No allo Schifo, no allo Schifani

dellutrigg.jpgNon ce l’hanno fatta. La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il Lodo Schifani, la leggina ad hoc per garantire l’immunità alle cinque più alte cariche dello Stato, di cui soltanto una ha problemi processuali e indovinate quale carica è. Scomposte le reazioni del cosiddetto Centrodestra: cosiddetto, perché in questo caso trattasi di forzitalioti che siedono in Parlamento e uno si chiede legittimamente se Forza Italia sia una creatura di Centrodestra o di Marte. Il coro è unanime: la Corte Costituzionale è politicizzata, l’avvocato Taormina ha addirittura masticato un “Maledetti comunisti!” che, ormai, sembra un tormentone dei due vecchietti del Muppet Show. Da un punto di vista prettamente spettacolare è molto bello osservare l’ipersudorazione biliare di quelli che hanno usato la querela preventiva come Bush Jr ha utilizzato il previo conflitto – e come Bush ora si trovano impantanati nel loro Iraq giustizialista, prede delle trappole della distorsione legale. La quale distorsione non è: si è trattato di un atto di giustizia sana, del buonsenso eletto a norma civile, dell’eliminazione dei privilegi a cui ambiva nemmeno una casta di cinque supercittadini, ma di uno solo: lui.


Nemmeno il tempo di gioire per un finalmente atto di finalmente normalità e viene alla mente un’altra notizia di oggi: Marcello Dell’Utri denuncia il premio Nobel Dario Fo e chiede la sospensione dello spettacolo L’anomalo bicefalo. Qui si scontrano due fronti: l’anticultura e la cultura. L’anticultura rappresentata da Dell’Utri è tale in quanto scimmia della cultura, esattamente come dell’Avversario si dice che è la Scimmia di Dio. Raffinato bibliofilo, editore si fa per dire in proprio, separato in casa dal grande editore che gli ha voltato le spalle, presidente di circoli anch’essi autodefinitisi culturali, Marcello Dell’Utri va alla battaglia contro il premio Nobel della letteratura. Il quale, secondo l’anticultura, sarebbe reo di avere allestito uno spettacolo caratterizzato “da una decisa volontà di attaccare il presidente del Consiglio Berlusconi tramite una gratuita denigrazione della sua persona” e da ripetute “affermazioni gratuite”, “diffamatorie”, “ingannevoli” nei confronti di Dell’Utri, in particolare accostandolo a vicende e attività mafiose. Non interessano, in questa sede, le accuse che l’ex mafioso Rapisarda formulò contro Dell’Utri e Berlusconi. Importa invece altro: che un senatore della Repubblica italiana, coinvolto in disparate vicende giudiziarie, si metta in testa di censurare per via ugualmente giudiziaria un premio Nobel per la Letteratura. Qui non è il Nobel che finisce in una vicenda giudiziaria ambigua: è l’anticultura che invece aggiunge al proprio carnet di ambiguità processuali l’ennesimo episodio di sconcertante soliloquio con la libido di tacitare gli altri.
Rispetto a questa vicenda, dunque, acquisisce ulteriore valore il penultimo dispiacere che una sentenza ha inflitto a Berlusconi. Dirgli ‘buffone’ in un contesto politico non è reato. Gliel’avevano urlato all’uscita dal Palazzo di Giustizia milanese e lui aveva fatto il can can mediatico su un episodio che è il pane quotidiano del rapporto tra politica e società, ma che esula evidentemente dall’idea elvetica e presbitera che il premier si è fatto della vita normale, quella di tutti i giorni, quella che lui dovrebbe governare. Se il tribunale darà ragione infatti al Nobel, alla cultura, nemmeno alla contro- ma all’informazione tout court, allora la strategia delle querele avrà subito un definitivo colpo letale e il veleno si sarà rivelato il farmaco.

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