Non è la BBC

Giornalismo. “Chi minaccia il giornalismo?” si chiede drammaticamente il Corriere. Risposta: i giornalisti, naturalmente. Avidi di scoop, “protagonisti”, astiosi verso i governi, è ora – suggerisce Gianni Riotta – che si diano una regolata. Siccome Riotta è un giornalista molto democratico la regolata suggerita consiste, se non abbiamo capito male, in una qualche forma d’autocensura.
Se al posto di Riotta ci fosse stato Bondi – o se i giornalisti fossero una categoria altrettanto indipendente quanto i magistrati – è probabile che la “regolata” sarebbe arrivata sotto forma di vero e proprio bavaglio giuridico sulla categoria. Ma ancora siamo al dibattito, grazie a Dio, e ancora la separazione delle carriere (ad esempio fra reporters e writers) non è stata proposta. Noi giornalisti siamo “vanitosi, superficiali e interessati” (cito Riotta) ma non, come i giudici, irrecuperabili comunisti. Suppongo che dunque al dibattito abbiamo diritto.


D’Avanzo, su Repubblica, risponde che signori miei il giornalismo è giornalismo. Non è granché originale come tesi, ma insomma, visto che si sta discutendo se due più due faccia sei, quindici o centoventisei persino sostenere che due più due fa quattro può essere una risposta coraggiosa.
Il dibattito è nato da faccende britanniche (il Giornalismo in Italia è sempre inglese) e più precisamente dalla smentita inflitta alla Bbc da un Grande Saggio. In Italia, quando parliamo di Saggi (o di authority o di esperti neutrali o roba del genere) ci mettiamo a ridere fragorosamente: sappiamo infatti, per esperienza che risale agli etruschi, che nelle male parate si prende un aruspice, lo si proclama d’autorità al di sopra delle parti e si comunica che l’aumento alla plebe non si può dare perché l’aruspice – che è al disopra delle parti – ritiene gli dei contrari al provvedimento. Da noi non c’è mai stato un “esperto” al di sopra delle parti, e dopo duemila anni di reucci, di granduchi, di papi, di classi dirigenti che arrancano per fare in tempo a imbarcarsi sul provvisorio carro del prossimo (provvisorio) regime, ormai questo lo sanno anche i bambini. In Inghilterra invece fino a un paio di generazioni fa c’è stata una classe dirigente e un’aristocrazia: che poteva essere whig o tory, e lo era con faziosità e con durezza, ma che traeva l’autogiustificazione (e l’orgoglio) essenzialmente dall’essere se stessa. Un lord non poteva mentire per salvare un governo, perché considerava Mylord Se Stesso infinitamente più importante di qualsiasi governo.
Le cose, in Inghilterra, naturalmente sono assai cambiate. L’ex regina ormai è semplicemente il più grande proprietario immobiliare del paese, Blair è napoletano e lord Hutton – l’arbiter del caso KellyGilligan – è un rispettabile membro del Circolo Canottieri de Roma (magari avrà il monocolo, per fare il lord inglese: ma imprecherà in romanesco, come Previti). Di inglesi, in tutta la storia, ci sono semplicemente i dirigenti Bbc che, di fronte alla buffa sentenza, si sono dimessi (come quel generale romano che preferì perdere la battaglia piuttosto che non obbedire agli aruspici) e il giornalista Gilligan che oltre alle vendette di Blair adesso si deve ingoiare anche le ramanzine di Riotta. Noi italiani, ancora sotto la suggestione dell’antico fair play Britannico morto da un pezzo, crediamo (o facciamo finta di credere) che il caso BbcBlair sia stato una cosa onesta e seria. Gl’inglesi, che hanno a che fare con l’Inghilterra vera e non con quella di Nicolò Carosio, invece hanno sgamato subito la truffa e, nei sondaggi, si sono dichiarati in massa favorevoli all’onesta e professionale Bbc e contrari all’evidente pastetta fra lord Hutton e Blair.

