A quelli che “Tengono in piedi il meglio di questo paese”

Lettera degli sceneggiatori de “La Meglio Gioventù” pubblicata da Repubblica il 25 maggio 2003:

Dedicato a chi ancora è capace di indignarsi

La meglio gioventu’ – che ieri ha vinto a Cannes, miglior film di Un ceratin regard – l’abbiamo scritta per Carlo e Gioia, per Stefano, per Giovanna, per Rico e Romeo, per Ely e Piero, per Sergio che non c’e’ piu’ ma c’e’ sempre, e per tanti altri che avevano vent’anni nel 1968. Sono i nostri amici di strada di allora: non fanno chiacchiere non vanno in tv, non li conosce nessuno. Erano all’alluvione di Firenze, viaggiavano in autostop verso Capo Nord, leggevano furiosamente e furiosamente discutevano, s’innamoravano e andavano al cinema. S’indignavano e lo dicevano. Qualche volta lo gridavano. Perche’ – qualche volta – bisogna gridare per farsi sentire. Lo fanno ancora. Lavorano nelle scuole, nei consultori, nei tribunali, nelle biblioteche, negli ospedali, in fabbrica. Tengono in piedi il meglio di questo paese, a maniche rimboccate, salvando dal fango – oggi come nel ‘66 a Firenze – le cose belle: lealta’, coerenza, coraggio, e schiena dritta. L’abbiamo scritta per loro, La meglio gioventu’. E per noi, tra loro.

Per farlo ci sono voluti altri amici: Angelo, Marco Tullio … e c’e’ voluto il tempo, la distanza , il dolore e la pieta’. Con molti non ci si vede piu’. Ma sappiamo che ci sono: sono i professori dell’ultimo della classe, i ricercatori senza fondi, i magistrati che applicano la legge e che non fanno leggi per se stessi, gli urbanisti di citta’ pensate e fatte meglio, i medici senza le frontiere delle nazionalita’ che se ne vanno in paesi lontani, i sacerdoti che ci salutano a una certa ora della notte perche’ di mattina presto hanno la loro piccola fila di fedeli da confessare. Sono quelli che pensano l’esatto contrario di cio’ che pensava Hegel: non tutto cio’ che e’ reale e’ razionale, ma tutto cio’ che e’ reale fa spesso schifo e bisogna cambiarlo. Ma cambiarlo bene, cambiarlo come si deve: non a chiacchiere e a promesse, non a parole e a bugie. Sono quelli che sanno che la vita e’ breve, ma che ci sono certe giornate – quelle della guerra, quelle della sopraffazione, quelle della prepotenza, quelle della menzogna sbandierata – che non passano mai.

Insieme a loro – spalla a spalla, anonimi l’uno all’altro – abbiamo percorso mezzo secolo della nostra vita. I piu’ fragili se ne sono andati, qualcuno tanto tempo fa, qualcuno piu’ di recente. E ne sono venuti altri, continuamente: si chiamano Gaia, Nicola, Sara, Filippo, Matilde, Pietro, Matteo, Giulia, Francesco: i figli della nostra generazione. Eccoli. Nella sala buia della proiezione siedono in mezzo al pubblico e guardano sullo schermo quel po’ di noi che abbiamo cercato di raccontare – le allegrie, le vitalita’ le canzoni, le cazzate, le sconfitte, le tragedie: insomma, le ragazze e i ragazzi che eravamo. Hanno anche loro, da qualche parte, un sacco a pelo per andare e un libro spappolato da tirar su dalla melma e passare al secondo e poi al terzo e poi all’ultimo della catena. Un sacco a pelo e una catena di mani. Non una valigetta per far carriera.

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19 Commenti

  1. Beh, che qualcuno ogni tanto ci ricordi che c’è un modo di vivere diverso da quello propinato dalla società di oggi secondo me ci fa solo bene. La meglio gioventù è un bellissimo film, con protagonisti complessi, imperfetti e soprattutto umani. Era da un po’ che non se ne vedevano, al cinema e in TV.

  2. non sarà che più il tempo passa e più le rappresentazioni e le interpretazioni degli anni intorno al ’68, sia in chiave encomiastica sia demolitoria, diventano mitologia che non aderisce più a ciò che fu e alle conseguenze ? Scusate, ma sembra di assistere alla rappresentazione del West fatta da Sergio Leone. Bellissimo, ma quanto c’era di vero ? Non sopporto il luogo comune alla Gramellini e ai millanta suoi pari che devono ringhiare contro quegli anni tirando fuori la storia indimostrata che chi contestava 30 anni era un giovane borghese grasso, divenuto poi è più reazionario del padre che allora contestava. Dall’altra, non mi piacciono gli altarini, dove si dipingono in chiave squisitamente idealistica anni in cui, per dire, faceva comodo dare un esame in gruppo così uno studiava e dieci erano promossi. L’unico dato certo è che da allora le ragazze hanno cominciato a darla con meno ritrosia. E non è poco.

  3. A quelli che hanno fatto il sessantotto: bene bravi bisssss! Ma non bastano le celebrazioni?
    Diciamo bravi anche a quelli che son venuti dopo il sessantotto? o non sono così bravi? certo, qualcuno è amico della Defilippi, ma qualcun’altro no!!

