Bush, Blair, Berlusconi e l’atomica irachena

È dura da far digerire al mondo che, dopo aver preso un paese e averlo per mesi fotografato al satellite, invaso, bombardato, esplorato, ispezionato, setacciato, spianato e ridotto alla fame, non sei ancora riuscito a scovare il nascondiglio di un beduino cieco da un occhio che viaggia in sella ad una moto e di un folle fomentatore diabetico alto 1 e 94 legato ad una macchina a rotelle per la dialisi fai-da-te. Da qui la pervicacia con la quale Bush e Blair continuano a sostenere la necessità di un attacco all’Iraq. È la regola delle puzzette in ascensore: se l’hai fatta grossa, distraili parlando del tempo. Il leader inglese ha le prove: «Saddam avrà l’atomica». Non ora, «fra uno o due anni». Può sembrare strano, ma è ai leghisti che devo la mia disapprovazione per un intervento armato. Ho sempre mal sopportato quelli che sostenevano che il sud rosolasse placido al sole finanziato dalle tasse del nord-est, e vivevano in una zona nella quale, secondo l’Istat, vigeva il più alto indice di evasione fiscale. Allo stesso modo credo che se proprio si desidera andare a rompere i coglioni ad un paese perché ha intenzione di acquistare una bomba atomica, coerenza vorrebbe che si sia i primi a non possederla. Il nostro presidente del Consiglio si è precipitato in soccorso di georgedabliu: «Siamo con Bush ma, personalmente, farò di tutto per evitare la guerra». Immagino volesse apparire rassicurante. A me ha solo ricordato che non ho un rifugio antiatomico. E una barzelletta: “Nonno, perché è scoppiata la terza guerra mondiale?” “Non so, piccolo, è successo tanto tempo fa. Ricordo che tutto andava bene. Poi, un giorno, alle Nazioni Unite, Silvio Berlusconi si è alzato in piedi e ha raccontato quella della pompinara islamica”.

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