Per le ragioni che esponevamo l’altra volta (non ho computer mio, dopo venticinque anni di mestiere) non posso partecipare molto al dibattito, perché i miei tempi tecnici sono molto limitati. Inoltre io sono un dibattitore piuttosto rozzo, e quando – per esempio – sento parlare di Giornalismo non mi viene in mente Fleet Street ma via Etnea. In via Etnea, a Catania, i quotidiani esposti sono praticamente uno, il “La Sicilia” locale, dell’unico editore siciliano, Ciancio; gli altri bisogna chiederli e, se chiedete “Repubblica“, vi accorgete che manca la cronaca siciliana in quanto l’accordo con Ciancio prevede la non-concorrenza.
Va bene, me l’avete sentito già dire. Difatti, è da quattro anni che lo vado scrivendo. Un paio d’anni fa lettore settentrionale, colpito dalla notizia, decise di scrivere a un famoso giornalista siciliano – Riotta – per sapere come stava la faccenda e cosa ci si potesse fare. Ho ritrovato la lettera di quel lettore:

Hai scritto che “nel centro di Catania tutt’e cinque le edicole espongono un solo quotidiano, La Sicilia dell’editore Ciancio“. Ho girato il tuo pezzo a Gianni Riotta: “Caro Riotta – gli ho scritto – ma questo è il suo amico Ciancio, di cui lei ha parlato su Specchio a proposito di sicilitudine?” Ed ecco cosa mi ha risposto Riotta: “Caro amico, non conosco la situazione che descrive ma certo sono per la vendita di tutti i giornali sempre e comunque, anche a Catania. Lo dirò ai Ciancio. Un caro saluto, Riotta“.

Poche settimane fa, una famosa giornalista di Repubblica è andata a Catania per partecipare un dibattito; il pubblico presente le ha chiesto a gran voce come mai Repubblica, a Catania, fosse così d’accordo con Ciancio. Ma il fatto non è mai uscito su Repubblica e non credo che uscirà in futuro.

Ecco: scusate se ho parlato de “La Sicilia” invece che dello “Spectator“; ammetto di avere abbassato il tono del dibattito. A Catania, il preside della Facoltà di Scienze Politiche (un certo Vecchio, eletto quasi all’unanimità) ha proposto senz’altro la laurea ad honorem al suddetto Ciancio; i cui redattori, oltre agli stipendi aziendali, possono contare su laute consulenze del Comune, della Facoltà di Scienze della Comunicazione e di quant’altro. La mia sensazione è che, sotto il profilo dell’evoluzione del giornalismo, bisognerebbe studiare Catania molto più che Londra; e che i prossimi Stati Generali dell’informazione (a cui non sono stato invitato) la prossima volta si potrebbero più utilmente tenere non a Roma o a Versailles ma a Catania o a Palermo.
Se avessi tempo e computer, mi piacerebbe parlare un poco dell’altro giornalismo, quello realmente “inglese”, che pure in questo paese s’affacciò un mattino: la Voce della Campania, a Napoli, e Società Civile a Milano, e I Siciliani. “Giornalismo d’inchiesta”, per dirla col collega D’Avanzo, il vecchio caro e banale “è la stampa, bellezza”. Ma tempo e computer non ne ho, per cui mi limito solo a farne i nomi. Che è già qualcosa, visto che tranne la Catena di quei giornali d’inchiesta e liberi ormai non ha voglia di parlare più nessuno.

(Visited 39 times, 1 visits today)

2 Commenti

  1. IL FOGLIO giubila perchè la “ubris” del quarto potere – la pretesa della tv di fare inchieste ANCHE sul governo e di non esserne solo il megafono – è stata punita per un incidente.
    Certo chi agisce sbaglia. Chi si limita a mandare in onda solo tette culi e metereologia non corre questi rischi. L’italia non corre questi rischi.
    Neppure quando vengono fatti a pezzi 19 dei suoi
    soldati. Niente inchieste su Nassirya, niente “interviste aggressive” neppure dopo le rivelazioni della stampa americana. Soltanto lacrime e patriottismo. No non è la BBC….

  2. IL FOGLIO giubila perchè la “ubris” del quarto potere – la pretesa della tv di fare inchieste ANCHE sul governo e di non esserne solo il megafono – è stata punita per un incidente.
    Certo chi agisce sbaglia. Chi si limita a mandare in onda solo tette culi e metereologia non corre questi rischi. L’italia non corre questi rischi.
    Neppure quando vengono fatti a pezzi 19 dei suoi
    soldati. Niente inchieste su Nassirya, niente “interviste aggressive” neppure dopo le rivelazioni della stampa americana. Soltanto lacrime e patriottismo. No non è la BBC….

I commenti sono bloccati.