stato maggiore della Fiat a un consulto drammatico, non al ministero dell’industria o delle finanze ma nella grande villa di Arcore di Silvio Berlusconi, padrone della Fininvest e capo del governo. Le immagini del telegiornale sembravano quelle di un film sulla mafia, quando avviene un regolamento di conti e un cambio della famiglia al vertice del potere. Era la resa di ciò che resta dell’Italia industriale alla nuova egemonia, all’Italia della pubblicità e della televisione commerciale. La resa della sostanza all’apparenza. Non è un caso che l’industria che ha conquistato il potere politico in Italia non fabbrichi cosa ma sogni, non venda merci ma promesse.

(da “Internazionale” nr. 524, 30 gennaio 2004)
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12 Commenti

  1. “Nelle esportazioni mondiali di prodotti tecnologici stiamo scomparendo con un piccolo 2,5 per cento , mentre Francia e Germania sono al 6 e all8 per cento.”

    Sono cifre preoccupanti sicuramente ma nel caso specifico mi pare di ricordare che l’affossatore dell’Olivetti si chiami De Benedetti e non Berlusconi…

  2. Grillo è un grande, potrebbe diventare grandissimo se smettesse di frequentare Antonio Ricci, uno dei più grandi mietitori di “pubblicità obbligatoria”.

  3. Il quadro dipinto è piuttosto plausibile, ma allora cosa dobbiamo fare ? Io non vedo altra alternativa che abbandonare la barca che affonda.

  4. Un tema assai interessante, fondamentale per la vita del nostro paese. Ma, pur restando veritiera la prima parte, ha poco o nulla a che fare con la sostanza del declino italiano.
    Il governo di Berlusconi non saprà opporsi, se non a volte colpevolmente aiuti, al dissolvimento della potenza italiana, ma tale fenomeno arriva da ben prima di lui o dell’ulivo.
    Da dove quindi, e perchè? A chi ha fatto comodo che accadesse o perlemeno hanno fatto comodo i meccanismi, la cui conseguenza è stata di indebolire l’Italia? Meccanismi voluti o semplicemente non sorvegliati?
    Un appello a Grillo, nomen-omen, coscienza nazionale non ascoltata: raccontaci anche questa storia.

  5. ma ragazzi, ragazzi. almeno questo populismo rovesciato no! se grillo avesse ragione altro che 1984 di orwell. dai non scherziamo. facciamo un opposizione seria, proponiamo un programma alternativo per uscire dalla staganzione 8in breve, licenziamento dei dipendenti pubblici in massa e deglia ltri costi dello Stato e, contemporaneamente diminuzione delle tasse e loro razionalizzazione), magari ispirandosi a Blair e mandiamolo a casa. se la sinistra avrà la forza di fare questo vincerà, se si fermerà agli slogan o a simili banalità no.

  6. ma ragazzi, ragazzi. almeno questo populismo rovesciato no! se grillo avesse ragione altro che 1984 di orwell. dai non scherziamo. facciamo un opposizione seria, proponiamo un programma alternativo per uscire dalla staganzione (in breve, licenziamento dei dipendenti pubblici e in genere tagli ai costi della macchina-Stato e, contemporanea diminuzione e razionalizzazione delle tasse, e lotta all’evasione), magari ispirandosi a Blair e mandiamolo a casa. se la sinistra avrà la forza di proporre questo vincerà, se si fermerà agli slogan o a simili banalità no.

  7. Il taglio selvaggio della spesa pubblica, se non ricordo male, è stato il programma che ha portato Ceausescu a ridurre a zero il debito pubblico della Romania e alla fame il suo popolo.

  8. Credo che Grillo abbia preso spunto per la sua riflessione dalla storia di Genova. Per chi non la conosce, Genova non è stata solo una repubblica marinara alla fina del Medioevo. Nel Cinquecento era ricca di imprese tessili. Pian piano, nel corso di quel secolo, mutò la sua ricchezza da produttiva in finanziaria. Si chiusero i laboratori che producevano damaschi e si aprirono banche che finanziarono la conquista spagnola dell’America. L’oro americano dalla Spagna passò in gran parte a Genova sotto forma di interessi sui prestiti fatti. Fino a metà Seicento Genova prosperò all’ombra della Spagna. Quando la Spagna lasciò il campo ad altre potenze, anche Genova sparì, perché non aveva più un apparato produttivo. Nel 1684 venne quasi rasa al suolo dai cannoni della flotta francese. A chi chiede: che fare? nel mio piccolo rispondo: non c’è niente da fare, neanche Grillo può salvarci. Se no, che apocalittici saremmo?

  9. carissimi, Grillo e La Guzzanti e tutti gli altri hanno ragione da vendere. Il problema è che con questi argomenti si scalda si il cuore degli elettori storicamente di sinistra, ma non si vincono le elezioni. E’ la tragica realtà.

    Poi, per carità, saremmo tutti felici e fieri della nostra integrità culturale e valoriale, mentre il nanopelatopiduista insieme ai suoi barboncini da riporto rischia di governare ancora a lungo. E confermare le peggiori opinioni e previsioni che su di lui facciamo.

    Ci vuole una strategia per vincere, comunicare e governare cambiando davvero le cose. A me un Blair italiano non mi dispiacerebbe… ma per il momento lo vedo proprio sull’orizzonte.

  10. ma perchè continuiamo a negare l’evidenza? la sinistra non è in grado di trovare un vero leader, non ha un programma credibile, è divisa su tutto, deve sperare di portar via voti tra gli ex dc usando veterodemocristiani che di sinistra hanno solo la mano e spesso e volentieri hanno convissuto coi potenti degli ultimi 50 anni…

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