  4. certo che se questi sono di quelli che poi si lamentano per la retorica patriottarda stanno/stiamo messi bene…

  5. La questione, posta così, in termini quasi apodittici, post di melba vs. post di attentialcane/gramellini, non ha grande senso, anche se ci si può divertire a schierarsi di qua o di là. E’ evidente infatti che, su una generazione nel suo complesso, così come sulla natura aggressiva dei tedeschi o tirchia dei genovesi, non si possono esprimere giudizi definitivi. Gli sceneggiatori della meglio gioventù, a differenza del noto corsivista, ricorrono almeno all’escamotage di far finta di non parlare per tutti, ma si vede benissimo che non ci credono neanche loro.
    Discussioni come questa sono più utili a chi le fa che all’oggetto stesso della discussione, che peraltro non esiste più: nessuno di quella meglio gioventù è ancora un giovane.
    Diverso è provare a dare un giudizio storico – e anche politico – su quel periodo, tenendone fuori le implicazioni, chiamiamole così, morali. Se per parlare della “moralità della resistenza” Claudio Pavone ha impiegato un tomone e ha dato la stura a un dibattito che non si arresta ancora oggi, credo infatti sia quantomeno prematuro interrogarsi sulla moralità del 68 e dei suoi protagonisti, che seppure non più giovani, sono in gran numero in vita e anzi in ottima salute.
    E’ per questo che entrambe le argomentazioni fin qui esposte mi paiono così deboli. Da una parte abbiamo un fuoco di fila post-pasoliniano, che non può non far sorridere nel 2003 e che mi fa sinceramente pensare a quante compagne l’abbiano negata a Gramellini in quegli anni per qualcuno così formidabili ( magari si era nel 77, per ragioni anagrafiche). Se per discutere del 68 non si può ancora a fare a meno di tirare in ballo per l’ennesima volta le auto sportive dei leaderini, Mughini e Liguori, possiamo anche evitare (peraltro Mughini scrive benissimo cose spesso condivisibili ma, chissà perché, viene considerato da molti come una sorta di summa dei mali dell’epoca, del velleitarismo borghese e dell’attitudine al “tradimento”).
    Inoltre mi pare che si dimentichi troppo facilmente che non vi fu solo il 68 degli studenti, ma anche il 69 degli operai; che gli anni settanta ebbero a esprimere nel nostro paese – insieme al biennio 19-20 – il periodo di più alta conflittualità sociale del novecento e che gli arresti, i processi, le condanne, gli anni di galera comminati in quel decennio superarono ampiamente quelli del ventennio fascista.
    Dall’altra abbiamo una sorta di celebrazione del 68 come religione civile che sopravvive tuttora nei migliori di tutte le generazioni viventi. Ai fautori di questa interpretazione così appassionata, viene però forse da opporre che quella generazione fu l’ultima a fruire (e lo fece ampiamente) delle garanzie del welfare state; che le generazioni successive pagheranno il conto, in termini di precarietà, di stipendi miseri, di pensioni ridicole, del patto scellerato contratto dai “migliori” in cambio della pacificazione sociale del paese. Pensioni di “anzianità” dopo 14 anni di contributi, prepensionamenti a valanga, la blindatura che separa oggi i quaranta-cinquantenni dalla generazione dei cococo, degli stage e dei contratti interinali. Ché è facile essere i “migliori” quando si è vinto alla lotteria anagrafica, “figli di papà” che si fosse o meno.

  6. Non ho letto Gramellini, non ho letto quasi niente su La meglio Gioventù, ho però visto lo sceneggiato (ad eslusione della prima ora della terza puntata)e lo ritengo vomitevole, falso, del tutto incongruente. Credo fosse molto meglio Commesse (che però non ho visto e che è stato criticato da qualche associazione sindacale di veri commessi/e in quanto “non veritiero).
    A circa 10 minuti dall’inizio i due mitici fratelli sono con Giorgia in un paese del Meridione e Don Vito, il prete del villaggio, che prepara la conserva di pomodoro dice loro: ” Avete perso la corriera per Ravenna!
    Non dico altro.

  7. ottimo! se si voleva scatenare una zuffa di insulti era il modo migliore, dopo -naturalmente- la proiezione da parte della rai di un serial tanto buonista, perbenista, borghesuccio ect ect. I personaggi perfetti per un jack frusciante uscito dal gruppo – unica differenza 40 anni in piu- una beffa per chi in carcere ancora ci sta, e per tutti quelli che sfortunatamente non riescono a eguagliare gli scores segnati da questa magnifica generazione, che ora va a fare girotondi per dimostrare come si protesta- facendosi poi deridere -con orgoglio pero!- da mezza italia.
    ue matusa sveglia! non è che bisogna prendervi come esempio per farvi un piacere! i tempi cambiano e qui siamo tutti senza lavoro.
    e pensare che sono andato a vederlo al cinema dove mi sono sentito il discorso di giordana- cosi giusto ed interessante…- che tristezza

  8. professori, ricercatori, medici, urbanisti, sacerdoti. Il ceto medio riflessivo, sputato. Ma quei famosi operai? Non se ne sa più niente.

  9. I rivoluzionari del’68, i violenti del ’77, gli edonisti degli anni 80, quelli del 90, la net-generation del 2000, i no-global del 2002…. Ma che due maroni. >>> Avanti, andiamo avanti. Ci sono ancora tante cose belle da fare e non possiamo lasciarle tutte alla prossima categoria.

  10. Tutto questo per un lavoretto da mamma RAI.E tutte ste parole per la solita fuffa.Un risultato un pò misero,per la mejo gioventù di aspiranti pariolini.

  11. Condivisibile o meno, Giordana ha solamente raccontato una storia, e una storia molto bella… provate a guardare oltre i luoghi comuni…

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